- di Giovanni Cammareri -
Comprendo quanto poco possa suggerire il nome di Padre Saverio Amato, eppure proprio a lui va attribuita parte della divulgazione del culto di Maria SS. di Trapani a Messina.
Probabilmente ciò non rientrava neanche fra le sue personali intenzioni, volendo egli soltanto aumentare l'importanza di un solitario luogo di ritiro nei pressi di un torrente oggi chiamato Trapani. Riuscì nell'intento, divenendo il luogo punto di riferimento per quanti desiderarono abbracciare la vita ascetica. Sparsi sui colli della città, altri romitori vennero in seguito fondati, mentre lui, il sacerdote, divenne una sorta di guida carismatica per tutti coloro che intesero frequentare i luoghi circostanti l'eremo titolato alla Madonna di Trapani.
Accanto al culto nacque però anche una festa.
A principio avveniva alla terza domenica di Pasqua. Il Foti aggiunge, con grande solennità; e riferisce pure di numerosi devoti che per i festeggiamenti giungevano nel luogo solitario dov'era la chiesetta.
Come quasi tutto, a Messina, il rovinoso terremoto del 1908 l'aveva quasi distrutta dopo che le leggi post-unitarie del 1866 ne avevano sancito la chiusura. A quel tempo c'era soltanto qualche frate e, almeno come luogo destinato alla vita ascetica, cessa di esistere. Non cessa però la storia della chiesetta, che continuò a essere officiata e curata dalla Confraternita di S. Maria di Trapani, fondata nel lontano 1670.
La piccola chiesa sorge a circa tre chilometri dalla circonvallazione, in fondo la vallata del Torrente Trapani, prendendo il nome dal culto che lì continuava a essere professato. Come iniziò?
Nel 1531, con l'arrivo a Messina dei Padri Cappuccini, di fatto continua una storia avviata da uno sconosciuto eremita il quale aveva collocato in una nicchia, un'immagine marmorea della Madonna che richiamava la famosa immagine venerata a Trapani.
I religiosi costruirono un convento attiguo all'oratorio, ma la loro dimora in quel luogo durò pochi anni. Ben presto infatti, volendo avvicinarsi alla città, andarono via trasferendosi esattamente sul colle ancora oggi chiamato dei Cappuccini. Andati via i frati quindi, il piccolo convento titolato alla Vergine di Trapani rimase per qualche tempo abbandonato, fino a quando uomini dediti al malaffare ritennero opportuno fare del posto un buon rifugio.
Nel 1654, due pellegrini arrivati dalla Spagna, desiderosi di solitudine e di preghiera, vi si fermano sposando il desiderio dell' Arcivescovo dell'epoca, quello di destinarlo a gente almeno un po' più raccomandabile. L'esempio dei due spagnoli raggiunse altri eremiti che lì continuarono a riversarsi. Poi arrivò Padre Saverio Amato. Il suo impegno riscosse il plauso dei messinesi che con le loro offerte sempre crescenti consentirono l'ampliamento dei locali. Insomma, l'eremo titolato a Maria di Trapani divenne il fulcro della vita spirituale della zona, tanto da essere dichiarato Eremo Reale, come attestato da una lapide, accanto al portale, dove si legge: Aeremus Regia.
Queste vicende di mezzi santi e pellegrini, di carità e mistici silenzi amplificati dal luogo, rappresentarono l'occasione per la crescita della devozione verso la Madonna di Trapani nel popolo messinese. E quando nel 1908 il tempietto parzialmente crollò, la famiglia Guarnera intese accollarsi le spese della ricostruzione. Con scrittura privata del 18 maggio 1910, l'Arcivescovo D'Arrigo, riservandosi il diritto di nominare il custode, concesse alla famiglia lo jus patronatus con tutti i diritti e i doveri derivanti. La confraternita, da parte sua, continuò a curare l'organizzazione della festa con immutato concorso di devoti fino alla storia più recente: 7 maggio di quest'anno, cinque ore di processione, venti portatori a condurre il fercolo. Ma la presenza attiva del sodalizio nel tessuto sociale della città viene suggellata dalle annuali partecipazioni ufficiali al patronato della Madonna della Lettera, dove per un trapanese fa un certo effetto vedere lo stendardo con la scritta Confraternita S.Maria di Trapani.
Processione Madonna di Trapani Messina Maggio 2013 a cura di Vincenzo Trifirò