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Articoli filtrati per data: Mercoledì, 14 Febbraio 2018

- di M. C. -

Sabato 17 febbraio 2018 alle ore 17,30, presso l'Auditorium San Vito di Barcellona Pozzo di Gotto, si terrà la presentazione del libro “Sulle ali della memoria. Gli esuli giuliano-dalmati di Sicilia ricordano”, edito per i tipi della Giambra Editori.

Memorie personali e testimonianze drammatiche di dolorose esperienze che documentano fatti ed episodi di quella triste parentesi di storia (patria) della Venezia Giulia che va dal settembre 1943 ai giorni nostri, quasi; vicende lontane nel tempo che sono però ancora così vive nella memoria di ogni giuliano e perciò opportunamente riunite in uno sforzo encomiabile indirizzato a mettere a disposizione di tutti le verità più precise ed inesorabili rispetto a quanto accadde a trecentocinquantamila profughi da Istria, Fiume e Dalmazia.

All'interno sarà possibile visitare la mostra documentale sulle Foibe e l'Esodo giuliano-dalmata a cura dell'Associazione Congiunti Deportati ex Jugoslavia.

L'evento è stato realizzato in collaborazione con l'Associazione Aria Nuova e con il patrocinio del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto.

Pubblicato in Comunicati stampa

- di Marcello Crinò -

Uno dei luoghi più antichi che denunciano la presenza umana nel territorio barcellonese è rappresentato dalla Grotta Mandra, situata nella zona di Acquaficara, posta lungo la strada per Castroreale. Su una parete presenta delle incisioni con grandi occhi, tipici dell’età del rame, III millennio a. C. Attualmente è pressoché inaccessibile a causa della folta vegetazione spontanea cresciuta al suo imbocco.

Il centro archeologico di Pizzo Lando, a 619 metri sul livello del mare, scoperto dall’architetto Pietro Genovese nel 1977 ma studiato nel corso di una campagna di scavi svoltasi nel corso del 1995 e curata dalla Soprintendenza di Messina, per l'importante posizione strategica fu abitato fin dalla tarda età del bronzo (X sec. a. C.), visto il rinvenimento di resti fittili dell’Ausonio II (tazze carenate, fuseruole, frammenti di ceramica e una fibula bronzea del VIII secolo). Sono stati ritrovati inoltre i resti di un nucleo urbano di epoca pre-greca e greca, databile tra il VI e il III secolo a. C., e una moneta di età classica raffigurante da una parte la testa di Giove e dall'altra un soldato greco.

2 MONTE S. ONOFRIO FOTO M.C. 1976

Sulla sommità di Monte Sant’Onofrio, sovrastante il casale di Acquaficara, nel 1974 l’architetto Pietro Genovese scoprì i resti di “un grosso villaggio fortificato situato sulla sommità di detto monte da cui dominava le prime colline e controllava la Piana da Tindari a Giammoro” (P. Genovese, Sicilia Archeologica, aprile 1977, p. 39). La Soprintendenza di Messina, nel corso di una campagna di scavi attuata tra il 1975 e il ‘76, portò alla luce alcuni muri realizzati in conci di tufo calcareo dello spessore variabile dai due ai tre metri e dei resti di torri. Pietro Genovese ritiene che i resti di Monte Sant’Onofrio, databili dal IX al V secolo a. C.,  siano da attribuire all’antica città sicula di Longane, che ha dato il nome al fiume omonimo che attraversa Barcellona Pozzo di Gotto, mettendo in discussione  Bernabò Brea e Domenico Ryolo che negli anni Cinquanta avevano invece localizzato Longane in territorio di Rodì Milici, dove è situato un importante centro archeologico. Sulle pendici dello stesso monte si aprono centinaia di grotte che facevano parte della necropoli. Tra queste l’architetto Genovese ha segnalato, per le sue caratteristiche “estetiche”, la cosiddetta “Tomba dei Principi di Longane” del IX-VIII secolo a.C.

Fino al secolo scorso l’esistenza di Longane era ignota a tutti, finché non vennero scoperte in questo secolo, in circostanze poco note e in un luogo non identificato, un caduceo bronzeo, ora conservato al British Museum di Londra, simbolo presente nella cultura fenicio-punica, su cui c’è incisa l’iscrizione: “Sono l’araldo pubblico longanese”, e alcune monete d’argento coniate da Longane, del V secolo a. C., che dimostrano l’importanza raggiunta dalla città in quel secolo, con lo sviluppo della siderurgia. Le immagini raffigurate nelle monete, la testa di Heracles e un dio fluviale, confermano l’importanza in cui era tenuto dai Longanesi il culto di Eracle, il semidio protettore della siderurgia.

3 TOMBA ACQUAFICARA FOTO M.C. 2004

Un ampio articolo, pubblicato sul numero di aprile del 2003 di “Paleokastro” (Rosalia Pumo, Il territorio dell’antica Longane. Localizzazione del sito, storia e stato della ricerca; cronologia delle evidenze archeologiche, pp. 13-20, in “Paleokastro, Rivista di studi sul territorio del Valdemone”, Anno III, n. 10, aprile 2003), edita a S. Agata di Militello, ha riproposto l’annoso problema della localizzazione dell’antica Longane. L’articolo tiene in parte anche conto di quanto detto sopra, pur propendendo, seppur, ci sembra, con qualche dubbio, per la localizzazione di Longane a Rodì. L’autrice del testo, Rosalia Pumo, specializzata in archeologia all’Università di Lecce, inizia con un excursus storico e territoriale, incentrato sulla ricerca del sito dell’antica città e dà anche conto delle ricerche dell’architetto Pietro Genovese ed alla conseguente scoperta del centro archeologico di Monte S. Onofrio. E in relazione alla posizione topografica delle varie zone con testimonianze archeologiche, avanza l’ipotesi che accanto a Longane, (a Monte Ciappa e Monte Cocuzzo), esistevano altri due nuclei contemporanei, uno a Monte S. Onofrio e l’altro a Monte Marro-contrada Scorciacapre (Rodì Milici).  Però, siccome Longane sarebbe stata distrutta prima del 269 a. C., prima cioè della battaglia tra Gerone II di Siracusa e i Mamertini, dovrebbero risultare a Monte Ciappa e Monte Cocuzzo fasi di abbandono, vista anche la distruzione delle fortificazioni nel IV secolo. Invece sono stati rinvenuti reperti ceramici ellenistici, tracce del periodo tardo classico e romano, segno che il sito è stato ancora utilizzato in epoca successiva.

Nel 1888 giunse a Siracusa Paolo Orsi (Rovereto, 1859-1935), che iniziò una proficua attività di scavo in tutta la Sicilia, esplorando i più importanti centri archeologici dell’isola, e illustrando, sulla scorta delle ricerche del professore Vincenzo Cannizzo, la prima necropoli sicula della provincia di Messina, quella denominata di Pozzo di Gotto, situata tra Monte Risica e Colle Cavaliere, dandone comunicazione sul “Bullettino di Paletnologia Italiana” del 1915.

Cannizzo era nato a Licodia Eubea nel 1869, si era formato archeologicamente con Paolo Orsi a Siracusa, con cui collaborò in diverse occasioni, divenendo ispettore Onorario ai Beni Culturali. Nel 1908 ricevette l’incarico di insegnamento a Castroreale. L’Orsi lo invitò quindi a studiare la campagna  circostante alla sua residenza.

Questa necropoli, oggi pressoché distrutta, presenta delle tombe a cella rettangolare e a forno, scavate nel calcare roccioso, e risale, secondo l’Orsi, all’VIII secolo a. C. Per la prima volta è stato constatato un caso di cremazione, assolutamente nuovo nel rito funebre siculo. “La spiegazione - secondo lo studioso - può essere data dalla circostanza che, cronologicamente, la necropoli di Pozzo di Gotto è contemporanea all’apparizione delle prime colonie greche in Sicilia che fecero conoscere l’uso della cremazione”. I reperti ritrovati nelle tombe furono trasportati inizialmente a Castroreale e successivamente a Siracusa, dove furono disegnati da Rosario Carta, uno dei collaboratori di Orsi.

Come si era detto, durante il dominio arabo, il sistema di riscossione delle tassazioni è più semplice. La condizione degli schiavi  è molto alleggerita, quanti  tra loro si convertono  alla fede di Maometto vengono dichiarati liberi dalla schiavitù. L’islamismo in tutta la Sicilia ha una grande espansione e di fatto Palermo con le centinaia di moschee diviene capitale della cultura islamica al pari di Cordova in Spagna. In ogni caso però viene ammesso ai Cristiani e agli Ebrei di continuare a vivere secondo le proprie leggi e di frequentare Chiese e Sinagoghe  ma non è permessa la costruzione di altri nuovi luoghi di culto cristiani o ebraici. Durante il dominio arabo però vengono abolite le processioni che portano per le strade simboli cristiani come la croce e non è ammesso chiamare a raccolta i fedeli nelle chiese con il suono delle campane che vengono fatte dismettere e alla fine fuse. In ogni caso in oltre i due secoli e mezzo di  dominio arabo in Sicilia, non è state demolite nessuna  basilica, chiesa o cattedrale che si ritroveranno al rientro in forse della cristianità.

Pubblicato in Comunicati stampa

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