Login to your account

Username *
Password *
Remember Me
MESSANENSI

MESSANENSI

La partenza

Nov 21, 2024

- di Giuseppe Cavarra -

 

La decisione di emigrare è sempre accompagnata da aspettative di occupazione e di cambiamento della condizione sociale, mentre il distacco dal paese è vissuto come la perdita di una condizione umana fondata sulla sicurezza e sulla normalità. Il canto che segue, raccolto a Limina a metà degli anni Settanta, è anonimo.

Ti salutu, paisi tradituri,
ca mi manni luntanu a-ttravagghjari;,
passari vògghiu st'àutri ddu uri
salutannu l'amici e li cumpari;
n salutu cci lu fazzu a lu m'amuri:,
l'ùrtumu a idda cci lu vògghju fari.,
Quantu timpesti e-cquantu rruvituri,
ca spèttunu a-ccu va ddhabbanna mari.


Ti saluto, paese traditore, / che mi mandi lontano a lavorare; / passare voglio queste altre due ore /
salutando gli amici e i compari; / un saluto lo faccio al mio amore: / l'ultimo a lei glielo voglio fare. /
Quanto tempeste e quanti turbini / che attendono chi va al di là del mare.

 

 

- di Antonio Dell'Aversana -

Sotto gli occhi di tutti le drammatiche immagini che i Mass Media nazionali propongono periodicamente in occasione degli sbarchi di “clandestini” sulle coste italiane. “Intrusi”, generalmente definiti extracomunitari, che in gran parte muoiono di stenti, soprattutto donne e bambini, prima di approdare in una terra che ritengono amica e distante anni luce dalle tante problematiche (guerre, fame, miseria, persecuzioni, malattie) che hanno voluto lasciarsi alle spalle per tentare di vivere quella vita dignitosa che il Padre Celeste ha destinato ad ogni uomo.

La breve “commozione”, finta o vera che sia, che pervade ciascuno di noi ogni volta che assistiamo a sciagure televisive, lascia, però, ben presto il posto a ben altri sentimenti svanendo davanti alla prospettiva che potrebbe essere richiesto a qualcuno di noi di interessarsi in modo concreto alla sopravvivenza futura di sconosciuti esseri umani, di pelle diversa pergiunta! Dimentichi non solo di essere i discendenti di coloro che nemmeno un secolo addietro hanno invaso, come gli extracomunitari adesso, a milioni le terre altrui cercando aiuto per vedersi riconosciuta la dignità di uomini, ma di essere il prodotto di plurisecolari incroci di popoli diversi che sin dal medioevo, laceri e disperati, si sono diffusi nel Bel Paese, preferiamo nasconderci dietro tante scuse pur di non perdere la nostra illusione di essere “perbene e civili”.

E ci ergiamo, in pochi attimi, a giudici inesorabili ritenendo questi nostri simili solo fonte di futuri grattacapi. Da buoni cristiani diventiamo lesti a far tacere il cuore, l’unico che capisce il Vangelo, cancellando da esso, in fretta e furia, il linguaggio dei buoni samaritani che ci competerebbe per dovere morale. E neppure le parole “ero forestiero e mi avete accolto” sembrano turbarci minimamente per il peso che esse assumeranno nei nostri riguardi all’atto del Giudizio Finale.

Le responsabilità, però, non risultano essere solo individuali; sono collettive e soprattutto addebitabili agli Organi preposti alla pubblica amministrazione.

Poche Comunità italiane si sottraggono alla regola generale della totale indifferenza verso questi indigenti capitati sul nostro territorio che sopravvivono, alla bene e meglio, in tuguri affittati ad alti costi, ignorati e mal sopportati dalla maggioranza della popolazione e mai realmente integrati nella nostra “civile” ed antica Nazione. Oggetto solo di sporadiche attenzioni di associazioni “pie e di volontariato” dalle quali ricevono stracci dimessi, qualche pacco dono ed un machiavellico pasto caldo in qualche occasione natalizia (festività estranea alla cultura della maggioranza di loro), sfuggono sempre, loro malgrado, ad una concreta sussidiarietà (intesa nel senso più ampio del termine) da parte degli Organi competenti.

Ma è giunta l’ora, ormai, di invertire rotta e di risvegliare in tutti noi, nessuno escluso, quella coscienza che ci impone, non solo quali seguaci del Cristo ma soprattutto quali appartenenti al genere umano, i doveri dell’accoglienza e della fraternità universale!

Il censimento generale del 1861 accertò l’esistenza di colonie italiane, già abbastanza numerose, sia nei paesi di Europa e del bacino mediterraneo sia nelle due Americhe:
# Francia, 77.000
# Germania, 14.000
# Svizzera, 14.000
# Alessandria d’Egitto, 12.000
# Tunisi, 6.000
# Stati Uniti, 500.000
# Resto delle Americhe, 500.000

Intorno al 1870 il movimento assunse la consistenza di un vero fenomeno di massa, raggiungendo una media annua di 123.000 nel periodo 1869-75. Cifre più sicure e fra loro comparabili si hanno a partire dal 1876, anno in cui, sotto la guida di L. Bodio, s’iniziò a rilevare con regolarità l’immigrazione italiana.

Nei primi anni, ancora disorganizzata e sporadica, l’emigrazione si mantenne intorno ad una media di 135.000 emigrati, diretti in prevalenza verso paesi europei e mediterranei; dal 1887, per l’aumentata offerta di lavoro del mercato americano, si sviluppa rapidamente l’emigrazione transoceanica e la media annua complessiva raddoppia, passando a 269.000 unità (periodo 1887-900). La Francia, seguita a una certa distanza dall’Austria, dalla Germania e dalla Svizzera, tiene sempre il primo posto tra i paesi di destinazione dell’emigrazione continentale in questo primo venticinquennio; l’Argentina e il Brasile, che assorbono la maggior parte dell’emigrazione transoceanica nei primi venti anni, si vedono invece rapidamente sorpassare dagli Stati Uniti verso la fine del secolo.

L’incremento dell’emigrazione transoceanica, in valori assoluti e nei confronti di quella continentale (da 18,25% dell’emigrazione complessiva nel 1876 a 47,20% nel 1900), e lo spostamento della sua direzione dall’America meridionale alla settentrionale, si devono mettere in relazione sia con le mutate condizioni del mercato del lavoro nei paesi americani che con la diversa partecipazione delle varie regioni d’Italia all’espatrio.
Nei primi anni del Regno emigrarono soprattutto abitanti delle regioni settentrionali, socialmente più progredite e con popolazione più numerosa; nelle regioni meridionali, meno densamente popolate, il fenomeno fu per lungo tempo irrilevante, a causa del loro isolamento, della scarsa viabilità e dell’ignoranza, residui dei passati regimi, ma anche del tradizionale attaccamento alla terra e alla casa e di minori necessità economiche, derivanti da una vita esclusivamente agricola e patriarcale. In pochi decenni il rapporto si invertì sia a causa dell’intenso ritmo di accrescimento demografico sia per le poco floride condizioni economiche (in parte dovute alla tariffa protezionistica dell’87, che sacrificò l’agricoltura all’industria) che non permettevano di assorbire l'eccesso di manodopera. Negli ultimi anni del secolo XIX, la quota fornita all’emigrazione complessiva dall’Italia settentrionale diminuì (da 86,7% nel 1876 a 49,9% nel 1900) mentre crescevano quella dell’Italia meridionale e insulare (da 6,6% a 40,1%) e dell’Italia centrale (da 6,7 a 10%).


In questo primo periodo il fenomeno fu lasciato a se stesso; la sola legge varata dal Parlamento fu la n. 5877 del 30 dicembre 1888, che peraltro si limitava a sancire quasi esclusivamente norme di polizia in vista dei molteplici abusi degl’incettatori di manodopera. La situazione migliorò e i soprusi degli speculatori cessarono solamente quando fu approvata una legge organica dell’emigrazione e fu creato un organo tecnico specifico per l’applicazione della legge stessa:


# furono abolite le agenzie e subagenzie,
# il trasporto fu consentito solo sotto l’osservanza di determinate cautele e garanzie,
# si crearono organi pubblici, per fornire le necessarie informazioni ai desiderosi di espatrio,
# si stabilirono norme per l’assistenza sanitaria e igienica, per la protezione nei porti e durante i viaggi e, successivamente, anche per la tutela giuridica dell’emigrazione e la disciplina degli arruolamenti per l’estero.


Assistita, organizzata e diretta laddove maggiori fossero le possibilità di occupazione, l’emigrazione italiana, per quanto con andamento irregolare dovuto alle crisi attraversate dai paesi di destinazione, tende ad aumentare, nei primi anni del secolo XX; la media annua nel 1901-13 sale a 626.000 emigranti e il rapporto con la popolazione del regno, nel 1913 tocca i 2.500 emigranti per ogni 100.000 abitanti, pari a un quarantesimo circa dell’intera popolazione. E' soprattutto l’emigrazione dall’Italia meridionale e insulare che si sviluppa, giungendo a sorpassare quella dell’Italia settentrionale: 46% contro 41% dell’Italia settentrionale e 13% della centrale, su un totale di più di 8 milioni del periodo 1901-13.

Ciò spiega anche l’assoluto prevalere, nel periodo, dell’emigrazione transoceanica sulla continentale (il 58,2% contro il 41,8%). Gli emigrati dall’Italia meridionale, prevalentemente addetti all’agricoltura e braccianti, costretti all’espatrio dalla povertà dei loro paesi erano disposti ad accettare qualsiasi lavoro e anche a stabilirsi definitivamente all’estero, nelle terre d'oltremare; al contrario, l'emigrazione dall’Italia settentrionale, più altamente qualificata e, in genere temporanea, era per lo più assorbita da paesi europei.

Tra i paesi di destinazione dell’emigrazione continentale, la Svizzera passò al primo posto superando la Germania, l’Austria e la stessa Francia; nell’emigrazione verso paesi d’oltremare si accentuò invece il primato degli Stati Uniti, dove si diressero, dal 1901 al 1913, oltre 3 milioni di italiani, contro i 951.000 dell’Argentina e i 393.000 del Brasile. Gli alti salari offerti al mercato nordamericano, la diminuzione delle terre libere nei paesi dell’America Meridionale, la maggiore facilità e rapidità di guadagni, consentita dalla grande industria degli Stati Uniti, concorsero a dirottare il flusso dell'emigrazione dall'Italia.

Il venire meno del vincolo fondiario, che lega l’emigrato al paese d’arrivo, e il diminuito costo dei trasporti favorirono una minore durata dell’espatrio: molti lavoratori decisero di investire i loro risparmi in Italia, prevalentemente in acquisto di terre o nella casa di proprietà .
Questo carattere temporaneo, che già era dominante nell’emigrazione continentale e che cominciava ad estendersi a parte dell’emigrazione transoceanica, si ripercuote beneficamente sull’economia italiana, sia perché gli emigrati tornano, in genere con accresciute capacità di lavoro e di iniziativa e muniti di capitali accumulati all’estero, sia perché, contando di rientrare in patria, molti emigranti vi lasciavano le loro famiglie e ad esse provvedevano durante l’espatrio con l’invio di rimesse, quelle rimesse che contribuirono attivamente al saldo della bilancia dei pagamenti dell’Italia con l’estero.


L’emigrazione italiana negli ultimi anni dell’anteguerra era ben diversa da quella dell’ultimo venticinquennio del secolo XIX. Non si trattava più di masse prive di appoggio, emigranti alla ventura in cerca di lavoro, ma di masse guidate e assistite, e capaci alla loro volta di contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e sociali della patria. L’emigrazione, ritenuta inscindibilmente connessa alla struttura economica del paese e al ritmo di accrescimento della sua popolazione, fu largamente incoraggiata e protetta.

II titolo Santa Maria di Gesù portato dalla chiesa e dal Convento dei Frati Minori di Provinciale è molto antico. Risale al 1430, quando il Beato Matteo d'Agrigento, diffusore in Sicilia del messaggio di San Bernardino da Siena, ottenne dal legato pontificio nell'isola di erigere in Messina un convento, stabilendovi l'Osservanza. La chiesa e il convento originari, tuttavia, sorgevano nei pressi del torrente Giostra, fuori le mura della città, (dove oggi è il plesso scolastico "Luigi Boer').

A partire dal 1580 e fino al terremoto del 1908, il Convento di Santa Maria di Gesù fu sede della Provincia di Val Demone dei Frati Minori, fin quando, 1'8 dicembre 1940, papa Pio XII stabilì che le cinque province dei Frati Minori di Sicilia fos¬sero riunite in una sola.

A proposito della vecchia chiesa, consacrata nel 1463, Cajo Domenico Gallo riferisce che "fu ornata a meraviglia: sorge con una bellissima architettura, con tre navi sostenute da colonne... il convento è molto ampio, con l'atrio spazioso, con archi e pilastri, dove per lo più sono di stanza circa ottanta frati... in detta chiesa vi sono pitture di molto pregio". Per la sua vastità e per la sua ricchezza, Santa Maria di Gesù era considerata come la chiesa madre del quartiere San Leone.

La monumentale costruzione, purtroppo, cadde a causa del sisma del 1908 e, al suo posto, venne eretta la chiesa baracca di San Luca. Oggi, a ricordarla, c'è soltanto il nome di Santa Maria di Gesù Inferiore portato dalla via su cui essa si affacciava.

Dopo il disastro, chiesa e convento furono ricostruiti dai Frati Minori nel lato opposto della città, là dove ha inizio il Viale San Martino, su terreno già del principe Ruffo.

L'attuale complesso parrocchiale che si affaccia su Piazza Palazzotto, scrive Giuseppe Foti, "è uno dei più vasti di Messina con circa 700 metri quadrati, oltre il pronao, in unica navata longitudinale che si apre su altra navata trasversale (transetto) e si conclude nell'abside semicircolare. Ambedue 1e navate, dal punto di vista strutturale, sono costituite da serie di portali formati da pilastri in cemento armato, incastrati nei correnti di base, alti 15 metri, che sostengono capriate, anchesse in cemento armato. La distanza dei pìlastri di ciascuna coppia (larghezza della Chiesa) è di metri 13,70 e l'interasse tra un portale e l'altro è di metri 4,50. I vari portali, a loro volta, sono collegati tra loro, oltre che nei correnti di base, da una trave di coronamento e da una larga fascia intermedia che divide le pareti in due ordini, mentre i tampognamenti sono ottenuti con muri in mattoni che sono allineati sulla faccia esterna dei pilastri nell'ordine inferiore e sulla faccia interna nell'ordine superiore. Si otengono così nell'ordine inferiore tra pilastro e pilastro due serie di cappelle, profonde poco più di un metro e chiuse con arco a tutto sesto in alto, mentre nell'ordine superiore si aprono due serie di altrettante finestre semicircolari su bassi piedritti.

Pilastri, travi e archi sono decorati con stucchi e comici che imitano il marmo. I controsoffitti, ancorati alle capriate sono di forma piana e decorate con pitture riquadrate da cornici a stucco.

La chiesa si apre su di un pronao a cinque e alto 9.

I prospetti sono in pietra artificiale.

L'insieme architettonico si presenta armonioso e bene equilibrato; archi, i pilastri, le colonne e le trabeazioni arieggia uno stile romanico e vasto pronao ricorda vagamente alcune basiliche romane.

Accanto alla chiesa, sorge, staccato, il convento, a tre architettoniche molto sobrie".

Progettate dall'Ingegner Giuseppe Mallandrino, le due costruzioni 15 gennaio 1929, furono ultimate il 31 agosto 1932, anche se con alcune varianti rispetto ai disegni originali. Il progetto originale, infatti prevedeva la realizzazione di un piccolo chiostro, del campanile e di una ricca decorazione della facciata, mentre non era prevista la realizzazione della terrazza sopra il portico d'ingresso.

Tra le numerose opere d'arte che arricchivano la chiesa di Santa Maria di Gesù Inferiore, due sole di esse sono pervenute alla nuova chiesa: un Crocifisso ligneo e la statua marmorea della Madonna col Bambino, attribuita ad Antonello Gagini, alta metri 1,40, oltre il piedistallo che è alto metri 0,25 (venne commissionata allo scultore il 26 novembre 1499).

La Madonna sorregge il Bambino con il braccio sinistro e sulla base sono dei bassorilievi con episodi della vita della Vergine (Annunciazione e Visitazione) e figure di santi (San Francesco e Sant'Antonio). Originariamente collocata al centro dell'abside, agli inizi degli anni `80 è stata sistemata nella nicchia sopra l'altare destro del transetto.

Gli affreschi del soffitto, dell'abside e delle parti del transetto, opera di S. Galioto, sono stati realizzati tra gli anni `50 e `60. Nelle cappelle della navata sono collocate le seguenti tele, tutte realizzate nello stesso periodo:

- lato destro: Immacolata e Santa Elisabetta di G. Barone; Sant'Antonio di C. Matteucci; San Francesco Solano di S. Galioto; Santi Francescani di Sicilia di A. Farina.

- lato sinistro: Anime del Purgatorio, San Giuseppe e Santa Lucia di G. Barone; San Biagio e Battesimo di Gesù di M. Amoroso.

La chiesa, che conserva ancora alcuni parati liturgici in seta e delle argenterie sacre dei secoli XVIII-XIX, ha subito notevoli modifiche agli inizi deglianni `80, quando sono stati demoliti l'altare maggiore e il fonte battesimale e cancellati gli affreschi dell'abside per realizzare la nuova, moderna area presbiterale.

Di recente, sono state realizzate alcune vetrate artistiche, su disegno del francescano A. Farìna. Per converso, non hanno avuto seguìto le pratiche per la realizzazione del campanile, secondo il disegno originario, iniziate nei primi anni '70.

Eretta nel 1292 con l'annesso monastero, è pervenuta fino a noi nella sola forma planimetrica. Lungo i secoli la volta e le pareti furono arricchite con artistici stucchi; rifatti con marmi preziosi gli altari e ricavate due cripte sotto il pavimento. Ne risultò un insieme architettonico di archi, lesene e pannelli in cui gli artisti ebbero campo di realizzare con mano esperta le più originali creazioni.

Fra gli altari primeggia quello del miracoloso Crocifisso, autentico capolavoro di architettura, scultura e intarsio.

Il terremoto del 1908, in 30 secondi di scosse del 10° grado della scala Mercalli, sconquassò una regione molto abitata, accumulando 60.000 morti. Della chiesa non rimase che una parte dei muri perimetrali profondamente lesionati. Sotto le macerie della volta perirono 13 Suore, Figlie del Divino Zelo.

Il P. Annibale, che aveva trasferito fin da prima del disastro la sua Opera femminile nei locali del vecchio monastero, maturava l'idea di acquistare anche l'area della chiesa distrutta per ricostruirla dove e com'era prima. Vi riusciva nel 1917. Dopo alterne vicende, ultimato il rustico, e iniziati i lavori di decorazione, Egli muore il 1° Giugno 1927. I lavori furono sospesi. Si ripresero solo nel 1936 portando a termine così i necessari restauri.
Benedetta da Mons. Angelo Paino, arcivescovo, la bella chiesa, totalmente rinnovata, fu riaperta al culto nel Giugno 1938.

II Tempio è anche 'Santuario di S. Antonio', del Santo cioè, che il P. Annibale proclamò, nel lontano 1918, 'singolarissimo e instancabile benefattore nostro e di tutti quelli che alle nostre preghiere si raccomandano'.

II Santuario fu la prima Chiesa in muratura costruita a Messina, dopo il terremoto del 28 dicembre 1908, e sorge sulle rovine di un quartiere, una volta alla periferia della Città, il 'Quartiere Avignone', divenuto per l'opera zelante del P. Annibale, il 'quartiere della carità'.

La progettazione dell'opera fu affidata allo studio dell'Ing. Letterio Savoia, messinese. L'opera rientra nella tradizione dell'architettura ottocentesca. L'impianto spaziale è quello classico della Chiesa basilicale a tre navate che si innestano direttamente nelle absidi senza l'interposizione del transetto. La composizione è ispirata alle forme dell'architettura rinascimentale.

La copertura delle navate è realizzata con tetto a capanna con manto di tegole piane alla marsigliese, mentre le semicupole delle absidi sono rivestite con lastre di piombo.

L'esterno

I prospetti esterni sono interamente rivestiti con paramento di pietra di Melilli (Siracusa).
Sul prospetto laterale, le lesène che denunciano le strutture dell'interno, inquadrano finestre con arco a tutto sesto e la porta laterale d'ingresso.

Una sobria decorazione accompagna il disegno strutturale.
Nel prospetto principale, particolare risalto acquistano sul bianco della pietra, le artistiche fusioni in bronzo.

Del Gangheri è l'altorilievo di S. Antonio, posto nel fastigio del portale d'ingresso. Del Sindoni sono le due statue degli Evangelisti del 'Rogate': S. Matteo e S. Luca, poste nelle nicchie laterali. Le immagini simboliche degli Evangelisti e i bassorilievi che adornano i timpani (notevole il grande S. Cuore tra due angeli sul frontespizio centrale), sono dovuti al Prof. Giuseppe D'Arrigo, decoratore di grande fantasia.
Le due epigrafi che sovrastano le statue degli Evangelisti richiamano il 'messaggio evangelico' della preghiera per le vocazioni e l'amore per gli orfani.
La porta di bronzo dell'ingresso principale è inquadrata da un portale, l'arcata è sorretta da due colonne, al tutto conferisce particolare grazia il delicato ricamo degli ornati.
Nella seconda elevazione della navata centrale un'ampia finestra pentafora, con arcatelle sorrette da esili colonnine, illumina la cantoria.

L'interno

II ritmo delle colonne si ripete nelle lesène dei muri laterali. Sul fondo le absidi coperte da semicupole, si innestano direttamente nelle navate.
La copertura delle navate all'interno si presenta piana, divisa dalle catene delle capriate in vasti riquadri affrescati con maestria da Rosario Spagnoli. Si tratta di una pittura di scuola accademica, di sicura perfezione formale, cui non manca l'originalità, ma il cui maggior valore sta nella tenue e delicata fusione cromatica che dà il tono all'atmosfera del Tempio, e fa di queste pitture un vero strumento di espressione architettonica.

Le opere di arte figurativa profuse con ricchezza nel Tempio, sono intese ad illustrare il grande 'messaggio' evangelico, e ad evocare il culto alla Madonna e a S. Antonio di Padova.
Cosi sulla volta della navata centrale, ammiriamo l'artistica tempera raffigurante Gesù che affida agli Apostoli il 'comando' della preghiera vocazionale: «Rogate ergo dominum messis, ut mittat operarios in messem suam».

Dello stesso autore sono le tempere del profeta Elia, rapito su un carro di fuoco verso il cielo;
la visione del Cuore di Gesù a S. Margherita M. Alacoque; Gesu 'buon pastore'; S. Cecilia all'organo; il trionfo dei cori angelici.
Sulla volta della navata sinistra, dedicata alla Madonna, ammiriamo: nella lunetta sopra l'altare, il trionfo dell'Immacolata; segue la coraggiosa Giuditta che trionfa su Oloferne; la vittoria della ‘Donna' sul serpente tentatore; il trionfo della regina Ester sul cuore del re Assuero; 'Arca di Noè e l'arcobaleno di pace e di alleanza.
Nella navata di destra, dedicata alla gloria di S. Antonio, ammiriamo sull'altare del Santo: il trionfo del Taumaturgo di Padova circondato da angeli;
S. Antonio celeste provveditore che da il pane agli orfani; l'apparizione delta Madonna in un'estasi a S. Antonio; il santo che debella la morte e le malattie; il 'brevetto' di S. Antonio e, infine,il prezioso reliquiario con la Lingua di S. Antonio, incorrotta, portata da Angeli.
Artistici e originali i sette altari del Santuario.

L'altare maggiore, maestoso nei suoi lucidi marmi, intarsiati di bronzi dorati, ritto sulle sue colonne di marmo senese, ricco nelle sue decorazioni e nello stesso tempo semplice nei suoi ornamenti liturgici di candelabri e fiori. II tabernacolo, dal disegno grazioso, a un'opera veramente pregevole. Interessante la 'Cena' in bronzo modellata dal Gangeri.
Gli altri altari sono dedicati alla Immacolata, al Crocifisso e all'Addolorata.
Dello Spagnoli sono le pale degli altari laterali. La decorazione può dirsi insieme ricca ed essenziale. II delicato ricamo degli ornati in foglia d'oro segue le linee del disegno strutturale, le accentua e le compone in armonica fusione.
I pavimenti in marmo, i lampadari in ferro battuto, i confessionali in legno intarsiato sono il prodotto di una tradizione artigiana locale.
Le vetrate istoriate, seguite su disegno dello Spagnoli, distrutte dagli eventi bellici nel 1943, raffiguranti Profeti, Evangelisti e le virtù teologali, sono state in parte rifatte. Da esse filtra una tenue luce che, posandosi sugli ori delicati, sui marmi chiari, sui preziosi colori degli affreschi, crea quell'atmosfera che da maggior valore al tempio;un'atmosfera mistica e raccolta che fa di un'espressione architettonica un invito alla preghiera e alla meditazione...
II visitatore è attratto da una tenue luce che illumina la 'Tomba' del P. Annibale: la preghiera per la sua glorificazione e per impetrare grazie dal Signore, si fa impellente. II pellegrinaggio di anime e di cuori alla Tomba del Servo di Dio è continuo...

- Sac. Eugenio Foti -

Entrando nella Chiesa di Pace, gli occhi si posano spontaneamente su parecchie opere d'arte che, se messe insieme come note musicali, producono nell'anima una dolce sinfonia.
Ma una nota stonata si faceva sentire in tutto il suo stridore: la mancanza di un'opera d'arte che raffigurase il S. CUORE DI GESÙ.
Fare scolpire una statua, data la mancanza di spazio, sarebbe stata un'opera antistorica e antiliturgica. Ed allora, cosa fare?
Ci siamo ricordati di aver visto nel Museo di Messina, un frammento architettonico del 1700, a rilievo e tarsie, tutto di marmo. Abbiamo capito che quest'opera d'arte, con i dovuti ritocchi e restauri, sarebbe stata l'ideale per la nostra Chiesa di Pace.

È un quadro rettangolare con al centro un cuore di marmo rosso in rilievo da cui si sprigionano tanti raggi. Un'opera bella ed eloquente che ripete a tutti noi quello che ha detto a S. Margherita Maria Alococque: «ECCO QUEL CUORE CHE HA TANTO AMATO GLI UOMINI E DAI QUALI NON RICEVE ALTRO CHE DISPREZZO E INGRATITUDINE».E di questo, oltre a soffrire Gesù, ne soffre anche Maria perché è stata Maria a formare quel Cuore nel suo seno verginale. «Carne di Gesù, carne di Maria; Sangue di Gesù, Sangue di Maria! » (S. Agostino).


Maria e Gesù sono sempre uniti sia nella gioia come nel dolore. «È piú facile distaccare la luce dal sole che Maria da Gesù». (S. Luigi di Monfort).
Sono talmente uniti che Gesù per venire a noi ha avuto bisogno di Maria, e noi per andare a Lui, dobbiamo passare per Maria. Maria, infatti, è la via piú breve e piú sicura per arrivare a Gesù; «Anzi non possiamo essere cristiani se non siamo mariani» (Papa Paolo VI). Sembra un'eresia, eppure è la pura verità! Gesù è il Cristo, non il cristiano. Maria è la vera cristiana, Colei che ha saputo seguire e vivere Dio a tal punto che il Figlio di Dio si è incarnato in Lei.
E noi se vogliamo essere cristiani dobbiamo guardare a Maria, imitare Maria, per essere veri cristiani come Lei.

I Santi sono i veri cristiani realizzati in cielo perché veri imitatori di Maria sulla terra.
Sarebbe bello se noi, in quest'epoca di sondaggi, potessimo incaricare l'Arcangelo Gabriele a fare un'inchiesta in Paradiso e domandare a tutti i Santi quale è stata la via piú facile e piú sicura per arrivare in cielo. Sono certo che tutti, nessuno escluso, rispondereb­bero che son passati per l'unica via ed hanno attraver­sato l'unica Porta che si chiama: MARIA!

E che tutti prima di essere «Santi Cristiani» sono stati «Santi Mariani».
E per essere «Santi Mariani» non resta che vivere come Maria, vivere la Volontà di Dio nell'attimo presente. Non è esagerato se diciamo che noi nella nostra vita dobbiamo fare la «Volontà di Maria», perché facendo la volontà di Maria, facciamo automaticamente la Volontà di Dio, dal momento che Maria non ha fat­to mai la sua volontà, ma quella di Dio, ventiquattro ore su ventiquattro ore, per tutta la sua vita.

La volontà di Dio è come il sole luminoso che brilla sopra di noi. Questo sole ci illumina e ci riscalda con i suoi raggi. Ognuno di noi deve percorrere il suo raggio facendo la volontà di Dio.
Percorrendo il suo raggio arriva certamente alla Fornace ardente che è il Cuore di Gesù così fantasticamente raffigurato dal nostro frammento architettonico che possono tutti ammirare entrando nella nostra Chiesa, nella prima facciata, a destra.

Sac. Eugenio Foti

__________________________________________________________________________

La Chiesa di S.Maria delle Grazie fu voluta, nel 1622, dal Viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia e  costruita su progetto di Simone Gullì. Distrutta dal terremoto, essa si presenta ricostruita sul modello dell'originale del '600, con aula a pianta centrale circondata da portici e sormontata da un'imponente cupola.

- di Daniele Espro -

 

Fu fondata, secondo Padre Placido Samperi, nel 1619 da una Confraternita di Fruttivendoli, in occasione di una miracolosa sudorazione di un quadretto raffigurante la Madonna dell’Odigitria (dal greco del giusto cammino).

Affrescata nel 1730 da Letterio Paladino, è stata gravemente danneggiata dal terremoto del 1908. Sorgeva nei pressi della chiesa attuale.
Ricostruita nel 1932, modificando il progetto originario, dall’ing. Guido Viola, sorge nella parte alta del quartiere San Leone, al termine della via Quod Quaeris.

L’interno conserva importanti opere d’arte, quali l’altare maggiore intarsiato, di fattura barocca e datato 1762, un quadro raffigurante la Madonna della Pietà, di fattura popolare (forse della seconda metà del sec. XVIII), un ostensorio ottocentesco e un’icona marmorea della Madonna Addolorata.
Recenti sono la statua policroma di Santa Maria la Nuova, datata 1933, ed un quadro dedicato sempre alla titolare, realizzato nel 1910, da un tale che si firma Egitto, del quale non si segnalano altre opere.
Infatti, come spesso è accaduto, sono conservate nelle chiese opere estemporanee di artisti non professionisti.

Calendario

« Novembre 2024 »
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30