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L’Olio di Cannone

- di Marco Giuffrida -

No, non era roba militare!

Cannone era il Signore che, quando lo trovava, vendeva, nel suo negozio, o quello che restava del suo negozio, l’olio d’oliva.

La “sugna”, lo strutto, era il principale grasso che veniva adoperato per cucinare.

Un uovo fritto nella sugna, con un pizzico di sale, era una cena eccellente che, magari non riempiva tanto lo stomaco, che il pane disponile era poco, ma, almeno, dava le calorie sufficienti.

Ma, per condire, magari un cucchiaio solo, l’olio ci voleva.

E l’olio, negli anni successivi alla guerra, diciamo dal 1947 al 1950 era merce abbastanza rara e cara.

Lo si comprava sfuso.

Come del resto sfusi si acquistavano zucchero, pasta, farina e tante altre cose.

Non so quale “codice” esistesse ma, certamente, c’era un qualche messaggio, che rimbalzando di casa in casa, di famiglia in famiglia, da donna a donna, metteva in moto il meccanismo della “migrazione”.

“Arivò l’oghiu da Cannuni!” (e chiedo sempre scusa per il mio modo di interpretare e scrivere il messinese).

Ed ecco che le mamme, con i ragazzi per mano, si ritrovavano in strada, bottiglia di vetro in borsa, dirette verso la Bottega di questo Signor Cannone.

Dall’angolo dei miei ricordi esce chiara l’immagine di donne che si accompagnavano fra loro, con bambini per mano, precedute da frotte di ragazze e ragazzi più grandi in allegra conversazione.

Ancora oggi, mi impressiona, nel “proiettarmi” queste “scene” l’assoluta mancanza di uomini adulti in questi “andirivieni”.

Per via, a volte, si incontravano si degli uomini ma erano stranieri, in divisa, armati e, spesso, di colore.

Vi erano, anche, militari marocchini, o qualcosa del genere, che affiancavano le truppe americane e, soprattutto di questi, le donne avevano paura dato che vi erano stati “incidenti”.

Uno dei motivi, questo, per cui (lo seppi dopo, da grande) le donne andavano in gruppo.

Dal Torrente Boccetta si scendeva verso il mare e, prima di arrivarvi, bisognava girare a sinistra e proseguire verso l’estrema periferia.

Si passava a fianco di mucchi di macerie che, rimosse dalle strade, erano state ammonticchiate negli angoli di quelle che, una volta, erano case.

Infine, e come in tutti gli esercizi che potevano offrire in vendita qualcosa, ti accorgevi d’essere arrivato per la gente che aspettava fuori vociando.

Pian piano, all’uscire di chi era dentro, la fila avanzava.

Un passo alla volta.

Appena entrati: “Quantu ni vuliti? Era la richiesta.

Scambio di merce contro denaro, ed il solito saluto: “voscenza benedica” e si usciva.

Non ricordo se, quell’olio verde e denso, fosse venduto a peso o litro.

Messo il tappo di sughero nella bottiglia riempita, la mamma la riponeva con attenzione nella borsa poi, con me per mano, usciva e, fuori attendevamo che le altre donne con cui si era accompagnata fossero servite per rientrare, assieme, a casa.

Condire la verdura, un cucchiaio alla volta, per qualche tempo, ora sarebbe stato possibile ma certo non avrebbe accontentato la nonna che recitava:

“Insalata ben salata, picca acitu e assai ugghiata e da ‘n porcu arriminata”.

Si, certo, per l’aceto si sopperiva con il limone, il sale non rappresentava un problema perché c’era e costava poco e, in quanto al molto “oliata”..... beh, quel poco del prezioso liquido che veniva messo, si distribuiva girando e rigirando la verdura ben di più e molto meglio di quanto avrebbe fatto il “maiale” della filastrocca.

Sapevo per certo, però, che, quel pomeriggio, qualche goccia d’olio sarebbe stata messa su una fettina di pane riscaldata sulle braci del fornello con l’aggiunta di un pizzico di sale ed uno d’origano.......

Ogni tanto, una merenda di lusso!

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