PALERMO. La provincia più colpita è Messina. Su 312 allevamenti risultati con mucche affette da brucellosi, 177 si trovano nel Messinese, mentre su 309 aziende siciliane di pecore e capre infette 85 si trovano in questa zona. I dati del Bollettino epidemiologico veterinario della Sicilia, redatto dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale, sono chiari. Aggiornati allo scorso gennaio, il bollettino documenta le ispezioni svolte nelle aziende di tutta la regione fino al 31 dicembre 2015. Le cifre sono emerse durante un convegno che oggi si è tenuto a Cammarata dal titolo “Brucellosi, una malattia da conoscere: Cammarata è un’oasi felice”, dopo il falso allarme scoppiato qualche giorno fa proprio nel paesino dell’Agrigentino.
In base ai dati dell’Istituto Zooprofilattico, dai controlli effettuati, la maggior parte di aziende di bovini risultate positive si trovano nel Messinese (9,69 per cento), seguono Ragusa (3,54%), Catania (2,93%), Enna (1,87%), Siracusa (1,65%), Trapani (1,06%), Palermo (0,80%), Caltanissetta (0,55%), Agrigento (0,21%). La meno infetta dalla brucellosi ovina è la provincia agrigentina. Per quanto riguarda, invece, gli allevamenti ovi-caprini, dopo Messina, ci sono le province di Trapani (6,38%), Siracusa (4,62%), Caltanissetta (4,37%), Catania (4%), Agrigento (3.64%), Enna (2,75%), Palermo (1,88%), Ragusa (1,18%).
Gli animali, per entrare nel circuito commerciale, devono essere ufficialmente indenni da brucellosi e tubercolosi. Gli esami per la diagnosi di queste patologie vengono fatti esclusivamente dallo Zooprofilattico. Su un milione e 500 mila capi del patrimonio zootecnico regionale, annualmente l’Izs della Sicilia effettua oltre un milione di esami, perché gli animali controllabili sono quelli che hanno più di un anno. A spiegare il fenomeno è Santo Caracappa, direttore sanitario dello Zooprofilattico: “Controlliamo quasi il 100 per cento del patrimonio zootecnico, in 8 province su 9. L’unica provincia dove il controllo di bovini si ferma all’80 per cento è Messina, perché ci sono ancora sacche che sfuggono ai controlli ufficiali. Per il futuro pensiamo di organizzarci meglio, non solo con le Asp vicine, ma con l’aiuto delle forze dell’ordine e dell’assessorato regionale all’Agricoltura. L’Istituto, una volta individuato un focolaio, ha l’obbligo di avvisare l’Asp di competenza entro 72 ore, che poi entro le 48 ore successive dovrà allertare l’allevatore che, a sua volta, entro 15 giorni ha l’obbligo di abbattere il capo infetto”.
Quanto alla provincia di Agrigento, Caracappa ha precisato che “non bisogna creare alcun allarmismo: negli ultimi anni ci sono stati pochi casi di brucellosi negli animali e nessun caso nell’uomo. Gli unici distretti più problematici sono quelli di Licata e Canicattì, perché c’è un sistema di allevamento ovino e caprino estensivo promiscuo abbastanza consistente e in cui si registra una percentuale maggiore di animali positivi. Il resto della provincia è virtuosa”.
Al convegno hanno partecipato il direttore sanitario dell’Istituto Zooprofilattico della Sicilia, Santo Caracappa, i sindaci di San Giovani Gemini e di Cammarata, Carmelo Panepinto e Vincenzo Giambrone, il direttore generale dell’Asp di Agrigento Ag1 Salvatore Lucio Ficarra, il direttore del dipartimento di prevenzione dell’Asp 1 di Ag Salvatore Cuffaro e il capo servizio di Igiene produzione e commercializzazione prodotti lattiero-caseari dell’Asp 1 di Agrigento, Lorenzo Alfano.