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Di lì a poco la situazione per i Borboni precipita a seguito dell'avanzata delle truppe francesi che occupano gran parte del regno di Napoli. Le circostanze di guerra si rivelano vantaggiose per la città dello Stretto che nell'occasione torna a ricoprire l'antico ruolo di chiave per il possesso dell'Isola. II cosiddetto "decennio inglese" vede concentrate nel territorio peloritano le truppe inglesi di rincalzo al fragile esercito borbonico. Diverse migliaia di uomini vivono attorno al porto falcato e molte sterline entrano nelle casse dei mercanti sempre presenti sulla piazza. Si formano nuove fortune, anche perché nel nostro porto convergono le navi inglesi cariche di prodotti in cerca di sbocco, visto che Napoleone con il "blocco continentale" ha precluso ogni rapporto tra Inghilterra e Stati d'Europa.La Sicilia ed in particolare Messina con il suo porto diventano la base per traffici più o meno clandestini con il continente, ciò a tutto vantaggio dell'economia locale.
Con il Trattato di Vienna del 1815 gli Inglesi si ritirano come pure il Re torna a Napoli.
Iniziano le cospirazioni massonicoliberali e già nel 1820 vi furono i primi moti, anche se con scarso successo.Nel 1837 una nave giunta nel porto di Messina diffonde in città un'epidemia di colera, contagio questo che dai liberali venne attribuito alla cattiveria dei Borboni, anche se in realtà non è proprio così che andarono le cose. Altri moti nel 1847 e nel 1848. Ristabilito l'ordine, Ferdinando II conferma il Porto Franco ampliandone i limiti ancora negli anni successivi (1852). Morto repentinamente il Sovrano, forse avvelenato, si attua con la spedizione garibaldina la proditoria annessione del Regno delle Due Sicilie allo Stato Sabaudo.La legislazione è uniformata a quella piemontese, ma il privilegio del Porto Franco non viene subito abolito. Ciò avverrà di lì a qualche anno, anche se la reale applicazione, essendo aggregata al completamento della Ferrovia Messina-Caltanissetta, avverrà solo nel 1880.
Tra la fine dell’Ottocento e il 1908, la città di Messina, dal punto di vista economico-commerciale, si presentava piuttosto prospera. Messina poteva vantare una posizione di tutto rispetto sotto il profilo dell’attività portuale. Il porto della città, infatti, continuava a essere uno dei primi in Italia e punto nevralgico del commercio internazionale. In particolare, "con le prime navi da traghetto (1899) si affermava il nuovo ruolo del porto che diventava anche e soprattutto punto di raccordo e di transito di uomini e merci tra l’isola e il continente, pur continuando a essere uno dei primi in Italia per tonnellaggio, volume di merci e per movimento commerciale” (Michela D’Angelo-Storia moderna e contemporanea).Nei primi anni del ‘900, l’economia messinese si fondava sulla produzione e sull’esportazione di agrumi: manteneva, infatti, ottimi rapporti coi mercati europei (Austria, Germania, Gran Bretagna) senza trascurare il lancio e la diffusione di successo dei propri prodotti anche negli Stati Uniti d’America.Accanto all’esportazione degli agrumi, fiorente, in quegli anni, la produzione e il commercio di essenze. Molte sono le famiglie che decidevano di dedicarsi all’attività di trasformazione degli agrumi, impiantando aziende medie o a conduzione familiare, come nel capoluogo così in provincia. L’azienda più importante e la più antica era la “Sanderson-Barret & C.” . La fabbrica produceva agrocotto, essenze di limoni e bergamotto dal 1897, anno in cui fu fondata, e rimase in attività fino alla seconda guerra mondiale.Dal libro "Il Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi" di Franz Riccobono edito da Skriba
"Si ringrazia Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione"

Cinquecento - XIII secolo

Apr 26, 2013
2348

Ancora parecchi   secoli dopo, malgrado le tante disgrazie, spoliazioní e trasformazioni   avvenute, la città risulta dotata di una miriade di sedi consolari delle più   lontane nazioni, proprio a conferma della rete capillare di rapporti   commerciali intessutì dagli imprenditori locali con mercanti di ogni parte   dei mondo.
 
  Nella seconda metà dei cìnquecento va ricordato un episodio determinante e   significativo nella storia del porto e della città. Nell'estate dei 1571   oltre trecento navi provenienti da varie parti d'Italia e d'Europa si   concentrano nel porto dì Messina. E la “Lega Santa" voluta   da papa Pio V, che al comando di Don Giovanní d'Austria il 16   settembre lascia il porto per poi ìncontrarsi con la flotta turca nelle acque   di Lepanto Il 2 novembre ciò che resta della flotta cristìana viene accolto   trionfalmente dai messinesi che, solo un anno dopo, inaugurano l’elegante   monumento al figlio naturale di Carlo V.
 
  La battaglia di Lepanto sarà seguita da altri episodi di guerra che   progressìvamente libereranno il passaggio nel Canale di Sicilia dai rischi   che fino ad allora avevano reso pressoché impraticabile quella rotta a tutto   vantaggio dello scalo peloritano.
 
  Paradossalmente, dalla grande vittoria inizia il lento ma progressivo declino   dei nostro porto.
  Nel XIII secolo prosegue la crisi provocata dall'apertura delle nuove rotte   transoceanìche che rivoluzionano le regole dei mercato.
  Messina si interroga sui motivi della crisi e trova una spiegazione nella   mancata attuazione dei suoi antichi privilegi, con H conseguente movimento di   rivolta nei confronti della Spagna e del suo sovrano Carlo V le complicate   vicende della rívolta antispagnola, inserita nel più vasto ambito della   guerra tra Spagna e Francia per il dominio dei traffici nel Mediterraneo,   lacereranno la società messinese divisa nelle due fazioni di   "Merli" e ""Malvizzi".
 
  Alla fine della rivolta la sconfitta è Messina, per quattro lunghi anni   impegnata in una vera guerra civile che certamente non contribuì a   risollevarne l'economia.
  Già nel 1695, al dì là della conclamata repressione spagnola, il governo dì   Madrid reintroduce il privìlegìo del Porto Franco, concede poco dopo   l'indulto ai messinesi "ribelli" fuggiti in Francia, revoca in gran   parte la confisca dei beni.
  
  L'economia accenna a ripartire quando nel 1743 una nave giunta da oriente nel   porto dì Messina diffonde la peste. La popolazione viene ridotta   radicalmente. Quando l'epidemia cessa, circoscritta con cordoni sanitari che   la isolavano resto del mondo, la città è stremata.
  Questa volta ì Borboni ed il Governatore Eustachio Lafeìuvìlle ampliano il   porto Franco ed agevolano l'economia locale, ma nel 1783 sopraggiunge un   terremoto che colpisce soprattutto le cìttà della Calabrìa provocando gravi   dannì a Messina, con il crollo dì buona parte della Palazzata che cingeva il   porto.
  Anche in questo caso il governo Borbonico nella persona di Ferdinando IV   interviene prontamente in soccorso della sfortunata Messina. Tra l'altro uno   specifico decreto reale introduce nuove vantaggiose agevolazioni a quegli   imprenditori che "da ogni parte d'Europa e d'ogni religione"   sono sollecitati a trasferire a Messina le loro attività economiche.
 
  Dal libro "Il Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi"   di Franz Riccobono edito da Skriba
  "Si ringrazia Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione"

Le origini e i territori

Apr 26, 2013
1928

La falce eviratrice   cadendo dal cielo sulla terra, secondo la mitologia, dà luogo allo   straordinario porto di Messina. Origine fatale le cui conseguenze segnano la   storia della città e del suo porto. Cronos, dio del tempo infinito,   usurpa il potere al proprio padre Urano evirandolo e, temendo che   altrettanto possano fare a loro volta i figli da lui generati, non esita ad   eliminarli divorandoli.

Destino altrettanto   crudele pare sia riservato alla città nata attorno alla falce parricida,   città creata da Cronos e da questo, di tempo in tempo, fagocitata per sempre   rinascere contro l'ineluttabile primordiale vaticinio. Ogni tipo di avversità   nella sua storia plurimillenaria si è abbattuto sull'abitato attorno al porto   falcato, la cieca falce ha mietuto quanto vedeva ma, ciò malgrado, la vita è   tornata ognora a rifiorire.

Paradossalmente il   mito delle origini ripetuto nell'arco dei secoli, quasi come un ritmo   ancestrale, incalzante, pare voglia segnare la vita della città dello   Stretto. Luogo del paradosso, sede privilegiata della leggenda di Scilla e   Cariddi, in un territorio segnato dalla presenza di Vulcano, Eolo, dei   Ciclopi e dei Giganti come Orione, altro ecista della nostra città, che con   grossi blocchi consolida la falce che difende il cerchio d'acqua del riparo   ai naviganti. Cronos, Orione, entrambi collegati alla nascita del porto.

Zanclon la falce, Zanclo   altro fondatore di quella che, con la venuta dei greci dalla Calcide, diviene   la città di Zancle. Una narrazione complessa quella delle origini, una   narrazione che risale alla preistoria, prima che Omero rendesse famose le   nostre perigliose acque abitate da fascinose femmine anch'esse divoratrici di   uomini come Cronos.

In verità, tale mito   fondante trova un reale riscontro nell'analisi che il geologo oggi conduce   alla ricerca delle origini di questo molto particolare sito della riva   occidentale dello Stretto. Dalle foci dell'Alcantara, al limite meridionale   della catena peloritana, sino a giungere alla spiaggia del Faro, la costa   jonica non presenta la possibilità di riparo se non a ridosso dei Capi di   Taormina, S. Alessio, Alì e Scaletta, sia pure in condizioni di evidente   precarietà.

II porto di Messina   di contro offre e soprattutto offriva in passato un riparo sicuro al   navigante, che ancor più apprezzava i vantaggi del nostro scalo se si ricorda   la particolarità delle acque dello Stretto, temute sin dal tempo degli   argonauti. Un porto naturale ampio e protetto dai venti di traversia, un vero   dono della natura a quanti solcavano queste acque perigliose provenendo da   ogni parte del Mediterraneo. Da ciò la fortuna e la fama del porto falcato   che per le sue specificità sembrava opera primordiale di un dio, poi ancor   meglio sistemato da un gigante come Orione. Ancora nel XVIII secolo veniva   reputato il porto più ampio, più agevole e più sicuro dell'intero mar   Mediterraneo. A tanta fama certo concorreva l'architettura dei palazzi che a   schiera ne cingevano la porzione sud occidentale.

Era quello il "Teatro   marittimo" che, con unico disegno ed in pietra bianca, accoglieva i   viaggiatori al loro giungere a Messina. Tralasciando il pur fascinoso mito   della fondazione ed esaminando i dati stratigrafici raccolti negli scavi che   in tempi recenti hanno indagato il sottosuolo del centro storico della città,   si hanno oggi gli elementi che consentono la ricostruzione dei modi e dei   tempi in cui si è formato questo tratto di costa. Nella parte settentrionale   dei Monti Peloritani, là dove questi si contrappongono al massiccio   aspromontano lasciando in mezzo la via d'acqua che costituisce lo Stretto di   Messina, la base delle colline che declinano verso Capo Peloro si allarga in   una pianura, la più vasta di questo versante della catena.

A partire da sud, da   Capo Scaletta, proprio là dove inizia oggi il territorio metropolitano, la   fascia costiera si allarga progressivamente, insinuandosi nelle brevi valli   che, quasi con ritmo cadenzato, ne caratterizzano l'andamento morfologico. II   massimo dell'ampiezza, pur sempre relativa, si raggiunge nella pianura a sud   del porto, tra il torrente Gazzi e la foce del Camaro. Questi due corsi   d'acqua possono in un certo senso considerarsi gli artefici di quel cerchio   d'acqua che ancor oggi offrono tranquillo riparo a chi va per mare. Qui, nel   corso del tempo, sono giunti con le continue alluvioni quei materi2 su cui   poggia l'abitato peloritano e qui braccio di terra ritenuto opera di Cronos o   Saturno. Qui la stratigrafia restituisce le fa di formazione in un   susseguirsi di livelli di sabbia, ghiaia o ciottoli che negli ultimi   quattromila anni si sono accumulati sino raggiungere spessori che normalmente   aggirano attorno ai dieci metri.

All'apporto cospicuo   e costante di torrenti si è accompagnata l'azione delle correnti marine che   con la nota energia hanno distribuito questi materiali alluvionali lungo la   fascia costiera anche in funzione dei movimenti contrapposti di "montante"   e ""scendente". Ancor oggi cadenzato secondo ritmi   consolidati, proprio all'esterno della falce del porto si forma il cosiddetto   "Garoffalo", evidente nell'incresparsi della superficie del mare in   conseguenza del gioco delle correnti. Probabilmente, dove oggi si inarca il   "braccio di S. Raineri", vi erano degli scogli costituiti   dal substrato della struttura micascistica dei Peloritani che qui   riaffiorava.

Grazie pure alla   presenza di acque di falda che favorivano l'aggregazione di sabbie e ghiaie   si è giunti alla formazione di spesse bancate di "puddinghe" già   utilizzate per cavarne pietre da macina o materiale da costruzione, ma che   hanno costituito la base attorno alla quale si è andata consolidando la   falce. Quindi una formazione relativamente recente quella del porto di   Messina che va collegata alle caratteristiche ed alle dinamiche del   territorio circostante come pure ai particolari fenomeni meteomarini   peculiari dell'area dello Stretto.

Esemplificando si   può affermare che gli abbondanti materiali alluvionali trasportati a valle   dai torrenti a sud dell'attuale porto venivano poi distribuiti in direzione   nord dall'azione del mare, sino a giungere, nel corso di un'azione durata   millenni, a ciò che oggi vediamo e cioè un braccio di terra che staccandosi   dalla pianura cinge un ampio cerchio d'acqua, lasciando un comodo varco a   nord-ovest. Di questo porto naturale posto quasi al termine della riva nord   orientale dell'Isola (Lat. N. 38° 11'32" e Longit. G.W. 15° 34'34' )   sono di circa 80 ettari di acque interne al braccio di terra che si conclude   con il Forte del SS. Salvatore cui segue l'ingresso di circa 400 metri di ampiezza.

Tale apertura lo   rende marginalmente esposto ai venti del I quadrante di greco e levante. I   terreni del Braccio di S. Raineri, esclusi quelli di pertinenza della Marina   Militare, assommano a circa 320.000 mq.. La marea si alza in media 20 cm. ma   nelle sigizie raggiungono anche i 70 cm. d'altezza, tale fenomeno si   manifesta in occasione del plenilunio e del novilunio, solitamente attorno al   mezzogiorno.

Dal libro "Il   Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi" di Franz   Riccobono edito da Skriba

Si ringrazia   Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione

II periodo dell'occupazione musulmana della Sicilia, per quanto riguarda le città della Valdemone e Messina in particolare, andrebbe meglio studiato in una visione serena dei ruoli svolti dalle diverse comunità culturali cristiana e musulmana.

In realtà gli Arabi nella parte nord orientale dell'Isola non incontrarono grande successo, probabilmente a causa del radicamento nella popolazione della fede cristiana. In ogni caso, i culti devozionali cristiani permangono, come diffusamente documentato. II porto e quindi la città del Peloro risentono della stasi dei traffici e pare che gli Arabi non abbiano utilizzato lo scalo falcato, ma piuttosto abbiano preferito usare come riparo i laghi di Ganzirri e del Faro, così come ricordato dal primo toponimo (Ganzirri significa ""terra dei porci" e tali erano intesi gli Arabi dai Cristiani) e dal fatto che un ampio canale d'ingresso sia stato scavato in quel periodo tra il mare e la parte settentrionale del pantano di Ganzirri.
Proprio al periodo arabo viene riferita la leggenda secondo cui fu il grande Alessandro a scavare il nostro profondo porto. Agli inizi del secondo millennio la Sicilia viene riconquistata dai cavalieri normanni e Messina diventa la base sicura per le progressive operazioni. II Gran Conte Ruggero riconosce alla città dello Stretto il suo ruolo strategico di porta della Sicilia e di porto dell'Isola. Ritornano gli antichi privilegi e la città rifiorisce quale emporio cosmopolita dove si incontrano cristiani e Greci, Arabi ed ebrei sotto I'occhìo vigile dell'aristocrazia creata dai Normanni. .

Al centro dell'arco interno del porto viene eretto il Palazzo reale, pare sui resti di un precedente castello arabo. Palazzo turrito "bianco come una colomba"; che per tutto il medioevo domina il porto. Rimaneggiato nel cinquecento, danneggiato dal sisma del 1783, permane fino a metà dell'ottocento, quando ormai perso il suo ruolo, pericolante, viene abbattuto per dare spazio ai padiglioni dell'attuale Dogana. Questo complesso edificio, assieme alla Palazzata, era stato l'orgoglio dei messinesi che per secoli ottennero che qui risiedesse il Re e la Corte, con ciò che da tale circostanza derivava alla città.

Alla fine del XII secolo Arrigo od Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, sposo di Costanza d'Altavilla e padre di Federico II di Svevia, fa di Messina la sua residenza preferita, concede alla città quello che diverrà nei secoli successivi il 'Porto Franco", cioè l'esenzione di qualunque tassa sulle merci trattate in entrata ed in uscita nel nostro porto.
II periodo normanno-svevo può considerarsi fondante per quello che sarà lo sviluppo dell'Isola e della città di Messina in particolare.
In quegli anni il porto, riaperto ai traffici, diventa una tappa ineludibile per quel flusso di uomini e mezzi che dall'Euopa si sposta verso oriente, verso i luoghi santi della cristianità, con le Crociate.
I difensori armati di Cristo tornano spesso malconci dalle spedizioni in Terra Santa, feriti o malati, ed anche in questo caso Messina con il suo porto attrezzato accoglie pellegrini e crociati nei suoi ospedali, nei suoi lebbrosari.

Non a caso in città si consolidano le rappresentanze dei principali ordini cavallereschi, da S. Giovanni di Gerusalemme ai Cavalieri del Santo Sepolcro, Templari e Teutonici. E proprio attorno al porto ancora oggi restano i relitti di un più vasto patrimonio architettonico, le Chiese di S. Maria degli Alemanni e, più a nord, il tempio della SS. Annunziata dei Catalani. Come pure si consolidano le posizioni dei "mercadanti" genovesi, veneziani, amalfitani, pisani e fiorentini, che con i loro "fondaci" incrementarono non poco I'attività del nostro porto.

La città viene cinta da mura turrite che chiudono lo spazio occidentale del porto sino alle retrostanti colline dominate dal castello di Matagrifone, più lungi dal Castellaccio ed il colle della Capparrina con quella che diverrà poi Torre Vittoria. II braccio esterno del porto rimane sguarnito se sì escludono la "Torre Mozza" che sorgeva grossomodo all'esterno dell'attuale stazione marittima e la Torre di S. Anna sull'estrema punta del braccio di S. Raineri, a controllo dell'ingresso del porto. Ingresso che, nella sua lunghezza di oltre trecento metri, in occasione del Vespro verrà chiuso alle navi francesi con una lunga catena resa galleggiante da travi in legno ad essa collegate.

L'attività mercantile continua e viene incrementata durante il periodo aragonese e castigliano sino alla conclusione dell'età di mezzo. Nel XV secolo approdano nel nostro porto quelle navi provenienti dalle Fiandre che consentiranno al giovane Antonello la calligrafica precisione dei maestri fiamminghi, le cui opere superstiti sono ancor oggi visibili nel nostro Museo cittadino.

Con il passaggio alla dinastia degli Asburgo, per precisa volontà di Carlo V, Messina ed il suo porto mutano aspetto grazie a radicali interventi urbanistici che dureranno per tutto il cinquecento. Viene rifatta la cinta muraria bastionata secondo le regole più avanzate dell'architettura militare. Sorge in posizione strategica il Castello del SS. Salvatore là dove per secoli vi era stato l'importante monastero basiliano dall'omonimo titolo.

Viene costruita la possente torre quadrata con la Lanterna di S. Raineri, in ricordo dell'omonimo monaco pisano. Si consolida il forte don Blasco alla testa del braccio falcato. All'apice del colle di Montepiselli viene costruito il poderoso Castello Gonzaga. Viene ammodernata la struttura del Castellaccio.

La nuova cinta include sia a sud ovest che a nord-ovest i nuovi quartieri già periferici.
Messina ed il suo porto sono attrezzati per affrontare con serenità ogni attacco proveniente sia dal mare che da terra.
II porto, fra l'altro, viene dotato della monumentale fontana del Montorsoli dedicata al dio del mare con accanto Scilla e Cariddi, ormai rese innocue ai naviganti. Fonte lì posta, al centro delle banchine per comodo non solo dei messinesi, ma soprattutto di quanti approdavano nel molo peloritano. Secolo d'oro il cinquecento, quando lungo le banchine del porto era possibile trattare ogni specie di mercanzia specie quando in estate veniva organizzata dai mercanti messinesi la grande "Fiera franca" usufruendo dei consolidati vantaggi derivanti da privilegi e consuetudini locali, spesso esclusivi in tutto il territorio dei Regno. Porto ospitale, porto trafficato, porto cosmopolita, porto attrezzato e ben fornito, quello di Messina in quegli anni.

Dal libro "Il Porto di Messina dagli argomenti ai croceristi" di Franz Riccobono edito da Skriba
"Si ringrazia Franz Riccobono e l’editore per l’autorizzazione"

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