Anche se i dati ufficiali, riferiti al 2015, sul volume del traffico dei container nei porti italiani, europei e internazionali non sono ancora disponibili, circolano i dati ufficiosi che presentano il porto di Gioia Tauro come l’unico con un forte regresso rispetto al 2014. Una vera e propria mazzata, seguita all’anno negativo per il transhipment, che faceva solo vivacchiare le maestranze ormai costrette a convivere con la cassa integrazione, che rischia di trasformarsi in messa in mobilità e, quindi, in fuoruscita dal settore.
E’ credibile che sia stato l’allarme, suscitato nell’opinione pubblica dalla diffusione dei dati ufficiosi, a spingere la MedCenter (MCT) di Gioia Tauro a far sapere che è possibile raggiungere un traffico settimanale di ben 42.000 teus con un incremento di circa 8.000 container a settimana. Ammesso che non sia una bufala quanto divulgato, è chiaro che la notizia non tranquillizza per nulla perché non basta l’incremento del traffico a segnare la sorte del Porto calabrese. Fin quando esso resterà solo porto container senza reale collegamento alle reti di Alta Capacità ferroviaria, la speranza di un suo reale consolidamento sarà una pia illusione. Qui – intendiamo Sud come Nord – non si vuole dare peso ai sistemi di mobilità e di logistica.
Sarebbe tempo che le forze politiche smettano di inseguire falsi obiettivi, come quelli rappresentati dalla richiesta di nuovi approdi per carghi portacontainer, anche di nuova generazione. Richiesta ingenua, che serve piuttosto a mettersi in pace con la coscienza, perché le compagnie marittime non cedono a richieste se esse non si coniugano con le proprie convenienze economiche. In più arzigogolare col transhipment porta a cozzare con gli interessi degli spedizionieri, dominati dalla necessità di fronteggiare la concorrenza attraverso l’accorciamento dei tempi di trasporto.
Insomma, come è possibile non capire che senza il collegamento alla rete ferroviaria dotata di alta capacità (A/C) non solo Gioia Tauro in Calabria, ma anche Augusta in Sicilia e i loro territori regionali non avranno alcun futuro? Ciò è ancor più grave se si constata che altri porti del Mediterraneo (spagnoli, francesi, marocchini, egiziani, anche italiani) abbiano avuto incrementi consistenti di traffico merci e puntano ad aumentarli attrezzando la capacità d’accoglienza a carghi di 12.000 teus.
Ma vi è di più. Una parte del traffico merceologico transitante nel Mediterraneo finirà direttamente al Pireo, gestito dai cinesi che, viste le scelte del signor Monti, hanno abbandonato l’Italia ed i suoi muri di gomma frapposti ai loro progetti per infrastrutture idonee ai trasporti più avanzati. Così una parte cospicua delle merci continuerà la circumnavigazione del Vecchio Continente per approdare ai porti del Nord Europa. Una frazione non meno significativa sarà necessariamente smistata sull’asse iberico–francese (v. FERRMED), nei porti che già oggi registrano incrementi significativi di traffico containerizzato. In Sicilia e in Calabria resteranno solo briciole di un traffico colossale, colpevolmente sottovalutato da Monti e dai suoi successori al Governo.
Il Presidente Renzi da Milano con il banner Ferrari alle spalle si limita a ripetere che “l’Italia c’è” e che “la ripresa è avviata”, forse auspicando che il tempo possa far superare la crisi mentre è più verosimile supporre che quelle poche frazioni decimali di PIL vantate siano piuttosto frutto del crollo del petrolio, delle iniziative di Mario Draghi, delle grandi opere concluse (Expo, BreBeMi A35, terzo valico appenninico) e di quelle in itinere. In realtà il Governo, l’ultimo ma non solo, rifiuta di capire la grande occasione rappresentata dalla realizzazione dell’ex corridoio Berlino-Palermo (TEN-T1, oggi TEN-T5), quale via privilegiata, rapida e competitiva di trasporto container. Senza quel corridoio soffriranno non solo le due estreme regioni meridionali, con i loro 7 milioni di abitanti, ma anche la stessa Italia, quella che i potentati considerano tale, da Salerno in su.
Il disastro non è solo questo, vi è anche il pasticcio cronico di una Italia che non capisce l’importanza vitale del Sud e del Mediterraneo, lì attorno. Ci sono gli errori strategici della 2^ guerra mondiale e i passaggi drammatici della vita di Mattei, Moro, Craxì, la loro difforme evoluzione, seppure convergente nella fine impietosa, a farcelo intravedere. Dopo la caduta del Presidente Berlusconi, lo spread si è sotto livellato fino ai valori minimi attuali perché i ‘Governi del Presidente’ continuano a rispettare l’ordine di abbandonare alla politica dell’emergenza le peculiarità geopolitiche e strategiche insite nella terra siciliana al soverchiante influsso straniero, evitando con alchimie di mettervi mano con programmi e progetti di medio-lungo termine.
Questo tuttora è l’amaro destino senza possibilità di riscatto, perché per liberarsene sul serio, non a parole, ci vuole un vero Statista ed una nuova politica delle infrastrutture collegate a un sistema di mobilità e logistica integrata. Il resto sono chiacchiere. Intanto i cargo container scivolano via mentre inquinano il mare fra Tunisia e Sicilia. L’Africa di fronte resta lontana, non ci appare quel nostro orizzonte del secolo, che come passaggio obbligato vedrebbe appunto la Sicilia e la Calabria, completamente abbandonate ad accogliere uomini disperati (se non malvagi), non già a creare lavoro, crescita e sviluppo ma a dar vita a nuove e gravi tensioni sociali.
- di Giovanni ALVARO – Cosimo INFERRERA – Bruno SERGI -