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La festa di S. Francesco di Paola a Trapani, di Giovanni Cammareri

 

S. Francesco di Paola a Trapani

 

La comitiva dei Padri Paolotti giunse nella città falcata nel 1578. Dopo varie sistemazioni fuori le mura, nel 1582 viene finalmente loro concessa una piccola chiesa destinata a gancia.

Si tratta semplicemente dell'attuale chiesa, ben conosciuta dai trapanesi e titolata a san Francesco di Paola, incastrata tra le case e posta sullo slargo regalato a un certo punto dalla via Mercè quando si apre sulla piazzetta che dello stesso santo prende il nome.

In questo luogo pio, ai nostri giorni parecchio frequentato nell'intero arco dell'anno, il 30 gennaio 1848 un manipolo antiborbonico vi si riunì segretamente organizzando l'assalto alla Caserma degli Spagnoli.

La veemenza di quegli uomini è rimasta forse ad aleggiare ancora fra le pareti del tempio e sembra ritornare soprattutto con l'avvicinarsi dei giorni della festa, una festa mobile, che da noi inizia il mercoledì immediatamente successivo alla Pasqua essendo la processione fissata due domeniche dopo.

'A scinnuta di santu Patri, quest'anno perciò anzitempo poiché effettuata il 30 marzo, nella sua pur ineccepibile regolarità ha aperto perciò una parentesi festiva che nel corso del novenario che segue, raccoglie uomini e donne a migliaia, senza distinzione di caste sociali ed età.

La festa più sentita a Trapani sciorina così il suo prologo religioso prima della processione.

Alle sedici in punto della terza domenica di Pasqua dunque, quest’anno il 10 aprile, il grande simulacro opera di Giacomo Tartaglia eseguita nel 1729, carico d'argento e circondato da grossi ceri votivi, fa la sua trionfale comparsa sulla soglia di quella chiesa luogo di incontri segreti per iniziative volte addirittura a sovvertire regni.

Inutile adesso, soprattutto per certi trapanesi, raccontare ancora le fasi dell'uscita, del passaggio della processione attraverso le prime viuzze del quartiere dove il santo sembra un gigante e qualcuno cerca, dal proprio balcone, di potergli sfiorare almeno il cappuccio. E' la storia che si ripete, del resto. La memoria che si rinnova puntuale. Nient' altro. Senza alchimie e ricerche di effetti speciali per stupire i turisti. Anche perché di turisti, grazie a Dio, non ce ne sono. Rimanendo pure in disparte l' informazione. Almeno quella che giudica la bontà delle processioni dalle lunghe durate e dai fiori pregiati.

Meglio l'afflato spontaneo di un popolo che l'aspetta davvero, la propria festa.

Sempre la stessa: la primavera che segue all'inverno e l'estate che da adesso avanzerà veloce, rapida come un fiume in piena. Fra evviva e… mooosica!!. Perché c'è sempre uno che la chiede ad alta voce, la musica. Basta un momento, che la banda termini di eseguire la solita marcetta allegra, che qualcuno sarà pronto a pretenderla immediatamente, la prossima suonata.

E' così che comincia la festa. Fin dal mercoledì della scinnuta. Da sopra l'altare c'è sempre un uomo dalla voce e le braccia possenti, pronto a issare il suo santo e a gridarlo forte. Un urlo d'amore parte da lassù, attraversa il tempio stracolmo giungendo fino alla piazza. Dove è già arrivata la banda e che rimane pronta a eseguire, senza concessione di soste, le solite marce: 'i musichi di santu Patri. Casa Ricordi, Passa la giovinezza, Un saluto a Marmirolo, Vita beata, Amor del popolo.

Una dopo l'altra fino al mercoledì successivo alla processione, quando il nastro sembra riavvolgere le stesse sequenze di quel trionfo di mani e fazzoletti di quindici giorni prima. Tutti saranno ancora una volta pronti a toccarlo, il santo miracoloso protettore della gente di mare. A Trapani come ovunque. E tutto pare abbia avuto inizio a seguito dell'attraversamento dello stretto di Messina compiuto dal frate di Paola. Senza traghetti né ponti. A bordo del suo semplice mantello. Questo narrano i racconti della sua vita. Ancor prima che Papa Pio XII lo proclamasse ufficialmente protettore. Correva il 1943. Ma la devozione da parte dei marittimi esisteva da un pezzo.

Per questo motivo, a Trapani, la processione lambisce il mare per buona parte della sua durata. Prima lungo il porto, poi, verso le 20,00 allo Scalo d'Alaggio. E' qui che probabilmente viene sviscerata e suggellata la forte devozione locale per il santo calabrese. I ceri votivi passeranno dai pescherecci alla vara e a pescherecci e marinai verrà impartita la benedizione. Fra le sirene spiegate e le luci colorate delle imbarcazioni. Ecco la festa. Liberatoria, spontanea, sentita; vera, soprattutto, e non di plastica. Con giochi d'artificio finali o quasi. Visto che a quel punto manca ancora il rientro in chiesa e il riabbraccio del suo quartiere: il passaggio dalla via Mercè fino a quando la via regalerà una piazza, si diceva.

Allora la banda riattacca con le solite marcette e qualcuno richiederà a gran voce la musica a ogni conclusine del brano. Perché il santo ritorna in spalla e ricomincia la sua danza al solito grido: Viva san Franciscu ri Paula! La giaculatoria che rinnova il rito. Popolare e spontaneo. Antico e veritiero. Senza trucchi né inganni ma intriso di fede e amore, nell'attesa dell'ultimo atto.

Mercoledì 13 aprile ore 18,00. Una piazzetta stracolma allo stesso modo della chiesa accompagnerà con gli occhi e col cuore la fine di ogni cosa. Almeno per quest'anno. Ammesso che finisca davvero.

    

Ultima modifica il Lunedì, 11 Aprile 2016 06:39
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