Con i nuovi rifacimenti che sono stati operati, assai poco è rimasto delle opere che dopo il terremoto erano state ricomposte quasi pezzo per pezzo; ma quel che si è salvato è buona testimonianza di una cultura artistica di grande rilevanza.
Il Duomo è lungo 92 metri, largo (al transetto) 39 metri e 60 centimetri, alta 30 metri. Sorge su pianta basilicale a forma di T; o croce decussata, ed è tripartito da una doppia fila di colonne che sorreggono gli archi acutì delle navate, intersecate dall'ampio transetto, contenuto da tre absidi semicircolari, alto e turrito, sopraelevato rispetto al resto della chiesa e notevolmente sporgente fuori dalle navate.
Tale composizione conferisce a tutto il monumento fisionomia particolarissima, che lo accomuna ad altre chiese coeve di Messina, la cui costruzione se è opera di maestranze di diversa cultura, obbediva pure ad apporti concettuali delle regole monastiche benedettine o basiliane che variamente operavano in Sicilia e sulle quali, per ragioni politiche, si appoggiavano i conquistatori normanni. Impianto planimetrico simile, infatti, presentano in città sia l'Annunziata dei Catalani, sia Santa Maria della Valle detta la Badiazza. Altri esempi nell'isola sono il Duomo di Catania, di Monreale, di Cefalù e di Mazara del Vallo.
All'infuori dell'impostazione planimetrica, che è rimasta inalterata, il tempio, quale ora si presenta a seguito delle ultime ricostruzioni, ha più carattere di imitazione di un modello medievale elaborato attraverso vestigia, talvolta labili, anziché di ripristino di un monumento danneggiato.
Il paramento della facciata, a strisce policrome, che giunge oggi all'altezza dell'imposta della parte centrale, copriva prima quasi interamente il prospetto sino all'attacco dello spiovente superiore. Sulla facciata si aprono tre porte monumentali. La principale è attribuita all'abate Baboccio da Piperno che fu a Messina dalla fine del Trecento sino ai primi anni del secolo successivo. Profonde variazioni furono poi apportate dallo scultore Pietro di Bonate.
Sembra che al Baboccio sia da ascriversi la maggior parte della decorazione scultoria, come il Cristo fra gli Evangelisti e tutto l'insieme dei rilievi degli stipiti, del piccolissimo protiro, re, profeti, putti, mostri, girali di tralci e di grappoli interrotti dagli arguti gruppi di figure femminili affacciatisi negli sguanci. Orizzontalmente al fianco della porta si stendono delle fasce in bassorilievo ove sono riprodotte, frammiste a figure, scene dei lavori dei campi, che hanno lo stesso carattere delle sculture del portale.
Al carrarese Giovanbattista Mazzeo (1534) si deve la statuetta della Vergine nella lunetta, sul fondo della quale è un affresco ottocentesco di Letterio Subba (1840) posteriormente rimaneggiato.
II tardo gotico del Baboccio si stempera nell'alto timpano posteriormente aggiunto (1468) da Pietro di Bonate, al quale si deve l'Incoronazione della Vergine posta al centro, e le due statue dell'Angelo e dell'Annunziata.
A fianco di questo portale si aprono le due porte laterali con le loro ghiere arcuate e le decorazioni degli stipiti che pur presentano qualche accenno romanico. Quella di sinistra ha due mensole a fogliame molto slanciato, che ritornano simili nel monumento sepolcrale dell'arcivescovo De Tabiatis nell’interno della chiesa. È formata da cordoni posti a strombatura, completati da capitelli. La decorazione degli stipiti, degli architravi e dell'estradosso è particolarmente vivace nell'alternarsi dei motivi zoomorfici e ornamentali. Nella lunetta, in tarsia, la Vergine benedicente.
La porta di destra, che nell'intradosso reca scolpita la data 1518, che si riferisce forse più che alla sua manifattura ad un suo restauro, è viva e presenta più pacato intreccio di elementi floreali e zoomorfi, rispetto all'altra: nel centro, Davide in atto di suonare la cetra; nell'architrave profeti ed apostoli.
Ai lati del tempio vi sono altre porte. Due, splendide e di raffinatissima stesura sono state ideate quasi certamente da Polidoro da Caravaggio (1490-1543), che arrivò a Messina dopo il sacco di Roma, ed eseguite da Rinaldo Bonanno (1545), che lavorò nella decorazione e nei monumenti del Duomo. Le due porte sono quasi uguali l'una all'altra, differendo solo per qualche dettaglio. Due colonne scannellate si alzano su piedistalli ornati da elegante motivo a girali e che si dipartono da un punto centrale; sui capitelli compositi poggia la cornice ed il fregio ornato da robusta composizione di elementi floreali, finemente piegati e con boccioli aperti. Un frontone circolare completa la composizione.
Altre due porte laterali danno ingresso al Duomo e sono aperte sui muri perimetrali; ad esse però si giunge attraverso i due corpi di fabbrica che sono addossati alle navate, e che sono stati creati per i servizi della chiesa e del clero. Sorsero, pare, per volontà dell'arcivescovo De Tabiatis nel secolo XVI, e si sa che la costruzione sul lato nord, adibita a sagrestia, venne rifatta ed ampliata nel 1696 dall'arcivescovo Alvarez su disegno dell'architetto di corte Raffaele Margariti. Crollata per il terremoto del 1908, è stata dei tutto ricostruita. II disastro però ha svelato alcune strutture antiche della porta del vano ad essa antistante che ora funge da antingresso alla sagrestia. Così, insieme ai fianchi bugnati costituiti da conci bianchi e neri, risalta la gran porta ogivale di ingresso aperta nei muri della navata, ove la decorazione a motivi geometrici a commesso è movimentata dalle esili ed eleganti colonne tortili poste nello strombo, sorreggenti leggere cordonature.
Assai interessanti sono gli stipiti di due altre antiche porte ornate a viticci di carattere bizantino e un'altra più remota porta che si imposta su capitelli ornati di foglie ad uncino.
Il corpo aggiunto addossato al lato sud conserva caratteri quattrocenteschi. La grande porta ogivale è del consueto stile siciliano del Quattrocento e su questa, una finestra oblunga contrassegnata da cornice. Sul fianco del fabbricato, decorato a strisce orizzontali bianche e nere, si apre una magnifica finestra bifora dove sono impiegate sottilissime colonnine e che è servita da modello alle altre che si aprono lungo la parete esterna. Nel piccolo vano interno si apre la porta di accesso al tempio ricavata nei muri della navata; essa è simile a quella del lato nord; sulla lunetta è una garbata ceramica moderna di Mario Lucerna.
La porta di accesso al Tesoro ha carattere cinquecentesco, stipiti decorati a candeliere, un fregio di testine alate e, nella lunetta, un bassorilievo raffigurante Santa Lucia. Di fronte si apre un'altra porta che permette l'accesso agli alloggi di sacerdoti, sormontata da cornice a festoni nel cui riquadro è lo stemma di Messina fiancheggiato da due putti che sostengono una corona.