La trama del romanzo di Geri Villaroel, Il Pupo di carne (Giuseppe Laterza, pp. 305, dic. 2013) corre su strade parallele, che nonostante abbiano inclinazione e tendenze diverse, perseguono il leit motiv del ritorno nella terra natia. Necessità che s’avverte costante, persistente e smaniosa. Pubblico e privato s’intersecano nella vita di Fernando Corvera, giornalista siciliano, giunto nella Roma degli anni Sessanta. Sconvolgenti e di sorprendente impatto, gli eventi che si susseguono frenetici.
L’angoscia della quotidiana routine, s’imbatte in pause deliranti di sesso, appagato o desiderato. Suggestionato dal perenne brontolio dell’Etna, il maestoso vulcano che squarcia l’orizzonte del suo luogo natio, lo scrittore spalanca una finestra su fatti e misfatti vissuti, acquisiti o immaginati, combinando l’ordito, strepitoso, inquietante e, comunque dilettevole, del romanzo.
I recessi dell’inconscio, turbati dal desiderio, ingombrano la mente sognatrice del protagonista, indotto da curiosità professionali ad avventure intrise di giallo. Una pista corre sul filo di uno spaccio di diamanti, per certi versi insanguinati. L’intreccio, perciò, s’addentra nell’illecito traffico, connesso all’Africa, coinvolgendo amici di frequentazione e sospettato lusso. Il bluff, la truffa, pensata ed architettata a regola d’arte, creano quel pizzico di suspence che non guasta, anzi stuzzica la lettura e dispone al mirabolante.
Diverte e stupisce l’intraprendenza dei due cani, inclusi nel cast. Il Continente nero, osservato nell’anima delle variegate e misteriose sfaccettature, intriga una superba creola. La giovane di colore ed una sua affascinante amica italiana, simboleggiano la classica coppia di saffiche amanti. L’omosessualità coinvolge pure l’altra metà del cielo, conferendo brucianti passioni e fremente attualità. La violenza sulle donne l’incarna una ballerina per necessità, che sfugge all’orco delle mura domestiche e, dopo una serie di vicissitudini artistiche, si ritrova, gioco forza, spia nella Berlino nazista. Nella via Crucis del rientro in Italia, s’imbatte in altrettanti bruti, incontrati tra le sconvolgenti macerie del conflitto.
La letteratura del tempo, trasposta in cinema, è puntuale e descrive il dramma delle donne, considerate a livello di bottino di guerra. Inquietanti rimescolii letterari suffragano relazioni passionali, intense e pericolose, così luoghi d’immutabile fascino, personaggi piegati al tempo e sconvolti da immani catastrofi. È travolgente lo strappo generazionale dai don Fabrizio ai don Calogero del “Gattopardo”, dai dopo Sedàra, con l’Unità d’Italia, attraverso le due guerre mondiali, intervallate dal Fascismo. Gli anni ruggenti dell’impero, che torna sui colli fatali di Roma, lumeggiano il folle amore della Petacci, per l’uomo mito, di cui ne seguirà il destino di morte. La discussa fuga del re, la resistenza partigiana, gli attentati agli ex alleati germanici, traspaiono tra struggenti pagine di vorticosi accadimenti. Smarrenti malìe affiorano da baci finti, consumati al bordello. Tra la schiera di poeti, letterati, uomini di scienza, chiamata in causa, s’insinua rumoroso lo sferragliare dei paladini, cantati dall’Ariosto. Le loro gesta, per la delizia del popolo, riecheggiano nell’opera dei pupi con: “Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori, le cortesie, le audaci imprese...”
Il teatrino dei poveri è caduto vittima, tra le tante, della televisione e dell’incontinente elettronica. Il puparo, tra l’altro, avrebbe infilzato con la Durlindana l’incauto spettatore a cui, durante la rappresentazione, avesse trillato il cellulare! Imperdibile, nell’economia della narrazione, la testimonianza di chi visse il Ventennio da furbo complice a scelleratezze in camicia nera, da parte di asserviti al regime e poi, dopo il cambio di casacca, d’uso ove convenga! L’affresco risorgimentale di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, s’affaccia di diritto in alcuni passi, non solo per la non acclarata, però attribuita consanguineità tra i patronimici Corbera e Corvera, ma, soprattutto, per confronti, citazioni, comportamenti e periodi storicamente inusti, impressi col fuoco. Costituisce folkloristico contorno alla trama, la miscellanea di scene agresti, feste paesane, esperienze giovanili, rappresentazioni teatrali, riferimenti cinematografici, episodi d’ordinaria giustizia, dove su uno dei piatti della bilancia pesano interessi e passioni.
Alla sfera della conoscenza s’ascrive il viaggio nella Thailandia dei bonzi, intrapreso per il ristoro dello spirito. Costituisce rasserenamento pure visitare i frati trappisti di Serra San Bruno e l’andare per il mare delle Eolie. È magico transitare dallo Stretto di Messina, tra le paurose fere dell’Horcinus Orca. L’avvincente, suggestiva narrazione in chiave di “Amarcord”, è cucita sul protagonista, un “pupo di carne”, strattonato tra i teneri affetti di famiglia, amori adolescenziali e gli sconvolgenti eventi che, via via, s’addensano sul suo tavolo di giornalista.
Tra gli immani problemi del quotidiano esistere, sprazzi d’arrogante politica s’insinuano maligni ed invasivi a perpetuare, il diritto di decidere sulle sorti del popolo, chiamato sovrano.