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Dina e Clarenza

 

Durante l'assedio angioino di Messina, Carlo non risparmiò né uomini né mezzi per espugnare la città. Vista inutile la tattica dell'assedio generale ad oltranza, che tagliando ogni via di rifornimento avrebbe dovuto fare arrendere per fame i messinesi, pensò di approfittare d' ogni momento del giorno e della notte per dare l'assalto alle mura e ai forti con la speranza di aprire una breccia dalla quale far passare il grosso dell'esercito. La sua tattica, in effetti, era da manuale di guerra perché, mentre fingeva di attaccare in un punto, faceva assaltare la città in un altro posto, impegnando così allo spasimo i pochi messinesi ancora idonei ed abili alla difesa.

In ogni occasione Carlo si dimostrò sempre spietato e disumano, come attestano i tanti piccoli episodi accaduti durante l'assedio che costò la vita a tutti i prigionieri caduti nelle sue mani. Convinto che Messina era la chiave della Sicilia e che, caduta questa, l'intera isola si sarebbe docilmente sottomessa alla sua volontà, egli andava ripetendo: "Tagliamo la testa all'Idra e Sicilia cadrà". Ma la cattiveria maggiore Carlo la dimostrò verso le donne di Messina che, infaticabili e in disprezzo d' ogni pericolo, non solo rifornivano continuamente i combattenti di armi e vettovaglie, ma spesso ad essi si-sostituivano nella vigilanza e anche nella difesa delle mura.

Scrisse il Villani: " ...Stette lo Re con sua oste intorno a Messina da due mesi, e dando la sua gente alcuna battaglia dalla parte ove non era non era murata, i Messinesi colle loro donne, le migliori della terra, e co' loro figlioli piccioli e grandi, subitamente in tre dì feciono il detto muro, e ripararono francamente gli assalti dei Franceschi. E allora si fece una canzonetta, che disse: Deh, com'egli è gran pietate, /delle donne di Messina, / veggendole scapigliate. /portando pietre e calcina. / Iddio gli dea briga e travaglia / a chi Messina vuol guastare... ".

Si racconta che Carlo, un giorno, livido di rabbia, arringando i soldati e alzando il pugno minaccioso verso il cielo, abbia esclamato: "Soldati di Francia! Chi per primo di voi entrerà in Messina; sarà ricoperto d'oro. Nessuno usi misericordia! Uccidete. bruciate, violentate le donne!... La città deve essere rasa al suolo, perché sopra vi spuntino le ortiche!.:. Uccidete gli uomini, i vecchi, i bambini; salvate solo le donne per vostro piacere. A ognuno di voi regalo la sua donna!... ".

Quando le donne di Messina vennero a conoscenza del discorso di Carlo, sapendo che i Francesi erano capacissimi di far questo ed altro, arsero di sdegno e corsero nuovamente sopra le mura a rafforzare le difese e a prendere parte attiva ai combattimenti. Tutte si davano da fare, e chi non era in grado di combattere serviva i combattenti e li incitava a gran voce, curava i feriti e porgeva armi da scagliare contro gli assalitori. Altre donne portavano le caldaie con l'olio bollente e le braci di fuoco e le gettavano addosso agli inferociti e sbigottiti avversari. Dagli spalti, inoltre, a dimostrare la loro saldezza di nervi e la sicurezza nella vittoria, pur se inferiori di numero e di mezzi, gridavano agli affamati Francesi: "Ecco! Volevate conoscere le donne di Messina e ora le state conoscendo nella loro fierezza!".

Tra le tante eroine rimaste celebri nella storia, Messina ancora si esalta al ricordo di Dina e Clarenza. Ecco come la tradizione ricorda le loro gesta. L' 8 agosto 1282, mentre su Messina impazzava un temporale, i Francesi, viste le mura della Caperrina momentaneamente incustodite, perché i difensori erano andati a ripararsi dentro le case, le scalarono con facilità ed entrarono nella spianata. L'allarme, però, fu presto dato sicché Alajmo da Lentini, vecchio e prode soldato, conscio del grave pericolo che incombeva sulla sottostante città, prontamente spostò in quel punto tutte le forze disponibili. La battaglia si accese tremenda, e grande fu la strage dei nemici.

Gli Angioini furono ricacciati al di là delle mura e la vittoria quel giorno allietò non poco gli animi degli eroici difensori messinesi. Venne la notte. Le mura, che nel corso di quella battaglia erano state sbrecciate in più punti, avevano urgente bisogno di essere riparate. Come fare? Al chiarore delle fiaccole si mossero di nuovo le donna di Messina, le donne del popolo e le matrone, portando chi calcina, chi tavole e chi pietre, e tutte facevano a gara nell' adoprarsi al meglio delle loro forze. Terminati alla meno peggio i lavori più urgenti, le donne, per consentire ai combattenti di riposare almeno per qualche ora, si offrirono di prendere il loro posto e di vigilare anch'esse a turno sugli spalti.

II campo angioino, intanto, era in fermento. La sconfitta subita era dura da digerire. I capi squadra urlavano come forsennati per rinserrare le fila e far tornare i soldati all'attacco della Caperrina, che sapevano guasta e mal difesa. Ma ora, sulle mura, c'erano le donne e proprio da quella parte vigilavano Dina e Clarenza, due tra le più coraggiose e decise dame messinesi. Esse, pur se stanche per la fatica della battaglia precedente, restavano vigili e attente, consapevoli che dal loro servizio dipendevano la sicurezza e la stessa libertà di Messina.

Ad un certo punto, tra i campi sottostanti successe qualcosa di sospetto. Gli assalitori angioini, infatti, si avvicinavano in silenzio, portando scale ed armi d'assalto. Dina e Clarenza non si persero d'animo. Appena i nemici furono scorti, Dina cominciò furiosamente a lanciare sassi contro di loro e Clarenza corse subito in città, entrò come un fulmine nel campanile del Duomo e diede corda al campanone, suonandolo a stormo, chiamando così il popolo ad accorrere in difesa della Caperrina. E fu nuovamente vittoria.

Messina oggi onora le sue eroine nelle due statue che battono le ore nel campanile del Duomo e In due grandi sculture, opere di A. Bonfiglio, inserite nel prospetto nord del Palazzo comunale. Ma la vicenda del Vespro messinese, oltre che per l'eroismo delle sue donne, è ricordata anche per una serie di episodi a metà strada con la leggenda.

La tradizione popolare, infatti, non sapendo in quale altro modo giustificare l'accanita e sempre vincente resistenza dei messinesi nei confronti del numeroso ed agguerrito esercito angioino, attribuì il fatto all'aiuto e al sostegno dati ad essi dalla Madonna della Lettera, protettrice e custode di Messina. In quella circostanza è tradizione che la Madonna della Lettera sia apparsa in forma di dama vestita di bianco, sugli spalti della Caperrina spandendo intorno un velo di nebbia per sottrarre la città alla vistra e al bersaglio degli arcieri angioini. Fu anche vista nell'atto di respingere lei stessa con le mani i dardi e i proietti scagliati dalle catapulte nemiche, facendoli ricadere nel loro stesso campo.

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Ottobre 2016 14:11
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