- di Giuseppe Rando -
Si è tenuto ieri, 30 maggio 2018, nell’aula magna dell’Università, il primo convegno messinese su Giuseppe Berto, uno dei più grandi scrittori del Novecento (apprezzato, in primis, da Cesare De Michelis), nel quarantesimo anniversario della sua scomparsa (Mogliano Veneto TV, 1914- Roma, 1978). Un convegno, voluto in ispecie dal Professore Antonio Pugliese, in una con la Professoressa Paola Radici Colace (e da me presieduto), che testimonia – se ce ne fosse bisogno – la vitalità crescente dell’antica Accademia Peloritana (che lo ha patrocinato) e la sua precipua funzione innovativa e propulsiva sul terreno culturale.
L’aula magna non particolarmente affollata testimonia, invece, lo scarso (ma non sorprendente) interesse dei messinesi per gli eventi culturali.
Più solerti e partecipi, invero, si sono rivelati i nostri amici dell’altra sponda dello Stretto, ove si consideri che il «Quotidiano» di Vibo Valentia ha annunciato il convegno con un bel titolo: «Berto sbarca a Messina» e che una qualificata rappresentanza del CIS della Calabria era presente nell’aula.
Chi ha letto il bel romanzo di Giuseppe Berto, Il male oscuro, sa che la striscia di mare (Tirreno) antistante a Capo Vaticano (dove lo scrittore veneto era approdato, in cerca di armonia, per sfuggire alla nevrosi che si portava appresso da alcuni anni, e dove aveva scritto, di getto, il romanzo stesso) e l’isola che vi si disegna oltre (la Sicilia, per l’appunto) erano stati, per lo scrittore, i luoghi del sogno, del mito, della cultura non asservita a certi mostri della modernità, nonché della rinascita agognata e intravista: ne ha detto egregiamente, nella relazione conclusiva, il professore Nicola Rombolà. Opportuno, oltre che efficace, dunque, il titolo del «Quotidiano»: ieri Giuseppe Berto è finalmente sbarcato in Sicilia.
Dirò, in breve, che ognuno dei relatori mi ha insegnato qualcosa – il giovane Saverio Vita, la inesausta funzione morale, pedagogica del Male oscuro, in un’ottica di superamento di obsoleti steccati ideologici; Paola Radici Colace, la complementarità di cinema e letteratura nell’opera di Berto; Antonio Di Rosa, il nesso ineludibile di nevrosi, psicanalisi e creatività nel capolavoro; Antonio Pugliese, la difesa appassionata della civiltà contadina, in termini non dissimili da quelli pasoliniani, da parte del “calabrese” Berto – e che, quindi, il convegno ha conseguito tutti i suoi obiettivi: soprattutto quello di evidenziare come tra la cultura umanistica e la cultura scientifica ci siano più ponti che muri. I due interventi finali di Antonia, colta, affettuosa, serena figlia di Giuseppe Berto, e di don Pasquale Russo, sodale dello scrittore a Capo Vaticano (e curatore di un bel libro che ne raccoglie gli scritti giornalistici), hanno aggiunto alla mattinata di studi lo smalto della concreta realtà e della vita vissuta.
Un’occasione perduta, dunque, per gli assenti e per un qualificato accademico che, preso da più alti impegni, ha dovuto lasciare l’aula dopo avere fatto la liturgica passerella.