Emancipazione, parità, libertà: termini che connotano la "questione femminile", intendendo con questa espressione l'insieme dei problemi che hanno scandito nel bene e nel male il passaggio del cosiddetto "sesso debole" da una condizione di inferiorità economica e politica ad uno status che ha consentito alla donna di entrare nella dimensione sociale della produzione giuridicamente riconosciuta e retribuita. E' stato un cammino assai lento che, negli ultimi tre secoli, ha visto la donna uscire a poco a poco dal "lavoro casalingo" e organizzare, come un lavoro modernamente inteso, i servizi da lei svolti nell'ambito della famiglia tradizionale: la cura e la manutenzione della casa, la custodia dei figli, la preparazione dei pasti, ecc. Si è trattato di un movimento tra i più lenti che l'umanità abbia registrato nella sua storia: un processo che ha visto confrontarsi e contrapporsi in campo aperto ideologie rappresentate da uomini pronti a battersi contro tutte le forme di intolleranza e uomini che, poco disposti a fare un uso critico della propria intelligenza, si sono spesso abbarbicati ad una cultura mirante a negare alla donna il diritto ad ogni lavoro autonomo e ad esaltare il "maschio" come modello di perfetta umanità.
La donna italiana realizza alcune delle sue principali aspirazioni a partire dalla metà del secolo scorso quando gli artt. 29, 31, 37 della Costituzione Repubblicana riconoscono per la prima volta nel nostro Paese che nella vita nazionale vi sono settori (la famiglia, il matrimonio, il lavoro, ecc. ) all'interno dei quali la donna necessita di un particolare sostegno per realizzarsi come essere umano e sociale. In particolare, l'art. 51, nella parte che concerne il sistema di democrazia rappresentativa, sancisce finalmente che «tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere [.. .] alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
Sotto questo riguardo la vita della dott.ssa Elena Tricomi Altadonna è esemplare. Gli anni in cui muove i primi passi sono anni in cui i discorsi sono coniugati ancora tutti al maschile: poche sono le ragazze che frequentano la scuola elementare, meno quelle che proseguono gli studi nelle scuole secondarie, ancor meno quelle che accedono agli studi universitari.
La giovane Elena, dopo aver conseguito il diploma di scuola secondaria, intraprende gli studi di medicina in un tempo in cui l'accesso a quella facoltà è a dir poco problematico. Lei ben sa che nel giro di pochi anni la laurea in medicina la condurrà in un ambiente in cui sarà chiamata a svolgere ruoli tradizionalmente assegnati agli uomini. Nella giovane laureata ben presto si fa strada la convinzione che la liberazione della donna passa attraverso il libero rapporto con le poche donne e i molti uomini che avrà come compagni nel proprio lavoro.
Gli anni in cui la giovane dottoressa approda alla laurea in medicina e chirurgia sono gli anni in cui in Italia non si avverte ancora la necessità di una cultura femminista da utilizzare almeno come testimonianza dell'oppressione sessuale, politica, giuridica, sociale da parte dell'uomo. Quelli in cui la giovane Elena muove i primi passi sono anni della dittatura nazifascista, gli stessi anni in cui Joseph Goebbels, destinato a diventare ministro della propaganda hitleriana, scrive in un suo racconto intitolato Michael: «La donna ha il compito di essere gradevole e di mettere al mondo figli».
Sono anni in cui intraprendere un certo tipo di studi significa per una donna un salto nel buffo. Eppure la dott.ssa Tricomi intuisce che famiglia, lavoro domestico e professione non sono ambiti in contraddizione tra loro. In un mondo strutturato ancora in termini quasi esclusivamente maschili, in una società in cui la donna deve ancora lottare per vedersi riconosciuti i propri sacrosanti diritti, lei si rende conto che sta per chiudersi il lungo periodo della storia dell'umanità dominato da un patriarcato che annovera tra i suoi patetici "campioni" personalità come Rousseau, Shopenhauer, Fichte, Freud, Nietzsche, Hitler. Nella giovane dottoressa si fa ben presto strada la convinzione che sta per aprirsi un altro periodo in cui la donna non potrà essere considerata un essere privo di valore autonomo ne annullata in una funzione che la releghi nel ruolo esclusivo di sposa e di madre.
Oggi non c'e corrente di pensiero o ideologia che osi negare alla donna il diritto a realizzarsi come essere umano e sociale. Sono lontani i tempi in cui da una parte la donna era presentata come "angelo tutelare" del focolare domestico e dall'altra parte uomo e donna erano considerati due entità opposte come il giorno e la notte, il Bene e il Male. Nel nostro mondo non c'e più posto per le disquisizioni alla Otto Weininger secondo cui, essendo le donne «prive di esistenza e di essenza», l'umanità non può non presentarsi «come maschio o femmina, come qualcosa o nulla...» (da Sesso e carattere, 1903, venticinque edizioni entro il 1922). Oggi sarebbero a dir poco anacronistiche le premure del filosofo Nietzsche che consigliava agli uomini: «State per far visita ad una donna? Portatevi dietro la frusta». Il nostro non è più tempo di mascherare le posizioni di comodo truccate da categorie universali. Nessuno vi crederebbe. Per fortuna viviamo in una società in cui le donne hanno più o meno gli stessi diritti degli uomini, fanno più o meno tutto quello che fanno gli uomini. L'unica cosa che non possono fare e il sacerdote della Chiesa cattolica. Faccia ognuno la propria parte perchè la donna non ritorni ad essere niente più che un'espressione zoologica: solo la "femmina dell'uomo", non una persona umana e come tale meritevole di rispetto e di stima.
GIUSEPPE CAVARRA
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