- di Rachele Gerace -
L’etica come base di confronto tra uomini di comunità religiose diverse che, in una prospettiva di fede, vivono la dimensione trascendente legata alla storia e alla cultura delle proprie origini: è stato questo il tema dell’incontro tenutosi ieri pomeriggio nella cappella S. Maria all’Arcivescovado. L’appuntamento, il secondo di cinque previsti nell’anno giubilare, s’inserisce nell’ambito del progetto Cristianesimo e Islam per una città plurale - dialoghi di conoscenza e riconoscimento reciproco - organizzato dall’Arcidiocesi di Messina Lipari Santa Lucia del Mela (rappresentata dagli Uffici diocesani Migrantes, quello per il dialogo interreligioso e la consulta delle aggregazioni laicali) con la Comunità Islamica di Messina.
Una riflessione vasta, quella sull’etica legata al dualismo dei diritti religiosi e civili rispetto alle religioni cristiana e islamica, che i relatori Don Francesco La Camera, direttore dell’Ufficio amministrativo diocesano e docente presso la Facoltà teologica dell’Istituto S. Tommaso e il prof. Mohammed Aguennouz, hanno affrontato; ha moderato l’incontro il prof. Luigi D’Andrea, docente costituzionalista dell’Ateneo Messinese e vice presidente nazionale del MEIC.
Dinanzi a identità e appartenenze diverse, la conoscenza è il solo modo per favorire un cammino di reciprocità e superare le barriere del pregiudizio: l’etica come porta fra le due religioni. Con questa riflessione hanno portato il loro saluto Mons. Gaetano Tripodo, delegato ad omnia per l’Arciodiocesi di Messina Lipari Santa Lucia del Mela e Mohammed Refaat, presidente della comunità islamica messinese.
Due modalità diverse di leggere la società, quella cristiana e quella islamica, rispetto agli ambiti del diritto canonico e di quello dello Stato, che rappresenta un’esperienza culturale vera e propria.
Dopo il ’48, l’esperienza del pluralismo religioso vissuta in Italia, ha favorito l’idea di una sovrapposizione dei principi dell’ordinamento giuridico sul cristianesimo. Com’è possibile, dunque, che nel nostro ordinamento giuridico i valori etici dei singoli gruppi religiosi trovino cittadinanza? Don La Camera spiega che “la formazione del diritto italiano parte da una coscienza cristiana che ha indirettamente permeato dei propri valori l’ordinamento secolare”. Questo, però, non ha impedito il consolidamento di un’etica laica dello Stato che, nella regolamentazione dei fenomeni, applica un discernimento autonomo. Una visione integrata, dunque, che riguarda tre ambiti sostanziali che sono: la legittima volontà da parte dei gruppi religiosi di poter amministrare la giustizia secondo il valore della propria fede; i rapporti endo-familiari, di fronte al giudizio dei quali lo Stato considera nettamente superiore la libertà della persona al valore religioso; il diritto ai luoghi di culto, secondo l’articolo 19 della Costituzione.
Decisamente più univoca, invece, è la visione etica secondo dell’Islam dove, secondo la Sharia, l’ordinamento giuridico musulmano risultante dai precetti del Corano con le rivelazioni dell’ultimo Profeta, sovrappone l’ambito religioso a quello civile distinguendo, invece, l’applicazione di tale diritto tra musulmani e non. “Nell’Islam - afferma il prof. Aguennouz - il codice etico è intrinseco alla religione, per cui non esiste un atto di fede che non sia, nel contempo, canone etico”.
I parametri di valutazione degli aspetti etici nei riguardi dei non musulmani non hanno come base atti d’imposizione, ma il richiamo a una convivenza finalizzata alla conoscenza reciproca basata sul rispetto.
Quasi sicuramente, dunque, non esiste un valore assoluto declinabile secondo un decalogo etico e religioso, ma certamente la fede può contribuire all’integrazione fra le categorie che strutturano la nostra convivenza, per far sì che la religione possa recuperare quel ruolo pubblico necessario alla determinazione assoluta della persona umana.