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Simone Neri

Mag 05, 2024

 

ALLUVIONE MESSINA - GIAMPILIERI  2  Ottobre 2009

SIMONE NERI - All'anagrafe Pasquale, nato il 15 ottobre del 1979 - Sottocapo in Servizio Permanente della Marina Militare, dopo essersi messo in salvo allontanandosi dalla sua abitazione di Giampilieri crollata in seguito all'alluvione, udendo urla di aiuto da parte di familiari e concittadini è tornato indietro salvando nove persone.
Ragazzo impeccabile, di una solarita' eccezionale, non ha esitato ad estrarre dal fango nove vite umane. Per questo gesto eroico ha donato la sua.

Le sue ultime parole alla fidanzata:"Qualunque cosa succeda, ricordati che ti amo!"


"Ciao Simone non ti conoscevamo purtroppo, ma "Noi" di messinaweb.eu ti abbiamo conosciuto...così , così vero messinese , così Siciliano...eh sì, l'abbraccio di Dio, della città, di tutti i tuoi concittadini aiuterà soprattutto i tuoi familiari.

Ciao Simone, da lassù illumina la Tua gente che con tanta volontà vuole continuare a vivere a Messina per vederla rinascere.

Ciao eroe...il nostro eroe...di questa Messina martoriata da terremoti, incendi, da orrori umani ed ora anche alluvionata...dove il dolore di uno è il dolore di tutto il popolo messinese.

MESSINA è orgogliosa di te e "Noi" di messinaweb.eu cercheremo di non farti dimenticare."

TESTIMONIANZE

Caro Simone, è così che alcuni tuoi amici e conoscenti ti vogliono ricordare:

L'amico Enzo
"Ci siamo conosciuti nel 1999, mentre svolgevo il servizio militare sull'incrociatore portaereomobile Giuseppe Garibaldi. Simone era già da qualche anno a bordo e si occupava di un servizio logistico. Io, catapultato in una realtà differente da quella solita, mi trovavo spaesato; proprio in questa situazione una voce amica mi ha sollevato l'umore....l'accento messinese era inconfondibile. E' proprio vero, noi siciliani ci si riconosce sempre ed ovunque, soprattutto se si è fuori dalla nostra città. Sicuramente, durante la mia esperienza la sua amicizia è servita a rendere le giornate più piacevoli, massima la sua disponibilità ed onestà. Ricordo un episodio...durante una navigazione verso il porto di Palermo, passammo dallo Stretto di Messina....ti lascio immagginare la gioia nel vedere la Madonnina....e lui scherzando mi diceva....."ci buttiamo e nannamu a casa na para i ionna...".

Tante cose avevamo in comune, tra cui l'amore per la nostra terra e le nostre conoscenze. Giampilieri, li dove lui ha vissuto, si trovava vicino a quei paesi (Molino, Altolia, Briga) che nella mia gioventù e tutt'ora hanno rappresentato fonte di svago e divertimenti. Proprio questa estate, durante le ferie, ci siamo rivisti al lido, durante la nostra piacevole e divertente discussione mi aveva detto che dopo 4 anni di servizio a Messina era stato trasferito a La spezia; purtroppo da Messina si sarebbe allontato, ma di ciò non era per nulla dispiaciuto o preoccupato, anzi appariva sempre sorridente e questo sicuramente faceva di lui un bell'esempio per gli altri.

Purtoppo Simone non c'è più....nessuno nasce eroe ma in questo caso non ci sono altri termini. Messina ed i messinesi lo ricorderanno.Ciao Simone................"

Le insegnanti dell'Ist.Antoniano
"Hanno avuto modo di apprezzare le tue doti in un giorno in cui si sono trovate insieme ai bambini presso la Cittadella di Messina. In qualità di Ufficiale di Marina, sei stato una guida meravigliosa."

Il tuo collega Domenico
"Orgoglioso di essere un tuo collega, sei stato da esempio per tutti noi...ciao EROE!!!"

Il tuo collega Angelo
"La marina e' piccola,ci siamo incontrati parecchie volte con il nostro lavoro. Eri un ragazzo inpeccabile, di una solarita' fuori dal normale. Ancora non realizzo che non ci sei piu' tra di noi. Caro Simone il tuo sorriso rimarra' indelebile nei nostri cuori"

Tuo cugino Davide:
"un vero eroe....anche se è mio cugino non ho mai avuto il piacere di conoscerlo ma sono fiero per quello che ha fatto..sei un grande veramente"

Patrizia
"Simone era il nipote di Nino Neri ( doic ) lui ora è a Palermo perchè suo fratello è al centro ustioni mentre la cognata è a Catania è proprio una tragedia !!!Simone sei un grande!!!"

Ilenia (Università "Mediterranea" DI Reggio Calabria )
"Ti ricordo sempre con il sorriso stampato nel tuo volto. Aspetterò ancora quel tuo messaggio contro la cioccolata su Facebook. Anche se non arriverà più. Sei il nostro eroe e resterà per sempre un vuoto dovuto alla tua mancanza. Ti vogliamo bene.. ciao simone"

L'amico Paolo
"Un caro amico. Ciao Pirata!"

 

di Giuseppe Cavarra

Tommaso Cannizzaro, nato a Messina nel 1838, era una personalità poliedrica. Giovanissimo, intraprese da solo lo studio delle lingue approdando ad una buona conoscenza del francese, del portoghese, del tedesco, del russo, del danese, del magiaro. Per tutto l'arco della sua vita coltivò la poesia, da lui ritenuta una forma di indagine sui fatti della natura e dell'uomo.

Dei suoi versi (oltre 5000 complessivamente) dissero bene il Carducci, lo Zanella, il De Amicis, il Capuana. Nel 1884 gli scriveva tra l'altro il Rapisardi: «Stupendi i vostri versi e tali da farmi vergognare delle quattro strofettucce che scrissi per voi, unicamente ispirate dall'affetto e senza punto badare all'arte. È davvero mirabile che voi sappiate con sì viva e spontanea e numerosa facilità tradurre in francese il vostro pensiero. L'anima vostra è davvero un'arpa da cui tutti i venti dello spirito [...] traggono ora soavi ora selvagge armonie». Parole più meditate gli dedicò lo storico Armando Saitta, evidenziando tra le qualità dei versi cannizzariani la «ribellione contro l'ingiustizia, l'amore per i forti e gli umili, il canto dell'affetto e il frizzo della satira».

Resosi conto che, grazie all'opera "amorosa e paziente" di Lionardo Vigo, di Giuseppe Pitrè e di Salvatore Salomone Marino, la ricerca nel campo della cultura popolare veniva assumendo in Sicilia le proporzioni che poi effettivamente raggiunse, il Cannizzaro si mise a girare per le campagne "colla matita alla mano" (sono parole sue) raccogliendo canti, fiabe, leggende sacre e profane, preghiere, canti morali, canti fanciulleschi, indovinelli, formule medico-magiche, proverbi, modi di dire, motti, aforismi, ecc. I documenti messi insieme, se pubblicati nel tempo in cui furono raccolti, avrebbero dato alla città dello Stretto un posto di primo piano nel panorama degli studi folklorici non solo siciliano.

A parte una raccolta di racconti popolari dati alle stampe da Dora Siracusa Ilacqua presso Olschki nel 1972, i documenti raccolti da Cannizzaro giacciono ammonticchiati da oltre un secolo nelle biblioteche cittadine, come tante altre "memorie" messinesi ingiustamente condannate all'oblio. Ne parlava in un incontro a Messina Giuseppe Bonomo, segnalando in particolare alcune centinaia di canti popolari raccolti dal demologo messinese sulla riviera ionica, in particolare a Roccalumera, dove Cannizzaro trascorreva abitualmente parte delle sue ferie. Tra quei canti ci sono anche quelli che da Casalvecchio Siculo veniva inviando allo studioso messinese Domenico Puzzolo Sigillo.
Tra quei canti ottantacinque sono etichettati come "osceni". Cannizzaro fece di tutto per metterli a stampa, ma in Sicilia quei canti non poterono vedere la luce malgrado l'impegno del Pitrè e soprattutto del Salomone Marino.

Le ragioni del rifiuto degli editori siciliani il Pitrè le spiegherà più tardi in una lettera a Raffaele Corso, dove tra l'altro leggiamo: «Tutti gli editori di raccolte abbiamo il torto di aver lasciato al buio l'aspetto più naturale e forse più importante della vita del popolo [...] I popoli nostri son tutti a giudicare modelli di castigatezza. Ciò è un grande equivoco, anzi un vero errore, che io stesso deploro, ma che pure non avrei il coraggio di combattere, dando fuori le tradizioni scatologiche della Sicilia. Questo possono farlo giovani di impegno e di studi come Lei, freschi alla vita e senza legami di uffici pubblici. Ma Pitrè, Presidente del R. Educatorio Femminile Maria Adelaide, Deputato a vari Istituti cittadini di educazione, qui sarebbe messo alla gogna».

Fatto sta che dei suoi canti "osceni" in vita il Cannizzaro riuscì a pubblicarne nel 1886 solo settantadue ad Heilbronn nella rivista «Kryptadia: Recueil de documents pour servir à l'ètude des traditions populaires», con testo in dialetto messinese e versione in francese.
A tirare fuori quei canti e a proporli al vasto pubblico provvede ora l'editore Armando Siciliano con l'opera La falce di Priapo, uscita recentemente a Messina a cura dell'autore di questa nota. I motivi che hanno segnato il processo di evoluzione della donna sul piano intellettuale, politico ed economico nel nostro Paese qui ci sono tutti, a cominciare dal maschilismo che da noi ha sempre assegnato alla donna tutte le qualità negative insite nella natura umana. Nei canti cannizzariani qualche rivincita nei confronti dell'uomo di tanto in tanto il "sesso debole" se la prende denunciando i soprusi, deridendo le assurde pretese del "sesso forte", chiedendo uno spazio che al tempo in cui i canti furono raccolti alla donna veniva categoricamente negato.

Alla cultura del popolo il Cannizzaro si accostò sem pre con amore dando alle stampe vari documenti di vita popolare, tra i quali ricordiamo: una novellina popolare messinese intitolata Cuntu lu Ciropiddhu, Frammenti di canti popolari politici, Sulla canzone di 0iolina, Les trombes marines dans la mer de Sicile, II Commento a Lisabetta da Messina e la leggenda del vaso di basilico (Decamerone, V, 4), in cui il Cannizzaro sostiene che nei protagonisti della storia infelice bisogna vedere Matteo Palizzi, conte di Novara, e la bellissima Elisa, regina di Sicilia, figlia di Enrico I I duca di Corinzia e di Boemia, andata sposa a Pietro II d'Aragona.

Nel 1894 il Cannizzaro pubblicò a Messina presso l'Editore Principato la prima traduzione integrale in dialetto siciliano della Divina Commedia di Dante. Questa la dedica: «Ai Comuni di Sicilia - questa versione nel loro linguaggio collettivo - della Visione Dantesca - dedica il Traduttore - perché la diffusione del Sacro Poema-nel popolo-vaglia a rialzarne l'idioma la cultura lo spirito - e contribuisca mercé il dialetto che iniziò il volgare illustre - al più largo e sano sviluppo - della lingua Nazionale». Nelle «Memorie Storiche e Letterarie della Reale Accademia Peloritana» scrisse della traduzione dantesca Gaetano Oliva: «Il Cannizzaro non fece una semplice traduzione in bei versi italiani, ma una traduzione, come egli stesso dice, che conciliasse la massima fedeltà con le esigenze del verso, inevitabili in una riproduzione poetica, per il che egli rinunzia non solo alla seducente tentazione d'ingrandirla e di abbellirla con immagini proprie come la più gran parte dei traduttori ha fatto, ma si è astenuto eziandio di riprodurre le allitterazioni del testo».

Il Cannizzaro non ebbe una vecchiaia felice. Nel 1905 confessava al Pitrè di sentirsi «vecchio, povero e semicieco». Sopravvisse al terremoto del 1908. Nel 1912 perdette il figlio Franz. Il 20 aprile 1915 il Comune di Messina gli assegnò finalmente la somma di lire 25.000 a patto che alla sua morte i suoi libri e i suoi manoscritti sarebbero divenuti proprietà del Comune. Quei libri il Cannizzaro li aveva comprati a prezzo di grandi sacrifici, vendendo anche proprietà a lui intestate.

Si spense a Messina il 25 agosto 1921, pressoché dimenticato. In novembre la «Tribuna» di Roma annunciava ai lettori che pochi giorni prima Tommaso Cannizzaro era «sprofondato senza echi nella sua Messina nel doppio nulla della morte e dell'oblio». La «Gazzetta della Sicilia e delle Calabrie » lo ricordò ai messinesi con queste parole: « [ ... ] volto soltanto ai suoi ideali di arte e di bellezza, non intese le ragioni della vita: non seppe, né volle sapere le moderne arti della réclame sapientemente organizzata; non seppe così assicurarsi quelle insperate, se pur effimere, glorie di cui godono oggi scrittori mirabili solo di audacia e d'ignoranza [... ] AI Cannizzaro nocque l'essere completamente poeta, privo, vale a dire, di qualunque accortezza pratica ed impermeabile alle dure illazioni che scaturiscono dalle esperienze della vita».
La Messina ufficiale non si mosse alla sua morte né si è mossa in seguito per far conoscere al vasto pubblico l'opera inedita ed edita. Per la maggioranza dei messinesi Cannizzaro è ancora colui che ha dato il nome ad una strada che attraversa il centro della città, ma pochi ne conoscono le ragioni.

Saro Zagari

Mag 05, 2024

 

di Alba Terranova

Saro Zagari nacque a Messina nel maggio del 1821, da Antonina Formica e Domenico Zagari. Studiò disegno presso la scuola comunale di Belle Arti del Regio Collegio Carolino diretta la Letterio Subba, proseguì poi con gli studi universitari ottenendo la laurea in architettura nel 1842. Dal 1845 al 1850 si perfezionò a Roma presso lo studio di Pietro Ternani, frequentando, tra l'altro, la scuola del nudo diretta dallo stesso Ternani presso l'Accademia di San Luca, ottenendo un premio al concorso della prima classe di scultura. Dal 1850 in avanti continuò a vivere tra Roma e Messina dove ottenne le più importanti commissioni municipali che realizzò a Roma nel suo studio di palazzo Farnese. Eseguì le decorazioni esterne del Teatro S. Elisabetta - poi Vittorio Emanuele - un gruppo marmoreo e svariati bassorilievi. Nel 1853 gli venne commissionata la realizzazione della statua di Carlo III, che sostituì quella di Giuseppe Buceti.

Tra i simulacri realizzati da Zagari si ricordano in particolare: quello di Emanuele Lanza Trabia, conte di Mazzarino e Branciforte; due busti in marmo ed uno in bronzo, sempre dello stesso; la statua di Ferdinando II per la città di Girgenti, che andò distrutta. Numerosi i monumenti funebri: quello di Francesco Paternò Castello, duca di Carcaci, per la cappella Paternò a Catania; uno per il fratello Gaetano; uno per il cavalier Calcagno a Milazzo; quelli di De Pasquale e Policastro a Lipari; uno per lo scienziato naturalista messinese Antonio Prestandrea, inizialmente collocato nella chiesa di San Camillo; uno per Silvestro La Farina; il bassorilievo con ritratto di Silvestro Picardi, proveniente dalla chiesa di Santa Maria Annunziata dei Teatini; il busto di Giovanni Pisani Rodriquez; quello per Carlo Filangeri a Napoli. Scolpì otto bassorilievi, rappresentanti i fatti più salienti dei poemi Cyroniaci, per il genero di Lord Byron, Lord Lovelace, che furono esposti a Londra prima di essere collocati definitivamente presso il castello del committente.

Saro Zagari fu collaboratore di molti giornali artistici; scrisse l'opuscolo Pensieri sulla convenienza dei monumenti sepolcrali; fu socio delle accademie artistiche di Carrara, Perugia, Palermo e Messina; fu eletto accademico di merito residente nella classe della scultura dell'Accademia di San Luca; fu nominato Virtuoso del Panteon e ricevette la croce di Cavaliere gregoriano da Pio IX.

Morì a Messina il 2 maggio 1897 e fu sepolto nel Gran Camposanto cittadino, dove la figlia gli fece erigere un monumento da Gregozio Zappalà.

di Alba Terranova

Antonio de Antonio (o degli Antoni) nacque a Messina, nella contrada dei Sicofanti intorno al 1430 e morì nel 1479, tra il 14 febbraio (data riportata dal suo testamento) ed il 25 dello stesso mese (data in cui si hanno già notizie della sua morte).

Considerato il più famoso degli artisti siciliani ed elemento di spicco della Scuola Italiana del suo tempo, contribuì allo sviluppo della tecnica ad olio.

Apprese i primi rudimenti dell'arte dal padre, Giovanni Michele degli Antoni, scultore. Nel 1450 lo ritroviamo presso la bottega di Colantonio, a Napoli, capitale del regno aragonese, dove si recò con lo scopo di perfezionare la sua tecnica.  Qui entrò in contatto con il consistente materiale fiammingo, provenzale e catalano  che lascerà una notevole impronta nell'artista e sarà per lui una grande fonte di ispirazione, pur rimanendo meno analitico e più attento all'umanità dei personaggi rappresentati nelle sue opere.

Ritornò a Messina nel 1455 dove sposò Giovanna Cuminella ed aprì la sua bottega. Le prime notizie sulla sua attività risalgono al 1457, quando dipinse un gonfalone per Reggio Calabria, simile a quello che aveva già realizzato per la messinese chiesa di San Michele. La sua più antica opera pervenutaci risulta essere il Cristo benedicente, realizzata nel 1465 ed oggi custodita alla National Gallery di Londra. Dal 1460 al 1465 abitò a Messina, presumibilmente senza interruzioni.  Durante questo periodo, considerato dai critici il più fecondo della sua attività, realizzò l'Ecce Homo, Madonne, Crocifissioni e diversi ritratti. Non abbiamo notizie sull'operato di Antonello fino al 1472 ma sappiamo che nel 1473 dipinse il Polittico di San Gregorio, oggi patrimonio del Museo Regionale di Messina. Nel 1474, dipinse per Palazzolo Acreide il quadro rappresentante l'Annunciazione, oggi conservato presso il Museo di Siracusa.

Si recò successivamente a Venezia dove realizzò la Pala di San Cassiano per Pietro Bono, ed il San Sebastiano. Su richiesta di Galeazzo Maria Sforza si recò a Milano, dove gli venne richiesto di eseguire alcuni ritratti. Ritornò infine a Messina intorno al 1476, dove morì dopo aver consegnato ai posteri l'ultima sua opera: un gonfalone per Santa Maria di Randazzo.

Nonostante il Vasari abbia risolutamente affermato che il celebre pittore messinese sia morto a Venezia e lì sia stato seppellito, un numero crescente di studi e ricerche sostiene che la sua salma sia stata sepolta nella cripta della chiesa S. Maria del Gesù Superiore a Messina, con indosso il saio francescano, come egli stesso indicò nel suo testamento, ritrovato dallo storico messinese Gaetano La Corte Cailler.

Opere principali:

 Annunciazione

Antonello da messina annunciazione 675x350

L'Annunciazione è un dipinto oliosu tavola di tiglio (180×180 cm), datato al 1474 e conservato nel Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa.

Descrizione (da Vikipedia)

La scena è ambientata in una stanza descritta attentamente, con un soffitto a travi dove si trova un  architrave  decorato da cartocci e rosette, retto da due colonne che separano anche idealmente la metà destra (della Vergine) da quella sinistra (dell'Angelo). Sulla parete di sfondo si trovano due finestre più una terza in un'altra stanza che si intravede a destra, secondo un'iconografia derivata dall'arte fiamminga che prevede più fonti di luce e aperture spaziali sul paesaggio anche nel caso di interni. Fine è la descrizione degli oggetti e degli arredi della stanza, dal letto della Vergine nella stanza in secondo piano, allo scranno-leggio su cui è inginocchiata fino al vaso da fiori con decorazione azzurra su fondo bianco in primo piano, oggi molto danneggiato. Notevole è il merletto bianco su cui è poggiato il libro, allusione alle Sacre Scritture che si avverano con l'atto di accettazione di Maria.

Maria, dalla tipica fisionomia del pittore siciliano, è rappresentata in ginocchio mentre riceve l'annuncio con le braccia incrociate sul petto e la raggiunge la colomba dello Spirito Santo, inviata da Dio attraverso la finestra aperta. È vestita col tipico manto azzurro, che copre una veste di tinta rossa. L'angelo, che reca in mano il tradizionale giglio, ma che è curiosamente nascosto dalla colonna, benedice la Vergine. La sua veste è un ricco damasco decorato, che accentua il volume quasi geometrico del suo corpo, secondo uno stile più tipicamente italiano. Il viso, incorniciato da lunghi capelli biondi, è adornato da un diadema cuspidato azzurro, dove brillano alcune perle e un rubino, tipiche notazioni di "lustro" alla fiamminga.

In basso si intravede anche la figura di un devoto, il sacerdote citato nel documento notarile.

L'impianto prospettico e luminoso rimanda alle opere di Piero della Francesca, ma gli effetti lenticolari e la tecnica derivano dall'arte fiamminga, in particolare dalla lezione di Jan van Eyck e altri, che Antonello ebbe modo di conoscere durante la sua formazione a Napoli e grazie ai traffici navali del porto di Messina.

 

 Annunciata 

Antonello da Messina Virgin Annunciate Galleria Regionale della Sicilia Palermo

L'Annunciata  è un dipinto a oliosu tavola (45x34,5 cm), realizzato intorno al 1476 e conservato a palazzo Abatellis a Palermo.

Descrizione (da Vikipedia)

Maria è colta nell'attimo in cui l'interlocutore le è davanti, e la sua mano destra sembra volerlo infrenare[; dalla sagoma dalla geometria essenziale del manto emerge il perfetto ovale del volto della Vergine. Un asse - forse casuale - della composizione è dato dalla piega del manto sulla fronte, giù fino all'angolo del leggio; al contrario, il lento girare della figura e il gesto della mano, danno naturalezza alla composizione. Un'interpretazione intravede i diversi momenti di un racconto presenti nell'espressività delle mani, dello sguardo e delle labbra.

La posa è di tre quarti, lo sfondo scuro e la rappresentazione essenziale derivano dai modelli fiamminghi, in particolare da Petrus Christus che forse Antonello conobbe direttamente in Italia. La luce è radente ed illumina l'effigie come se si affacciasse da una nicchia, facendo emergere gradualmente i lineamenti e le sensazioni del personaggio. L'uso dei colori a olio permette poi un'acuta definizione della luce, con morbidissimi passaggi tonali, che riescono a restituire la diversa consistenza dei materiali.

A differenza delle opere fiamminghe però, Antonello impostò anche una salda impostazione volumetrica della figura, con semplificazioni dello stile "epidermico" dei fiamminghi che permette di concentrarsi su altri aspetti, quali il dato fisionomico individuale e la componente psicologica.

L'opera rappresenta uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana. La purezza formale, lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta ne fanno un capolavoro assoluto.

* Polittico di San Gregorio (Museo Regionale di Messina)

* Ritratto d'uomo o Ritratto di ignoto marinaio (Museo Mandralisca di Cefalù)

* Ecce Homo (The Metropolitan Museum di New York)

* Madonna con il bambino o Madonna Salting (The National Gallery di Londra)

* Madonna col bambino o Madonna Benson (National Gallery of Art di Washington)

* Crocifissione (Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa)

* Ritratto di giovane (The National Gallery di Londra)

* Pala di San Cassiano (Museo di Vienna)

* San Sebastiano (Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda)

* Crocifissione (Muzeul National Brukenthal di Sibiu - Romania)

* San Girolamo nello studio (The National Gallery di Londra)

* Ritratto d'uomo (Museo civico d'arte antica di Torino)

* Cristo alla colonna (Musée du Louvre di Parigi)

* Pietà (Museo Nacional del Prado di Madrid)

 

di Alba terranova

Nacque a Messina il 15 ottobre 1893, trascorse l'infanzia nella città natale, successivamente si trasferì a Genova dove il fratello Luigi gestiva un' attività commerciale e dove faceva funzionare il Kinetoscope di Edison. Nel 1909, un anno dopo il terremoto, ritornò a Messina con il fratello, ricongiungendosi con la famiglia, sopravvissuta al sisma.

In quegli anni, iniziò a fare l'operatore dilettante all'Eden Cine Concerto, e si iscrisse alla scuola Tecnico Industriale "Verona-Trento" dove si diplomò Perito elettrotecnico. Attrezzò un laboratorio, dove, dopo un assiduo lavoro, ebbe la conferma della possibilità di dare vita alla sua intuizione, e cioè, che era possibile realizzare una pellicola cinematografica con l'impressione fotografica di una colonna sonora.
L'idea era balenata nella mente del giovane, una sera mentre stava lavorando. Per errore una parte della pellicola del film che stava proiettando era stata montata sottosopra. Dopo un po' di trambusto in sala riuscì a rimettere tutto in ordine e fu proprio in quel momento che gli venne in mente che quei rumori potevano essere impressi sulla pellicola.

Dopo il diploma si trasferì a Milano ed iniziò a lavorare per industrie impegnate nel settore bellico. Furono quelli gli anni in cui iniziò a fare i primi tentativi presso industrie italiane per realizzare la sua invenzione, ma non riuscì ad ottenere nulla. Decise allora di rivolgersi ai francesi, che gli richiesero un brevetto, che lui non possedeva.

Negli stessi anni in Germania e negli Stati Uniti iniziarono i primi studi sulla pellicola sonora. A metà del 1919 Rappazzo si trasferì a Genova, spostandosi per motivi lavorativi ma sempre con il suo obiettivo ben presente: perfezionare il suo sistema e prendere il brevetto.
Nel 1920 sposò una messinese e preparò i brevetti che vennero presentati alla Prefettura di Genova a partire dal 17 febbraio 1921. Rappazzo continuò a proporre la sua invenzione, chiamata Elettrocinefono, sia in Italia che all'estero suscitando anche l'interesse della stampa.

Dopo aver ottenuto i brevetti iniziò a contattare diversi costruttori italiani e stranieri ma il progetto non sembrava interessare nessuno, forse perché l'industria del cinema muto non voleva cambiare. Nel 1924 ottenne l'incarico di insegnante presso l'Istituto Tecnico industriale di Cagliari. Non riuscì a vendere la sua invenzione e una volta scaduti i brevetti, il 30 marzo 1924, non poté più rinnovarli. Ne perse la priorità dando alla Fox la possibilità di realizzare la sua invenzione, dopo che in buona fede aveva fornito alla casa cinematografica americana i suoi brevetti. Dopo la guerra, tornato con la famiglia a Messina, insegnò all'Istituto Industriale "Verona - Trento" fino al 1964.

Fino alla sua morte, non smise mai di rivendicare riconoscimenti per la sua invenzione, producendo un film documentario e scrivendo anche dei libri. La stampa nazionale gli ha dedicato moltissimi articoli ed anche in televisione sono apparse alcune sue interviste. É considerato quale pioniere della cinematografia ed in effetti fu il primo in Italia a brevettare un sistema con pellicola con colonna sonora e rivelazione fotoelettrica, divulgato anche all'estero fin dal 1918. Ha ottenuto riconoscimenti internazionali, è stato insignito con la nomina di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana.
Altri suoi importanti brevetti furono quelli relativi alla focalità ottica variabile, alla cellula bidirezionale per lo sfruttamento delle correnti marine e ad alcuni progetti di attraversamento stabile dello Stretto di Messina.

Giovanni Rappazzo è morto il 3 aprile 1995 e le sue spoglie riposano, accanto a quelle della moglie, nel cimitero monumentale di Messina.

di Alba Terranova

Antonio Maria Jaci nacque a Napoli il 15 ottobre 1739. Di padre napoletano,Nicolò, e madre messinese, Agata Ferrara, fu Messina la città in cui trascorse la maggior parte dei suoi giorni. Dopo la morte dei genitori, avvenuta quando era ancora molto giovane, si trasferì dallo zio materno Annibale. A Messina studiò filosofia e matematica presso il Collegio dei Padri Gesuiti, laureandosi in fisica, matematiche e medicina. Nel 1765 venne ordinato sacerdote, nonostante la vocazione l'avesse colpito diversi anni prima, al soli 18 anni.

Nel 1780 si recò a Napoli, presso il Collegio Nautico, per ottenere un posto di docente, ma Jaci, essendo povero e non godendo di fama alcuna, non riuscì ad ottenerlo. Tornò così a Messina dove gli venne assegnata la cattedra di Filosofia e Matematica presso il seminario Arcivescovile.

Su incarico della Reale Accademia Peloritana, costruì nel Duomo cittadino una perfetta meridiana (andata distrutta durante il terremoto del 1908) ed inventò l'ampolletta mercuriale, di fondamentale importanza per la nautica, dal momento che garantiva il calcolo esatto della longitudine durante la navigazione in mare aperto. Si dedicò alle scienze matematiche, che lo resero famoso in tutto il mondo.

Non disponendo dei mezzi economici necessari per pubblicare le sue opere ne pubblicò solo alcune, mentre la maggior parte dei manoscritti andarono dispersi in seguito all'incendio divampato nella sua modesta abitazione del villaggio S. Leone.

Tra le opere fondamentali è d'obbligo citare: Lettere in latino; Sul metodo facile per ritrovare la longitudine idrografica con l'aiuto dell'ampolletta mercuriale e del termometro ad uso dei piloti; L'orizzonte della longitudine, ossia la nuova macchina con la quale due osservatori, visionando gli astri, possono calcolare la longitudine, la latitudine e l'azimut della nave; Dissertazione sulla facile soluzione delle equazioni cubiche e del caso irriducibile con un solo metodo; La longitudine in mare, ovvero nuove aggiunte all'orizzonte.

Divenuto cieco e abbandonato da tutti, condusse gli ultimi anni di vita in miseria, vivendo, grazie ad un sussidio di 50 lire mensili, concessogli dal Senato messinese nel 1812, in una baracca che si costruì dopo il terremoto del 1783. Morì di apoplessia nella notte del 5 febbraio 1815.

di Enzo Mancuso

Nella nostra Messina degli ultimi tempi trascorsi , fra gli uomini migliori ed eletti che onorarono la città, assurge ai più alti ricordi il Comm. Rag. DOMENICO MANCUSO. Nacque nel gennaio 1895, figlio secondogenito del dott. Antonino Mancuso, chimico-farmacista e letterato, proprietario della Farmacia omonima sita nella Messina ante 1908 in Corso Garibaldi, e dell'insegnante elementare Concettina Donia. Dagli anni trenta ricoprì la carica di direttore amministrativo degli Ospedali Civili Riuniti " Principe di Piemonte " e " Regina Margherita ": infatti dopo il conseguimento del diploma di ragioniere nell'anno scolastico 1912/13 presso l'Istituto Tecnico " A.M.Jaci " ( dove ebbe compagno di banco e amico carissimo quell'IGNAZIO BONACCORSO che mandato al fronte nell'agosto 1915, cadde valorosamente sul campo il 19 agosto 1917, in un'alba di gloria per le nostre armi, vicini alla conquista dell'altipiano di Bainsizza ) iniziò nell'ambito dell'Amministrazione Municipale Messinese una fulgida carriera che lo condusse al vertice dell'Amministrazione degli Ospedali Riuniti, allora sede pure delle Cliniche Universitarie.
Il rag. Mancuso ebbe uno spirito vivace, un'intelligenza pura e sempre evidente in ogni manifestazione nel campo della cultura. Ricoprì cariche direttive in numerosi Enti e Associazioni quali l'Unione Italiana Ciechi, l'Opera di Assistenza " Casa Pia ", e l'Istituto Marino di Mortelle,dove trovavano cura, alloggio e conforto molti fanciulli privi di ogni mezzo grazie alla generositàdei fondatori, i coniugi Conte Giuseppe Bosurgi e la N.D. Adriana Canèva di Rivarolo, ai quali ilRag. Mancuso era legato da grande amicizia. Combattente della guerra ‘15/18, raggiunse il grado di Maggiore nell'Arma della Fanteria e nel dicembre 1942 gli venne conferita l'onorificenza di Commendatore della Corona d'Italia.
Il grande cuore del Rag. Mancuso si arrestò improvvisamente il 24 ottobre 1959 e la sua fulminea scomparsa ebbe vasta eco in tutta la cittadinanza e per i meriti acquisiti nei lunghi anni di lavoro, vivo fu lo sconforto di quanti avevano avuto modo di apprezzare il suo operato.
La figura del Comm. Mancuso, nobilissimo esempio per l'attuale e per le future generazioni, continuerà a vivere in tutti coloro che di Messina hanno culto appassionato e devoto, per la sua storia gloriosa, per le sue tradizioni di ricchezza morale e di fastosi, memorabili storici avvenimenti.

di Vincenzo Mancuso

Con la morte di VITTORIO SIRACUSA,avvenuta in Messina il 1 agosto 1983, scompariva uno dei cultori più eminenti della Medicina legale italiana, partecipe e protagonista dei mutamenti che lungo l'arco i un cinquantennio vivificarono la disciplina. Nacque a Messina il 10 novembre 1896, dopo la laurea conseguita nel 1921, seguendo una naturale inclinazione si volse subito allo studio delle discipline medico- forensi frequentando l'Istituto di Medicina Legale dell'Ateneo peloritano, diretto in quel tempo dal Prof. Leone Lattes, dal quale apprese i principi dell'ematologia forense e proprio la profonda conoscenza di questo settore della medicina legale gli consentì di mettere a punto nel 1923 la tecnica dell'assorbimento-eluizione per la tipizzazione gruppo- specifica delle tracce di sangue, tecnica oggi diffusa in tutto il mondo per la sua affidabilità. Alla sua formazione medico-legale contribuì, particolarmente la vicinanza con il Prof. Antonio Cazzaniga, che diresse l'Istituto di Medicina Legale della nostra Università negli anni 1922 - 1923 - 1924, e per il quale nutrendo sempre devozione filiale, mantenne sempre vincoli di scuola e di sincera amicizia. Nel 1933 subentrò al Prof. Giuseppe Falco nella Cattedra universitaria dapprima come incaricato e dall'anno 1937, come titolare. E proprio in quell'anno al VII Congresso della Società Italiana di Medicina Legale fu relatore ufficiale con un elaborato molto impegnativo condotto con notevole competenza ed estrema accuratezza sul " Giudizio prognostico medico - legale ", pubblicato dall'Editore Bocca di Milano, i cui contenuti tuttora sono validi. Di questa pregevole opera mi sembra opportuno riportare alcuni brani dai quali emerge in tutta la sua lucidità il pensiero del Siracusa sul metodo medico-legale e sulle finalità dell'indagine medico-legale, concetti non limitabili al ristretto campo della prognosi ma applicabili a qualsiasi tematica medico-legale. " Invero - scriveva - quanto si pensa che la Medicina legale non si occupa tanto della natura dei fatti che ne formano oggetto di studio, quanto del metodo col quale tali fatti debbono indagarsi , e specialmente del fine, che è di valutarli giuridicamente, allora si intuisce quanta differenza può assumere il giudizio prognostico clinico quando deve essere formulato sotto un profilo giuridico, il che è quanto dire, quanto è importante il giudizio prognostico medico-legale. Per la stessa natura poi dei fatti investigati, i quali, come fatti biologici, hanno per caratteristica la varietà, i giudizi prognostici medico-legali possono essere giudizi di certezza, ma per lo più deve bastare che siano giudizi di probabilità o di relativa certezza; e che richiedono, come ogni parere medico-legale che può importare conseguenze giuridico-sociali anche assai gravi, competenza medico-chirurgica ( semeiologica e dottrinale ), orientamento mentale giuridico, obiettività, prudenza e buon senso ". Chi trascorreva con lui lunghe ore in laboratorio constatava con quanta accuratezza e meticolosità svolgesse le sue indagini, vivendo con lui l'atmosfera di paura dell'errore che egli stesso creava, tanto che persino i più accurati controlli sembravano non essere sufficienti per fugare del tutto dubbi e timori: il pensiero che un errore di laboratorio potesse influire sulla libertà di una persona lo angosciava profondamente. Ciò documenta il senso di responsabilità che improntava ogni tipo di indagine da lui eseguita rispecchiando così concetti ribaditi nell'opera " Giudizio prognostico medico-legale ". Molti altri sono i campi nei quali portò indagini sagaci, in tutti lasciando impronte notevoli della sua attività, compendiatasi in oltre 150 pubblicazioni personali e in quasi altrettante di allievi e collaboratori nell'arco di una lunga applicazione che non conobbe soste neppure nell'età più tarda, dove la salda tempra e la rara sobrietà di vita lo avevano condotto in sorprendente vigoria e lucidità: la tossicologia, la tanatologia, la sessuologia,la neuro-psichiatria. Alla sua Scuola si formarono numerosi allievi:Umberto Albarosa, primario medico-legale a Catania, Giuseppe Faraone docente a Cagliari dal 1958 al 1967 e a Messina dal 1968 al 1982; Luigi Auteri, prematuramente scomparso nel 1964, Francesco Aragona, studioso di antropologia criminale, Antonio Modica, Giuseppe Ortese, Claudio Crinò attuale Cattedratico di Medicina legale, Leonardo Privitera, Vincenzo Bonavita e Gaetana Russo. Fu socio emerito dell'Accademia Peloritana dei Pericolanti, dal 1950 al 1953 fu presidente dell'Ordine dei Medici Chirurghi di Messina. Vittorio Siracusa fu, dunque, medico legale per eccellenza. Questo giusto titolo gli deriva non soltanto dal lavoro paziente e tenace che portò notevole contributo al patrimonio dottrinale e pratico della disciplina, ma soprattutto dall'alto concetto in cui tenne la Medicina legale nella sua funzione più elevata di Medicina giuridica. Non credo che più alto riconoscimento possa toccare a medico legale. Vittorio Siracusa fu nell'eletta schiera di coloro che dalla cattedra e con la loro opera impressero una svolta decisiva alla Medicina legale italiana nella sua storia recente.

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