Tennessee Williams, con il suo dramma Un tram che si chiama Desiderio (vincitore del Premio Pulitzer nel 1948), ci parla del lato oscuro del sogno americano, mettendo l’America con le spalle al muro riguardo temi come il sesso, l’omosessualità, il maschilismo, l’ipocrisia tra le mura domestiche e il disagio psicologico.
Ambientato a New Orleans negli anni Quaranta, il dramma racconta la tormentata vicenda di Blanche (Mariangela D’Abbraccio), vedova di un giovane marito suicida, la quale, dopo aver perso Belle Reve, la tenuta di famiglia, si trasferisce prepotentemente dalla sorella Stella (Giorgia Salari), sposata con Stanley (Daniele Pecci), uomo rozzo e volgare, di origine polacca.
Ipocrisia, fallimento e fuga dalla realtà
Il rapporto conflittuale tra Blanche e Stanley innesca fin da subito un meccanismo di dipendenza psicologica della donna nei confronti del cognato, nonché un evidente attrazione sessuale reciproca.
Ma il fascino che il ruolo di Blanche continua a sprigionare deriva soprattutto dal suo essere alcolizzata e predatrice sessuale in cerca di redenzione, soprattutto nel rapporto che cerca di instaurare, fallendo, con Mitch (Eros Pascale), amico di Stanley.
Mariangela D’Abbraccio esprime l’essenza del suo personaggio interpretando, con disinvolto furore una donna distrutta e sconfitta, che manipola situazioni e persone – con candida ipocrisia e totale disincanto – perché “la realtà così come è non le piace”. Senza strafare, la prova d’attore di Daniele Pecci quale maschio alpha, di poche parole, rude e sostanzialmente pragmatico, risulta piuttosto convincente e aderente al personaggio.
Un allestimento spiazzante
La regia di Pier Luigi Pizzi mantiene catalizzata l’attenzione del pubblico sul rapporto dei due protagonisti, relegando gli altri interpreti al naturale ruolo di comprimari, con le sole eccezioni dei personaggi di Stella e Mitch.
La scena dello stupro, idealmente consumata contro il vetro del bagno, perde di pathos e risulta alla fine un po' deludente; inoltre, dalla scenografia non traspare quasi per nulla l’atmosfera dimessa e lo squallore ripetutamente evocato da Blanche, anzi, sembra che l’azione si svolga in un loft di una qualsiasi località americana alla fine degli anni Novanta.
Ci si sente però cullati e rassicurati dal commento musicale, che evoca sonorità molto simili a West Side Story e Porgy and Bess. La scena finale invece, senza spoilerarvi troppo lo spettacolo, la rende straordinariamente simile a Norma Desmond in Viale del tramonto.
Roberto Mazzone
Febbraio 02, 2022 - Teatro.it
Il Tram che si chiama Desiderio firmato da Pier Luigi Pizzi non decolla. Nonostante la recitazione impegnata, vigile, attenta di Daniele Pecci e Mariangela D’Abbraccio, lo spettacolo non arriva al pubblico. Non s’individua quale lettura il regista vorrebbe trarre dall’opera più nota di Tennessee Williams (riproposta, per l’occasione, nella bellissima traduzione di Masolino D’Amico). Tutto sembra una letterale trasposizione di quanto scritto, e così facendo i personaggi mancano di spessore, ambiguità, forza drammatica. Stanley, per esempio: uomo rozzo, pratico, alcolizzato e giocatore, ignorante e all’occasione selvaggio ma in fondo non cattivo, così come appare interpretato da Pecci è appena abbozzato. Sfuriate che non riescono a raggiungere l’apice, gesta che s’intuisce subito non essere violente, una rudezza che sembra più di maniera che sostanziale. E venendo alla Blanche della D’Abbraccio: da donna ambigua, civetta, oscuramente perversa e con la pirandelliana corda pazza pronta a scattare, nell’interpretazione affidata alla Nostra attrice appare stanca, provata, quasi depressa; persino nei momenti in cui cerca di far valere il suo diritto ad essere felice, dovendo agire con forza e a tratti con veemenza, Blanche non fa che rivendicare il suo diritto alla vita, più per giustizia civile e politica che per questioni sostanziali che partono dall’anima stessa del personaggio.
Sviliti, dal punto di vista registico, i due protagonisti sul cui contrasto (verità-menzogna, buio-luce) la commedia di Williams s’impernia, lo spettacolo finisce per risentirne. Debolezza che trascina rovinosamente con sé anche la recitazione di tutti gli interpreti, soprattutto i principali. I quali pare stiano recitando come se avessero di fronte una telecamera; e quindi non accentuano in tonalità le battute, non si muovono sul palco in modo teatrale arrivando all’ultima fila della platea o in terza galleria.
Un tram che si chiama Desiderio intimo? Può darsi. Ma non era quello che si proponeva la commedia. La quale, come ricordato nel programma di sala, aveva l’intenzione manifesta di denunciare l’ipocrisia della famiglia come concepita nell’opulenta società americana, smascherandone i meccanismi tacitamente accettati da tutti ma da tutti intimamente rifiutati e in modo non meno falso.
Di ciò nulla appare nella regia di Pizzi. La quale si avvale di attori bravi come Daniele Pecci e Mariangela D’Abbraccio, che però non vengono qui usati al meglio delle loro capacità espressive. Anzi: essi vengono impiegati come se dovessero recitare su un set cinematografico.
Ma il teatro non è il cinema. È una forma d’arte che richiede rispetto di certe regole. Prima fra tutte, la verosimiglianza in luogo del realismo. Lezione che apprese anche Stanislavskij. Se Pizzi ne avesse serbato il ricordo, assieme alle esperienze della Compagnia dei Giovani, Pecci e la D’Abbraccio, da bravissimi attori quali sono, avrebbero regalato al pubblico del Quirino un’interpretazione eccellente e da brividi.
Pierluigi Pietricola
www.Sipario.it, 2 febbraio 2022
I superlativi sono indispensabili: Un tram che si chiama desiderio, ora al Teatro Franco Parenti, è un Tennessee Williams all’ennesima potenza, per uno spettacolo che conquista, emoziona, coinvolge, entusiasma. Pier Luigi Pizzi con una splendida regia ha studiato una scenografia solo apparentemente minimale, tutta giocata sul grigio antracite. A «dare tutti i colori» allo spettacolo sono gli attori, perfetti nei loro ruoli. Mariangela D’Abbraccio è una Blanche Du Bois dalle infinite sfaccettature: ingenua, sognatrice ferocemente catapultata nella realtà, capace di gesti dolci e altri provocanti, alcolizzata convinta ma anche nascosta, distaccata ma anche molto coinvolta, con abiti da lei reputati molto sfarzosi e una corona di strass, ma senza soldi. Ha preso quel tram che si chiama Desiderio e sa che la porta al capolinea, anche se cerca di nasconderlo. Infine è capace di risvegliare nel pubblico sentimenti di comprensione e di vicinanza, scevri da giudizi negativi.
Questi ultimi sono tutti per Stanley Kowalski, a cui Daniele Pecci riesce a infondere violenza e volgarità, sadismo e poco interesse per gli altri, in piena adesione al difficile ruolo, che comporta, per una volta, anche il muoversi in scena a lungo molto più spogliato delle interpreti femminili. Tra loro, Stella Du Bois che si muove tra le fantasie della sorella Blanche e la violenza del marito Stanley Kowalski, capace di affetto indifferente per entrambi, convinta che quello di Stanley sia amore e non abbia altre declinazioni. E poi Mitch, ingenuo quanto innamorato di Blanche, ma incapace di accettarla realmente, quando gli raccontano tutti i suoi lati negativi.
È un dramma di quelli che un tempo si definivano «dalle fosche tinte», che non nasconde né la violenza né l’erotismo, a volte suggerito, altre volte esplicito. Insieme parla della voglia (e della difficoltà) di costruirsi una seconda opportunità che corrisponda a quanto sognato. Parla anche di omosessualità, un tema che si ritrova regolarmente nei drammi di Tennessee Williams e ne mette in evidenza la difficoltà di farla accettare, unita all’esigenza di camuffarla per non essere respinti dalla società. Se questo è un aspetto vivo ancora oggi, sia pur con meno difficoltà, sempre più forte appare oggi un altro tema. Perché la pièce, senza fare sconti, racconta anche quella violenza in famiglia, di cui si sente parlare nella vita di tutti giorni, scambiata per amore ma che, come ci raccontano le cronache odierne, finisce tragicamente.
Se i temi sono ancora molto attuali, sia pure con sfumature non sempre identiche, raccontati con un linguaggio molto contemporaneo, l’ambientazione non è però attualizzata, come chiaramente indica il telefono a muro nero al centro della scena. Siamo nella New Orleans fine anni ’40, quartiere povero, perché il sogno americano non è per tutti e certo non ha toccato i Kowalski, come fa notare Blanche appena entra in quella casa, che definisce subito molto modesta. Per lei, in fuga da una realtà ormai difficile e inaccettabile, è il capolinea, a cui l’ha portata il tram che si chiama Desiderio. E’ la casa di Stella e Stanley, ma nemmeno qui la realtà le sarà benevola.
Valeria Prina
spettacolinews.it - 18 febbraio 2022
Ci sono voluti due anni affinchè il Tram del maestro Pier Luigi Pizzi, con a bordo Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci, fermasse al Teatro Quirino. Una chiamata carica d’attesa per un testo cardine della drammaturgia americana del secolo scorso, già portato in scena in Italia con allestimenti celeberrimi, come quelli di Visconti e De Capitani. Le luci accecanti del sogno americano, filtrate attraverso il velo del moralismo e dell’ipocrisia sociale più spietata e rapace, tornano ora in una rappresentazione profondamente fedele alle pagine di Tennessee Williams (nella traduzione storica di Masolino D’Amico), ma anche priva di una reale visione d’autore capace di caratterizzarla e imprimerla nella memoria.
Inutile soffermarsi su una trama che è ormai leggenda, al centro del film omonimo, diretto da Elia Kazan e interpretato da Vivien Leigh e Marlon Brando, che è tra le vette più alte della storia del cinema. Le dinamiche trovano spazio in una scena monocromatica, una sorta di “bianco e nero a colori” che trasforma l’appartamento di Stella in una specie di antro ferino, un interno psichiatrico in cui tuffare il disagio di Blanche e la brutalità animalesca di Stanley: teoricamente una bella idea, che all’atto pratico si scontra con una generale mancanza di cura dell’apparato scenografico (la bellezza è sempre nei dettagli). Molto ben riusciti, invece, il taglio di luci e le musiche, elementi che si muovono in modo nervoso, quasi sincopato e metatestuale, chiaramente ispirati alla fotografia di Harry Stradling e al geniale score di Alex North per il film del ’51.
La regia di Pizzi sottolinea la componente più satirica del dramma, sacrificando e, forse, banalizzando la polemica verso l’idealismo americano e la forte valenza erotica di quel “desiderio” inespresso e inafferrabile. Gli interpreti si muovono in scena con assoluto professionismo. Teatro ben confezionato insomma, all’insegna di una tradizione d’alta scuola che, ogni tanto, cede il passo al desueto. Nulla che abbia impedito al pubblico romano di tributare all’intera squadra in campo un lungo, appassionato e sincero applauso finale.
Giuseppe D’Errico
Al Teatro Quirino debuttano Daniele Pecci e Mariangela D’Abbraccio nel classico di Tennessee Williams Un tram che si chiama desiderio: in scena dal 1º al 6 febbraio
La leggenda vuole che fosse proprio su un tram, su cui girovagava da studente, che il giovanissimo Tennessee Williams si facesse l’idea di un dramma che svelava il lato oscuro del sogno americano. Questa storia divenne il capolavoro di Williams, un testo amato, odiato, comunque conosciuto in tutto il mondo, una pietra miliare del teatro e del cinema che ancora oggi si continua a leggere e a vedere rappresentato con interesse ed emozione. Una storia in tre atti che alzava il velo sulla macchina oppressiva della famiglia, dell’anima ipocrita dei pregiudizi, la feroce stupidità delle paure morali. Il dramma, premio Pulitzer nel ’47, mette per la prima volta l’America allo specchio su cose come omosessualità, sesso, disagio mentale, famiglia come luogo non proprio raccomandabile, maschilismo, femminilità maltrattata, ipocrisia sociale. Col tempo è diventato veicolo di altre ragioni sociologiche e ideologiche.
Il testo è ambientato nella New Orleans degli anni 40 e narra la storia di Blanche che dopo che la casa di famiglia è stata pignorata si trasferisce dalla sorella Stella sposata con un uomo rozzo e volgare di origine polacca, Stanley. Blanche è alcolizzata, vedova di un marito omosessuale, e cercherà, fallendo, di ricostruire un rapporto salvifico con Mitch, amico di Stanley. Ma il violento conflitto che si innesca fra lei e Stanley, la porterà alla pazzia, già latente in lei. La regia dello spettacolo è affidata ad un grande maestro di fama internazionale: Pier Luigi Pizzi, fondatore con Giorgio De Lullo, Romolo Valli e Rossella Falk della “Compagnia dei giovani”. Regista, scenografo, costumista, ha dedicato le sue immense doti di creatività e sensibilità al servizio di spettacoli teatrali sia di prosa che di lirica, con lavori che hanno segnato il percorso e l’evoluzione della storia del teatro. Ogni suo spettacolo porta il segno dell’eccezionalità. Il ruolo di Blanche DuBois è affidato a Mariangela D’Abbraccio, grande interprete del nostro teatro, reduce dai successi di Filumena Marturano per la regia di Liliana Cavani. Kowalski è interpretato da Daniele Pecci, attore affermato di cinema, teatro e televisione.