di Michele Cappotto
Altitudine: 314 s.l.m.
Etimologia: Il nome "Sant'Angelo" fu dato al paese in omaggio a San Michele Arcangelo, Principe delle Milizie Celesti, a cui fu dedicato un Monastero Basiliano, fatto erigere tra il 1070 ed il 1084, dal conte Ruggero, a ricordo di una vittoriosa battaglia, combattuta in questo territorio contro i Musulmani. L'appellativo "di Brolo" (che è il sottostante abitato sul mare) fu aggiunto a "Sant'Angelo" per distinguerlo da altre località omonime.
Abitanti: santangiolesi (3413 unità nel 2009)
Densità: 113 abitanti/Kmq
Patrono: San Michele Arcangelo (festa il 29 settembre)
Ambiente e risorse: Tra i principali prodotti locali segnaliamo il grano, le olive, le nocciole, la frutta, gli agrumi e gli ortaggi. Caratteristica è la produzione artigianale basata sulla lavorazione del legno, del rame, ottone, del ferro battuto, degli intrecci di vimini, dei ricami e dei lavori a tombolo.
Ma il paese ha gran fama dal suo Salame di Santangelo di puro suino nero tipico dei Monti Nebrodi preparato con tutte le masse muscolari dell’animale. La speciale qualità è data dalla lavorazione tradizionale ed artigianale e qualitativa delle carni mentre la stagionatura è favorita dal peculiare microclima della vallata.
Fu grazie alla colonizzazione Normanna che il paese di Sant’Angelo di Brolo vide la nascita del suo salame, ed è grazie alle sapienti mani dei Santangiolesi che questo capolavoro della salumeria mantiene ancora oggi inalterate quelle caratteristiche che lo contraddistinguono nel mondo. E’ prodotto esclusivamente con le parti pregiate delle carni suine che vengono lavorate artigianalmente, mediante antiche tecniche di cubettatura, mondatura e snervatura; insieme al sale marino delle terre Siciliane ed al pepe nero mezza grana, si forma l’impasto che poi viene insaccato in un budello naturale, tagliato a misura e legato a mano con uno spago.
Storia
La fondazione dell'attuale centro urbano si colloca storicamente in epoca normanna, attorno al monastero basiliano di S. Michele Arcangelo, fondato in epoca bizantina. ll Gran Conte Ruggero infatti concesse nel 1084, all'Abate dei Monaci Basiliani, l'investitura, sia del Monastero di San Michele, che del territorio degli antichissimi borghi di Lysicon, Tondocon, ed Anzan, i cui abitanti, dopo la loro distruzione per opera dei Saraceni, si trasferirono nel nuovo centro urbano (quello attuale) che così andò man mano sviluppandosi a valle del Convento. L'abate del Monastero fu pertanto il primo e l'unico signore feudale della Terra di S. Angelo sino all'abolizione del feudalesimo in Sicilia nel 1812.
Durante tale investitura, diverse famiglie ebbero concessi, dagli Abati Feudatari che si succedettero nel tempo, parecchi feudi. Fra gli antichi casati santagiolesi, si annoverano quelli baroni Caldarera, Taviano e quelli dei marchesi Angotta, Amato, Natoli e Tedeschi. Tra questi nobili si distinsero gli Angotta e gli Amato, di origine spagnola, le cui insegne araldiche fregiano la Torre saracena di Piano Croce, diventato castello dopo i terremoti del sec. XV e che si erge in contrada Calabrò sulla vecchia strada provinciale che conduceva al paese.
Il fortilizio ancor oggi presenta gli elementi costitutivi tipici medioevali: cinta, mastio e palazzo con merlatura, ponte levatoio, piombatoie o caditoie, destinate al getto verticale di proiettili di ogni sorta, nonchè le saettiere che servivano agli arcieri. S. Angelo raggiunse il suo massimo sviluppo fra i sec. XVI e XVII grazie all'avvio della produzione della seta di cui beneficiarono soprattutto le due famiglie più abbienti, quella degli Amato e quella degli Angotta. Fino al 1867, e cioè fino a quando nei Conventi dimorarono i Frati, Sant'Angelo fu anche famoso centro di cultura, nel quale confluivano gli studenti di moltissimi paesi della Provincia i quali, ultimati gli studi nelle scuole dei Conventi, potevano accedere alle facoltà dell'Università di Palermo.
Beni Culturali
La Chiesa Madre si presenta con uno stupendo portale in arenaria intagliato. A croce latina, con tre navate, fu ricostruita nel 1534 al posto di una di stile romanico, testimoniato da una piccola cappella venuta alla luce durante lavori di restauro, posta nella navata destra sotto al campanile, che presenta una volta costolonata appartenente alla precedente costruzione. L'interno conserva in gran parte gli arredi originali.
Nella prima cappella a destra si notano due sarcofaghi marmorei appartenenti a nobili famiglie: uno degli Angotta-Amato e l'altro dei Natoli, da cui discende il Marchese Vincenzo, nato nel 1690, che fu giudice di Gran Corte Criminale dal 1731 al 1742 e presidente del Tribunale del Real Patrimonio nel 1758.
All'interno si trovano altre pregevoli opere d'arte tra le quali una statua marmorea del XV sec. raffigurante la Madonna del Lume, attribuita alla scuola di Francesco Laurana e la bellissima statua lignea di San Michele Arcangelo. All'altare maggiore, di notevole interesse artistico, è un'altra statua in marmo del sedicesimo secolo raffigurante la Madonna col Bambino. Pregevoli sono poi un dipinto su tela raffigurante l'Immacolata risalente agli inizi del '700, uno dei Santi Cosma e Damiano, attribuibile al pittore Giuseppe Tommasi, che raffigura i due santi medici in atto di curare un ammalato, un Crocifisso ligneo del XVIII sec., un organo settecentesco di Annibale Lo Bianco, un quadro dell'Addolorata di ispirazione caravaggesca e dei paliotti del XVIII sec., ricamati in seta e fili d'argento e d'oro. La secentesca Chiesa di S. Filippo e Giacomo, si erge nella parte bassa del paese, in essa la nobile famiglia degli Amato fissò la cappella di famiglia. La Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, ricca di sculture e di dipinti, rappresenta uno dei più bei monumenti del patrimonio artistico di Sant'Angelo. Oggi è chiusa al culto e aspetta di essere restaurata per tornare al suo antico splendore. Fu costruita nel 1651 su di una preesistente struttura del ‘500 (di cui resta il campanile e la campane) ad iniziativa di Don Filippo Amato Angotta, Principe di Galati e Duca di Asti, che a Sant'Angelo aveva avuto i natali.
Il tempio disposto a croce latina, a tre navate, ha una facciata baroccheggiante, ravvivata da figure, animali e grandi cornicioni. All'interno, superata un'antiporta dorata del 1500, colonne monolitiche, con capitelli di vario stile (ionico, corinzio, rinascimentale) dividono le navate. L'abside della navata laterale sinistra racchiude l'altare del sacramento, in marmo policromo ad intarsi, sormontato da un dipinto su tavola, di epoca seicentesca e di notevole valore artistico che raffigura la Pentecoste. Nell'abside della navata laterale destra si trova un simulacro processionale della Madonna del Carmelo, che risale al 1700, e un quadro del Martirio di S. Sebastiano.
Nell'abside della navata centrale, quattro oli di formato ridotto, tutti della seconda metà del sec.XVII, raffigurano La Visitazione, La Sacra Famiglia, La Trinità e L'Adorazione dei Magi. Sull'altare maggiore troneggia un gruppo ligneo dorato che risale al 1600, la Madonna che appare a S. Simone . Il gruppo, opera di un abile scultore siciliano, rivela alte qualità stilistiche ed espressive, specie nella riproduzione ritrattistica della vergine e del santo. Dietro l'altare si nota il maestoso organo del 1700. Della stessa età è il pergamo, addossato alla penultima colonna di destra, eseguito dalla stessa bottega di intagliatori cui si deve il pulpito della chiesa di S. Francesco. Alla parete destra del transetto un dipinto, di ignoto del sec. XVIII, raffigura i SS. Filippo e Giacomo, titolari della chiesa, mentre sulla parete sinistra è affrescato il Martirio di S. Stefano, databile intorno alla fine del sec. XVI.
La cappella che si apre nella navata destra ospita il gruppo marmoreo dell'Annunciazione, di scuola gaginiana. Vi spiccano inoltre due sontuosi monumenti funebri di marmo con fregi policromi della famiglia Amato, contenente le spoglie , l'uno di Tommaso, Bernardo e Geronimo (1593), e l'altro, quelle di Gregorio (1612). Alla parete della terza arcata della navata destra pende un dipinto secentesco, che raffigura la Lapidazione di S. Stefano. Tra i persecutori è visibile S. Paolo, che tiene le vesti tolte al martire. Nelle arcate della navata sinistra vi sono una statua in legno del Crocifisso e un dipinto dell'Adorazione dei pastori, opera di fine del Cinquecento. La Chiesa S. Francesco di Paola fu ultimata nel 1582. Vi era annesso il Convento dei Minimi, un ordine monastico di vocazione mendicante, senza tradizioni culturali. All'interno dell'unica navata con piedritti aggettanti ed arcate in arenaria ci sono due altari in marmo ad intarsio che arricchiscono le absidi laterali. Si notano un Crocifisso del 1700 e, nell'abside, il sarcofago in marmo di Giovanni Domenico Ceraolo "uomo di preclara virtù e fondatore del sacro cenobio".
La nicchia sopra l'altare maggiore contiene una Statua di S.Francesco di Paola, in legno scolpito e dipinto della fine del sec. XVIII. La Chiesa di S. Nicola è stata costruita nel 1566. In pianta basilicale, ha una facciata rinascimentale. Otto colonne monolitiche delimitano le tre navate. Il tempio è chiuso al culto. Il portale è inserito tra piedritti fregiati e sulla trabeazione poggiano bassorilievi con antiche iscrizioni. Due altari in marmo ad intarsio arricchiscono le absidi laterali. Nella Chiesa di S. Francesco d’Assisi (o Santa Maria degli Angeli) annessa al cinquecentesco Convento si accede da un prostilo con colonne monolitiche in arenaria, posto alla sommità di una gradinata acciottolata. In prossimità dell'Altare Maggiore, poggiati alle pareti laterali, si trovano i sarcofaghi barocchi in marmo contenenti i resti dei marchesi Michele e Lucrezia Angotta. Dietro l'Altare Maggiore, in fondo all'unica grande navata di cui la chiesa è costituita, si ammira pure un antico quadro ad olio su tela, di vaste dimensioni, contornato da una sfarzosa cornice di legno dorato a grande rilievo, raffigurante la Madonna col Bambino, tra Angeli e Santi, opera di Antonio Catalano il Vecchio nonché una pregevolissima scultura lignea del Crocifisso, eseguita nel 1644 da Frà Innocenzo da Petralia (confratello del più noto Frà Umile). Il Convento presenta un bellissimo ampio chiostro.
La Chiesa di S. Domenico ad unica navata, originariamente dedicata a S. Antonio, risale alla prima metà del 1500. Nel 1563, sotto il pontificato di Pio IV, essa fu concessa dall'abate basiliano Bologna ai PP. Domenicani (i Frati Predicatori), che vi annessero il convento (adibito ora a Palazzo Municipale), destinandolo allo studio dei novizi. L’interno è impreziosito dagli stucchi di Aloisio Piscott (1779), allievo della scuola del Serpotta, e da vari affreschi. Ai lati dell'altare maggiore, su cui campeggia una statua in bronzo di S. Domenico, si notano due sarcofaghi della famiglia Angotta. I piedritti del bellissimo portale in pietra grigia sono lavorati a tortiglione, al pari di quelli che sorreggono l'arco trionfale dell'abside. Sulla trabeazione del portale si nota una statuina di S. Domenico, di marmo bianco, custodita in una nicchia, e l'iscrizione dell’anno 1701. Le decorazioni furono ricoperte di calce viva (forse durante la peste del 1743) e sono state, in parte, riportate alla luce nei lavori di restauro del 1960, allorché fu rifatto anche il soffitto a cassettoni, ad imitazione di quello antico.
Di grande importanza architettonica è la settecentesca Chiesa del SS. Salvatore. Presenta tre navate e otto colonne corinzie monolitiche con capitelli corinzi. Riaperta al culto nel 2007 presenta una pianta basilicale, con una bella facciata in stile rinascimentale. Vi si accede da una sontuosa scala a doppia voluta ornata da colonnine e balaustra in pietra. All'interno si trovano una preziosa statua in marmo di S. Maria del Lume con bassorilievi (sec.XV) attribuibile ad un seguace di Francesco Laurana, un dipinto su tela raffigurante l'Immacolata risalente agli inizi del '700, un Crocifisso ligneo del XVIII sec. e l’elegante sarcofago di Giovanni Collorà e la pregevole lapide sepolcrale di Martino Taviano (1747). In un acroterio, sopra il portale principale, è scolpito l’anno (1701) di ristrutturazione dell'edificio.
All’interno della chiesa oggi è allestito il Museo d'Arte sacra. La ricca esposizione di opere d'arte, provenienti in gran parte dalle antiche Chiese presenti nel territorio e realizzate su committenza da abili artigiani locali, è suddivisa nella sezione dei paramenti e nella sezione degli argenti; quest'ultima, allogata nella sagrestia, custodisce uno splendido ostensorio impreziosito da diamanti e perle realizzato nel XVII sec. da Filippo Juvarra . Il Monastero di S. Michele Arcangelo (Abbazia basiliana), monumento fondamentale della storia del paese, fu ricostruito nel 1084 dal Gran Conte Ruggero di Altavilla, su una superficie di tremila metri quadrati.
Distrutto nel 1450 dalle fondamenta, a causa di un violentissimo terremoto, fu riedificato subito dopo per intero, sulla base del preesistente, ad iniziativa dell'arcivescovo Giovanni Burgio, che nel 1449 l'abate Cardinale Bessarione aveva costituito luogotenente e governatore generale di tutte le chiese di cui egli era titolare. Dell'originario complesso, destinato nel 1879 a cimitero, avanzano solo il chiostro, nelle cui arcate sono state allogate le cappelle gentilizie, e il campanile della chiesa con la guglia ottagonale, rivestita da piastrelle maiolicate, che reca in cima l'immagine di S. Michele, forgiata in lamiera di ferro. Rimangono anche tratti della cinta muraria e dell'arco d'ingresso alla chiesa sul lato nord; su quest'ultimo si legge la data del 1556. A sud sono ancora visibili lo stipite e l'architrave di un portale di accesso al chiostro, nonchè, nei paraggi, una vasca di irrigazione al servizio del giardino ed un antico frantoio. Reperti di capitelli, colonne e fregi sono sparsi qua e la. La chiesa è crollata nel 1923. Nella cripta sotto l'abside esiste ancora un pregevole affresco d'epoca, delle dimensioni di cm 50-70 circa, in ottimo stato di conservazione, effigiante il Crocifisso.
L’abitato di S. Angelo di Brolo è tipico medioevale ben rappresentato dal complesso dei palazzi nobiliari ed aristocratici e dalle suggestive viuzze dove resistono testimonianze di un antico prestigio storico e culturale ma anche di attività artigianali e commerciali. Sulla piazza Vittorio Emanuele, alberata attorno al monumento ai caduti, prospettano i palazzi gentilizi con portali scolpiti in arenaria e ringhiere in ferro battuto, testimonianza dell'esercizio di arti e mestieri, ancora fiorenti. Vi si affaccia anche la prestigiosa sede del Circolo "Il Sole", fondato nel 1860. Da vedere anche il Carcere borbonico, l’Arco a Sesto Acuto (detto “u Cappelluni”).
Poco lontano a monte del borgo vi è un’antica preziosa Icona di S.Michele Arcangelo risalente al sec.XI.
Tradizioni
Molto sentiti e di grande partecipazione sono i riti religiosi: il Venerdì Santo; la festa patronale del SS. Crocifisso (13-14 agosto); la festa di Maria S. Michele Arcangelo (29 settembre); il Presepe Vivente (periodo natalizio). Tipiche sono poi la Fiera del Bestiame (settembre) e sagra del salame santangiolese (3-6 agosto) prodotto noto in Italia ed all’estero.
Caratteristica, a Sant'Angelo, è poi la festa della "benedizione dei lauri", che si celebra il giorno dell'Epifania, con la processione in chiesa di un bambino vestito da Angelo, che rievoca antichi riti religiosi del periodo in cui l'Abate Basiliano ebbe la giurisdizione sul paese.
Personaggi: Sant'Angelo ha dati i natali a vari illustri personaggi della storia e della cultura locale e nazionale tra cui: lo scultore Francesco Terranova, autore di un pregevole baldacchino del 1737 custodito nella chiesa Madre di Montalbano Elicona, e di altre pregevoli opere, fra cui un bel coro nella locale chiesa di San Nicolò;
lo scienziato Ignazio Caldarera, direttore dell'Orto Botanico di Palermo ed autore di varie pubblicazioni;
il prof. Armando Saitta, docente di Storia e Filosofia all'Università di Pisa, membro di diverse Accademie italiane e straniere, ed autore di numerosissime pubblicazioni storiche e filosofiche e di parecchi testi universitari ed infine
Achille Saitta, (1898 –1981) che è stato uno noto scrittore, giornalista e commediografo.
Curiosità: Famosa a Sant’Angelo è la Leggenda di Pietra Zita che accenna alla esistenza, nella località che porta tale nome, di un ingente tesoro ivi nascosto, reso intangibile dalla sovrumana protezione di un incantesimo. Si tramanda che verso il sec. XV, ci fu un periodo durante il quale il territorio di S. Angelo era infestato dal brigantaggio. Una giovane promessa sposa venne rapita da alcuni banditi mentre stava per recarsi a nozze. Condotta con violenza presso il loro rifugio che si trovava in un luogo con delle caverne adiacenti ad un enorme masso (a cui è stato poi dato il nome di "Pietra Zita" cioè della fidanzata), la ragazza si ribellò decisamente non volendosi prestare alle voglie del brutale capo dei briganti. Quest’ultimo, respinto e preso dall'ira, la uccise dopo averle detto: "Custodirai col tuo sangue il tesoro che qui nascosto! ". Il “tesoro” costituito dalla refurtiva di quei briganti, sarebbe pertanto rimasto nei secoli sotto la custodia di quell’incantesimo.