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QUANDO UNA CITTÀ MUORE

Scritto da  Lug 02, 2013

- di Caterina Barilaro -

«Il Mistero non è un muro, ma un orizzonte,

non è una mortificazione dell’intelligenza,

ma uno spazio immenso che Dio

offre alla nostra sete di verità».   

                                       (Antoine de Saint-Exupery)

Mons. L.Gulletta

Sembrava che stesse risorgendo. Un nuovo sussulto di cultura pervadeva Messina che, novella fenice, stava riemergendo dalle proprie premesse, dopo che, come Fedora di Calvino, aveva visto nel tempo mutare il suo splendore in desolazione. Sembrava essere tornata la speranza di un recupero delle interpretazioni di senso e della memoria di significati ormai smarriti, con una sensibilità pragmatica.

Nella “domus” di Dio e del suo popolo (il Duomo), i Messinesi scoprivano la cultura, la conoscenza e l’amore per i propri luoghi all’interno di un percorso cristiano di fede e di testimonianza; la cultura messa sempre in rapporto con il Verbo, con il valore della persona, in un continuo interrogarsi sulle grandi questioni che attraversano l’esistenza; la cultura trasformata e rigenerata dal Vangelo.

Le strade che conducono a Dio e, soprattutto, quelle per le quali Dio va in cerca dell’uomo sono infinite! E questa era davvero una strada alla ricerca di Dio e della Sua parola e i Messinesi uscivano da quegli incontri di “Fede Arte Musica” sentendosi arricchiti e con la voglia di sperimentare maggiori occasioni di crescita nella fede e nella testimonianza della carità, coniugando mente e cuore, ossia la dimensione conoscitiva, la carità operosa, la preghiera. Quel terreno solido su cui poter costruire con fiducia l’intera esistenza.

In questa cornice, “Fede Arte Musica” rappresentava la spiritualità incarnata nella cultura, una via di risposta al bisogno che oggi l’uomo ha di ridare un senso alla vita; un percorso spiritualmente motivato, pastoralmente orientato, ecclesialmente situato. Come non ricordare Giovanni Paolo II che raccomandava: «Una fede che non cerca la propria intelligenza è una fede non pienamente accolta, non intensamente pensata, non fedelmente vissuta». E quando, nell’indimenticabile discorso del 2 giugno 1980 rivolto all’Unesco, Karol Wojtyla affermava: «Genus humanum arte et ratione vivit»; e, ancora: «La cultura è ciò per cui l’uomo, in quanto uomo, diventa più uomo e accede all’“essere”».

Quando la fede si salda ai canoni della cultura, si riesce a realizzare un insieme collettivo di forme distinto da armonia, in cui la fede e la Weltanschauung si intrecciano ponendo al centro di volta in volta Dio, l’uomo, la natura, l’arte, la musica. La capacità di sentire con le corde interiori nasce forse dalla fragilità dell’uomo, ma quando il sentire viene condiviso spezza l’isolamento del singolo e lo salda all’universo.

Nel terzo millennio, nelle mutate condizioni culturali e sociali della società postmoderna, la comunicazione del Vangelo deve essere una impresa sempre nuova e la Chiesa ha il dovere di percorrere tutte le strade per condurre il suo gregge al Pastore.

Ma, nella Cattedrale, altre iniziative spirituali coinvolgevano fedeli e parrocchiani (perché la “domus” era anche parrocchia!). Una mirata strategia dell’evangelizzazione strutturata in un cammino orientato alla (ri)scoperta delle radici della fede cristiana, autentica e generosa. Incontri di magistrale catechesi che hanno aiutato i fedeli a ritracciare un modo “significativo” di vivere la fede oggi, in stretto rapporto con le loro situazioni di vita e con le loro esigenze di crescita personale e di responsabilità sociale. Un lavoro paziente e meticoloso di un buon pastore che, in mezzo al suo “gregge”, assicura le sue premure, le sue cure, difende dai “mercenari” le sue pecore, con l’attenzione di chi vive la fede e la riconosce come impegno d’amore cristiano, di chi spalanca la porta e anche il suo cuore all’altro, e non solo ai credenti; poiché è di questo che i cristiani hanno bisogno e di questo sono testimoni.

Papa Francesco, durante la celebrazione della Messa del 25 maggio scorso, ha affermato che «[…] chi si avvicina alla Chiesa deve trovare le porte aperte, non dei “controllori della fede” […] che finiscono col respingere le persone […] Gesù si indigna quando vede queste cose», perché chi soffre «è il suo popolo fedele, la gente che Lui ama tanto».

Non è mancata l’attenzione ai beni che il Duomo custodisce: restauri di opere preziose, come il Presepe napoletano; il monumento funebre dell’Arcivescovo Bellorado; il ritorno in Duomo, dopo quasi un secolo di assenza, della lapide di Costanza d’Altavilla; le minuziose e penetranti letture iconologiche; la valorizzazione dell’organo Tamburini, tra i più importanti del mondo, suonato in occasione di “Fede Arte Musica” da organisti di fama nazionale e internazionale; i corsi d’interpretazione organistica; e molte altre iniziative che hanno fornito elementi capaci di tracciare “rotte intime”, veri scrigni di emozioni e di suggestioni e, come tali, fonti di riflessioni sul significato della vita e sulla riscoperta della fede come sorgente di gioia e di carità.

A un certo punto di questo cammino, accade qualcosa che spegne gli slanci, agendo sulle scelte e sui comportamenti, condizionando individui e organizzazioni. Deduzioni arbitrarie, ma orientate, generate da sentimenti irrazionali celati dietro la necessità di “regole” e alimentate da “voci” confuse, innescano un conflitto che si manifesta in improvvise rotture di un percorso pienamente condiviso da quella comunità di fedeli che aveva intravisto, dopo lunghi periodi di oscurità, una “luce” rischiarare con la parola, con la cultura e la testimonianza i passi dei fratelli, guidati all’amore per la propria città, per la propria storia, che altro non è che il riverbero della luce di Cristo.

Un evento che ha dischiuso una folla di interrogativi e riflessioni, sprigionando “emozioni e immaginazioni”, sentimenti che intrecciano scambi, che influenzano le relazioni tra le persone, l’incontro e lo scontro, la competizione fra ruoli.

Ma «la verità – scriveva Tertulliano – chiede solo di essere conosciuta» e ogni tentativo di disarticolazione la offende, ogni interpretazione desunta da pochi dati la falsifica, ogni sua proiezione basata solo su impressioni la deforma.

Nel ricordare questi importanti momenti che Messina ha vissuto, non abbiamo ancora menzionato l’artefice, quel silenzioso seminatore che ha gettato semi che hanno dato preziosi frutti: Monsignor Letterio Gulletta, a cui va tutta la nostra gratitudine.

Messina ha ancora bisogno di lui e della sua opera efficace; della sua “voce” schietta e determinata hanno bisogno i fedeli, i cittadini, gli operatori territoriali che, con premesse diverse, vedono riflessa nello spazio vissuto la propria immagine e quella della comunità di appartenenza.

Le aperture e le convergenze sono sempre laboriose, richiedono tempo, ma sono progressive, costruttive e contagiose.

Caterina Barilaro

Professore Ordinario di Geografia

Università di Messina

Ultima modifica il Sabato, 22 Ottobre 2016 14:02
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