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Longi

Nov 23, 2024

Altitudine: m. 616  s.l.m.

Etimologia: dal latino “castru longum” per via della forma del suo territorio.

Abitanti:  longesi  (1.614 unità nel 2008)

Densità:   38  per Km/q

Patrono: S. Leone Vescovo  720-785   (festa il 22 e 23 agosto)

Ambiente e risorse: il territorio di Longi è caratterizzato da forti contrasti; dove tra i possenti ed accidentati rilievi delle Rocche del Crasto, rifugio di avvoltoi Grifoni ed Aquile Reali,  è molto ricca la presenza di acque e una fitta vegetazione boschiva (bosco di Mangalaviti) che rappresenta il cuore del Parco dei Nebrodi. Di notevole fascino è la cd. “Stretta” di Longi costituita da due pareti rocciose che sovrastano il Fiume Fitalia e che scendono a strapiombo a formare una spettacolare gola che rappresenta una meta per gli appassionati di alpinismo. Da ammirare sono anche i due affascinanti laghi di montagna: il Maulazzo ed il Biviere ricchi di specie vegetali ed animali di particolare valore naturalistico. L’economia di Longi è basata sull’agricoltura ove si evidenzia la qualificata ed intensa produzione di nocciole. Frutta, agrumi, ed uva sono le colture più diffuse. L’allevamento del bestiame bovino, ovino e suino (tra cui il noto ed apprezzatissimo suino nero dei Nebrodi) offre una ottima produzione di carni e di manufatti caseari.

Curiosità: Ogni anno, a gennaio, viene organizzata la “Sagra del Suino Nero dei Nebrodi”, manifestazione a livello nazionale in collaborazione con l’Università di Messina e di organizzazioni ed associazioni del settore alimentare che tra le iniziative specifiche prevede anche momenti di confronto fra tecnici, studiosi e politici finalizzati alla discussione di problemi inerenti la salvaguardia degli animali autoctoni come serbatoio di biodiversità.

 


 

Storia

 

L’insediamento originario è da ricollegare al popolo dei Sicani, cui fecero seguito i Greci che lo chiamarono “Crastos” per la sua posizione situata su di una roccaforte naturale che si affaccia sulle Valle del Fiume Fitalia. Questo insediamento nel sec. IX venne conquistato e distrutto dagli Arabi che lo fecero risorgere più a valle intorno ad un loro castello dando origine all’attuale città. Sotto la dominazione dei Normanni si ebbe uno sviluppo del perimetro urbano e anche il castello fu ampliato.

I primi Signori di Longi furono la Famiglia Lancia, di origine piemontese trasferitasi in Sicilia al tempo di Federico II di Svevia (Bianca Lancia era sua moglie). Nel XVII secolo la città visse un periodo di prosperità arricchendosi di chiese e di un monte frumentario. Dal 1692 si instaurò il dominio dei baroni Napoli-Papardo. Nel Settecento lo sviluppo architettonico del borgo vide anche la costruzione di una cinta muraria e lo stesso castello fu trasformato in palazzo fortificato. Altre famiglie che nel corso dei secoli dominarono Longi furono i Calcagno, i D’Ossada ed i Loffredo di Cassibile.

 


 

Beni Culturali

 

La Chiesa Madre dedicata a San Michele Arcangelo, sovrasta la piccola piazza antistante da cui si accede al portale attraverso due monumentali scale simmetriche in pietra marmorea locale. Essa risale al sec. XVIII e presenta una pianta latina a tre navate terminanti con absidi contenenti altari minori. Il presbiterio è delimitato da un grande arco trionfale decorato con stucchi. Bellissimo il coro ligneo finemente intagliato, realizzato dall’artista messinese Cristoforo Venaria nel 1654, e il soffitto a cassettoni dipinto dell’abside centrale. L’organo è del 1631 e presenta una paratia suddivisa in pannelli dipinti e decorati. Arredano le pareti due belle tele di G.Tomasi da Tortorici raffiguranti le “Anime del Purgatorio” e la “SS.Trinità” nonché una tela di P.Novelli raffigurante il “Martirio di San Sebastiano” e una commovente “Deposizione”. Da ammirare ancora una bellissima statua marmorea di scuola gaginiana (sec.XVI) della Madonna col Bambino ( chiamata del Perpetuo Soccorso), una lignea di San Michele Arcangelo ed un SS. Crocifisso, a grandezza naturale, attribuito allo scultore palermitano Vincenzo Genovese. Infine la statua di San Leone Vescovo che risale al sec.XVIII , chiusa in una teca, che raffigura il Santo benedicente seduto su di un trono con vestito di preziosi paramenti vescovili.

La chiesa dell’Annunziata risale al 1857 e presenta un impianto di tipo paleocristiano con un bel portale in marmo con timpano sormontato da una finestra in stile. La sola navata termina con un’abside sul cui altare si trova la fine statua in marmo della Madonna Annunziata di Antonello Gagini e completata dai figli Antonio e Giacomo nel 1534.

La Chiesa del SS.Salvatore era ancora in costruzione quando venne interessata da una frana nel 1851. I lavori non furono mai più completati. Era impostata su tre navate ed otto altari laterali. Il campanile era con tetto a cuspide piramidale.  Oggi viene utilizzata come spazio per eventi e manifestazioni varie.


Il castello risalente tra l’VIII ed il IX secolo è stato in seguito ingrandito e trasformato nel ‘700 in palazzo fortificato. I resti di una finestra ad arco a sesto acuti mette in evidenza le sue origini normanne. La parte artisticamente più importante è quella settecentesca all’interno della quale vi sono due grandi stanze con pregevoli affreschi ed una porta intercomunicante intagliata e decorata. Annessa ad esso è la coeva Chiesetta di S. Caterina.
Da segnalare infine il suggestivo Monumento ai Caduti in guerra realizzato nel 1920 . Consta di un basamento in marmo bianco su cui è collocata una statua di donna simboleggiante la “Vittoria”. Ai lato del monumento sono posti die pezzi di artiglieria da 47 mm quali residuati bellici.

 


 

Tradizioni

 

Le tradizioni più importanti di Longi sono legate alle ricorrenze della Settimana Santa. Si inizia la Domenica delle Palme quando ha luogo la processione di Gesù con gli Apostoli impersonati dai confrati del SS. Sacramento. Tra essi si distingue Giuda che viene ripetutamente colpito dai fedeli con rami d’ulivo per indurlo al pentimento. A fine processione, giunti sulla soglia della Chiesa Madre, gli apostoli si inginocchiano e baciano un fazzoletto sul quale sono sparse alcune foglie di ulivo. Anche Gesù lo bacia ma a quel punto Giuda gli getta in faccia le foglie a simboleggiare l’avvenuto tradimento. Il Giovedì Santo dopo il rito della “lavanda dei piedi” il Cristo con una croce sulle spalle inizia il suo cammino lungo le vie del paese seguito da tre incappucciati “afflizianti” e dai fedeli in processione che intonano canti dialettali e preghiere.

La mattina del Venerdì Santo i confrati del SS.Sacramento danno vita alla “cerca” un rituale che prevede una autofustigazione con catene mentre sono alla ricerca del Cristo Morto. La sera invece si svolge la commovente processione dell’Addolorata che accompagna l’Ecce Homo, la Croce e Gesù riposto nell’urna; il tutto alla luce di fiaccole e lumini che due ali di fedeli portano in mano.
Nel giorno di Pasqua un momento di particolare suggestione è quando avviene nella piazza centrale del paese l’incontro “u scontru” tra la Madonna Addolorata e Gesù Risorto, evento che genera un momento di intensa commozione generale tra i tantissimi devoti che vi assistono.

Ma la festa più importante dell’anno, anche perché contemporanea ad altre manifestazioni estive di spettacoli , sagre, serate danzanti ed altro, ricorre il 22 e il 23 agosto quando vengono portate in solenne processione congiuntamente le tre statue di San Francesco di Paolo, Il SS. Crocifisso ed il Patrono San Leone Vescono.
Quest’ultimo viene portato in processione anche il 20 febbraio e la prima domenica di maggio su un artistico Fercolo, per le vie principali del paese, seguito da numerosissima e devotissima folla.
Mazzi di spighe, intrecciati con perizia ed arte e offerti dai contadini in segno di ringraziamento per il buon raccolto, ornano la "vara", sulla quale stanno seduti i bambini che vengono affidati al Santo mentre gli uomini assolvono il voto portando a spalla nuda la pesante "vara", mentre le donne seguono scalze (un tempo andavano nude, avvolte in lunghi, ruvidi e pesanti mantelli di feltro).

I longesi tributarono onori divini a San Leone poiché il 15 marzo del 1851, dopo averlo invocato, il Santo bloccò una terribile frana che aveva compromesso gran parte dell’abitato. Da allora ne diventò Patrono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Michele Cappotto

 

 

Altitudine: 790 s.l.m.

Etimologia: Il nome Galati deriva dall'arabo “Qual'at'” che vuol dire "rocca" e si riferisce all’acrocoro su cui sorge il castello quale nucleo originario del borgo. L'appositivo "Mamertino" invece si ricollega agli antichi guerrieri di origine campana che nel III sec. a.C. si impadronirono della colonia greca di Messina e che professandosi discendenti del dio Mamerte (o Marte), assunsero la denominazione di “Mamertini”.

Abitanti: galatesi (2.907 unità nel 2009)

Densità: 74 Km/q

Patrono: S. Giacomo Apostolo (festa il 13 agosto);

Ambiente e risorse:
Galati Mamertino presenta come attività economica principali l'agricoltura ed l’artigianato. Le colture prevalenti sono le nocciole, le castagne e le olive. Di qui una eccellente e rinomata produzione di olio. Notevole, per qualità e quantità, è poi la coltivazione della vite, buona da mangiare ma anche per il vino che se ne ricava. In primavera caratteristiche sono le raccolte di fragole, fichi, mele, e fichi d'India. Nei boschi si scoprono i deliziosi funghi porcini dal gusto insuperabile. È presente inoltre l'allevamento di bovini ed ovini grazie alle numerose aree adibite a pascolo, da cui si ricavano ottime carni e prodotti caseari di vario tipo. Galati Mamertino fa parte del Parco dei Nebrodi che vanta una particolare caratterizzazione per la varietà delle culture e della fauna.

Personaggi illustri:
Giovanni Crimi, abate e patriota, nato a Galati Mamertino il 16 Dicembre 1794, consacrò tutta la sua vita alla fede e alla causa dell'indipendenza italiana.
Protagonista come carbonaro durante i primi moti insurrezionali in Sicilia, il Crimi fu ferito nel 1823, ed insieme ad altri compagni, fu condannato a morte, pena che successivamente gli venne trasmutata in ergastolo. Rimase per 24 anni nel carcere duro di Santo Stefano dove subì le più terribili angherie e le umiliazioni. Fu scarcerato nel 1845 e gli fu concesso di tornare nel suo paese, dove trovò con amarissima sorpresa che i suoi beni erano stati depredati e venduti e per due anni dovette "mendicare un pane dalla pietà dei fedeli". Il I° Settembre di due anni dopo, partecipò ai moti di Messina e Reggio. Catturato e ancora condannato a morte, gli fu sospesa la condanna in occasione del Genetliaco del Re Ferdinando. Partecipò pure a una seconda sommossa a Messina. Invecchiato dalle lotte sostenute, provato dal carcere duro e dal crollo del sogno dei suoi ideali, tornò sui monti di Galati per chiudere nel 1854 la sua tormentata esistenza.

Gero Costanzo cantante lirico di fama internazionale esibitosi con grande prestigio nei più grandi teatri del mondo. Dopo gli studi a Palermo e a Milano, debuttò a Trapani. Fu poi ingaggiato dal Teatro Reale dell'Opera, a Roma, nel Rigoletto, nella Boheme e nel Don Pasquale. I successi di Venezia (La Fenice), Palermo e Bari si aggiunsero ben presto all'elenco dei teatri che lo osannarono ed acclamarono. Alla Scala di Milano si esibì nei Pescatori di Perle di Bizet.
Il tenore Costanzo incise numerosi dischi per la Casa Cetra e dappertutto gli furono riconosciute doti di alta classe, tanto da essere considerato uno dei più grandi cultori dell'arte lirica.
Volle trascorrere gli ultimi anni della sua vita nel suo paesello, Galati Mamertino, dove visse da bambino e da dove emigrò in America.
Persona garbata e socievole, non ostentò mai i suoi grandi meriti, anzi la modestia, forse a volte eccessiva, fu tra le più belle qualità che lo distinsero per tutta la vita.

Curiosità: un piatto tipico della cucina galatese è  le “Frittole con fagioli” : esso consiste in fagioli bolliti insieme a pomodoro, carote, patate, sedano ed altre verdure a cui sono aggiunti i piedi, la lingua e la parti grasse del maiale.

 


 Storia

Il borgo sorse in età araba attorno al castello (890) difeso da una cinta muraria nel breve tratto accessibile a sud.

Nel 1124 Adelasia, moglie di Ruggero I Gran Conte di Sicilia, vi fece costruire il priorato dedicato a S. Anna, a cui lei era devota. Nel 1320 fu ceduto da Federico II d’Aragona, a Blasco Lancia. A questi seguì la Famiglia degli Squilli fino al 1664 quando fu acquistato da Don Filippo Amato, il quale nello stesso anno ottenne il titolo di Principe dal re di Spagna.

Divenuta principato Galati ebbe in seguito altre tre baronie i "Capritti", i "Marchiolo" e i " Parrinelli" infine il titolo principesco passò alla famiglia De Spuches. Nel 1912 al termine Galati fu aggiunta la denominazione di Mamertino.

 


 

 Benti Culturali

La Chiesa Madre, di stile rinascimentale, sorge nella piazza principale della cittadina ed è dedicata all'Assunta. L'interno è a tre navate su colonne a croce latina. In essa si conservano importanti opere d'arte tra le quali spiccano due gruppi marmorei bianchi della Bottega dei Gagini: il primo raffigura “l'Annunciazione” (1552), il secondo “la Trinità” (1535). Di notevole pregio sono anche una tela di Gaetano Mercurio (1774) raffigurante l'Immacolata e una tela raffigurante il Martirio di Sant'Agata di Pietro Novelli. Si possono poi ammirare varie tele firmate e datate da Giuseppe Tresca (1753-1818) una statua barocca di San Giacomo Apostolo, una di S.Rocco ed una scultura lignea di scuola fiammingo-renana raffigurante San Sebastiano (1480) collocata nell’Altare del Sacramento anch’esso in legno risalente al XVII secolo.

Castello Arabo-Normanno fu per quattro secoli la vita feudale di Galati. Si tratta di una imponente costruzione posizionata su di uno spuntone roccioso. Di esso oggi esistono solo i ruderi poiché tutto è andato in rovina a causa del tempo e dell’abbandono avvenuto nel corso del XVII secolo. Esso fu edificato dagli Arabi (sec.XI) sotto la dominazione dei quali potrebbe aver preso il nome l'intero abitato. Il castello aveva molte stanze e cisterne ed anche le prigioni. Nella parte di nord est esistono i ruderi dell'abside di una cappella normanna interna ad esso dedicata all'Arcangelo San Michele. Dal castello si poteva controllare tutto il territorio circostante fino alla costa, di concerto con quello di San Salvatore di Fitalia (Bufana) e di Frazzanò (Beddumunti).

La Chiesa di S. Caterina è molto antica, fu restaurata nel 1581. All’interno tra eleganti colonne in stile corinzio, custodisce una statua gaginesca della Santa titolare (1550), una statua lignea dell’“l’Immacolata” (1808) opera di Girolamo Bagnasco, un Crocifisso ligneo del XVII secolo della bottega di Frà Umile di Petralia dall'anatomia precisa e commovente, forse l’opera più bella del Frate madonita, e alcune ammirevoli tele, tra cui la “Madonna col Bambino” del Tresca (1753) ed il “Trapasso di S.Anna” (ignoto del sec.XVIII).

Chiesa del Rosario (già chiesa di S.Martino) è una semplice realizzazione novecentesca. Essa tuttavia contiene varie opere antiche e di pregio, tra cui, la statua marmorea della Madonna delle Grazie (o della Neve), bellissima opera di Antonello Gagini (1534), la statua barocca di San Rocco, il gruppo scultoreo in legno raffigurante Gesù che consegna le chiavi a San Pietro (opera di Gabriele Cabrera di Naso del 1666). Da ammirare altresì un armadio in legno di artigianato locale, posto in sacrestia, realizzato nel 1831, il coro ligneo, il pulpito e la “Porta Santa”. La Chiesa di S. Luca, in stile rinascimentale, è da tempo sconsacrata. Imponente la sua elegante scalinata realizzata in pietra locale.

Nell'ambito del patrimonio architettonico civile troviamo il Palazzo De Spuches (Palazzo del Principe) sontuosa costruzione del 1622 che Don Filippo I Amato fu il primo ad abitare. Essa rimane isolata rispetto agli altri coevi palazzi baronali (Palazzo Marchiolo e Palazzo Parisi) che a seguire delimitano da un lato l’ampia piazza S. Giacomo formando nel loro insieme la cd. “Palazzata baronale”. Il Palazzo è formato da numerose stanze, compreso il grande salone dove il Barone o il Principe oltre alle feste, teneva i suoi consigli di governo insieme coi Nobili e i Dignitari e dove nominava i Magistrati. D

al cortile interno dove si affaccia l’elegante e famosa loggia con “bifora” che si ispira al Montorsoli, si accedeva alle scuderie , ai magazzini e alle abitazioni delle servitù.  Successivamente fu residenza di altri rinomati casati nobiliari quali gli Squiglio, i Lanza, i De Spuches, i Marchiolo e infine i fratelli Stazzone. Questi ultimi vendettero il palazzo alla Regione Siciliana che lo cedette all'Amministrazione Comunale per l'esercizio delle attività culturali e per essere adibito a sede del centro Museografico Polivalente della Valle del Fitalia, con sale riunioni e convegni, Biblioteca Comunale ed archivi vari. In posizione dominante sui quartieri del paese ma meno elevata rispetto al castello (in evidente subordinazione) si trova la sede della storica Universitas Galatensis edificata nel secolo XIII di cui oggi rimane solo la cd. Loggia dei Bandi formata da tre archi romanici rivolti ai tre quartieri che costituivano l’antico centro medievale interno alla cinta muraria. Da questa loggia venivano letti i bandi dei Signori del paese per essere portati a conoscenza dei sudditi.

Oggi sono ancora visibili due due dei tre archi mentre del terzo ne rimangono tracce inglobate all’interno dell’adiacente fabbricato cinquecentesco. Il panorama culturale infine offre altri due siti di grande rilievo: il Museo di oggetti di vita contadina sito presso il “ Palmento” cioè una serie di antiche strutture ed ambienti usati per la lavorazione dell’uva e vinacce; la Sezione Paleontologica del Museo Geologico Gaetano Giorgio Gemellaro di Palermo ove sono visibili interessantissimi reperti preistorici del mondo minerale, vegetale ed animale tra cui spicca un esemplare di Elephas Mnaidriensis vissuto in Sicilia circa 200.000 anni fa.

 

 

 

 

 

Frazzanò

Nov 23, 2024

di Michele Cappotto

 

Altitudine: m. 563  s.l.m.

Etimologia: Secondo un'antica tradizione paesana, il toponimo "Frazzanò" deriverebbe dalla presenza in tale contrada di molti alberi di faggio, la cui ghianda "faggiana" in dialetto era chiamata "frazza".

Abitanti: frazzanesi  (823 unità nel 2009)

Densità:  119 unità per  Km/q

Patrono: San Lorenzo Confessore ( festa il 10 agosto)

Ambiente e risorse: Frazzanò è un centro prevalentemente agricolo e le colture principali sono le olive, le nocciole, gli alberi da frutto e l'uva, prodotti che si possono gustare nell'annuale Fiera che si tiene nel mese di agosto. Molti sono i boschi di querce e castagni. Nella parte più elevata del territorio si susseguono zone di macchia mediterranea, aree di pascolo e affioramenti rocciosi. Non è difficile infine vedere volare grifoni e aquile reali nelle parti più alte e rocciose. Numerose sono le cave di marmo che si trovano su tutta la zona.

 


 

Storia

 

L’origine del centro è da ricollegare all’opera di profughi bizantini, fuggiti dalla città di Crastus, intorno all'anno 860 d.C. a seguito dell’invasione saracena. Il primo nucleo di abitazioni costituì il quartiere "Canale". Tuttavia ben presto anche Frazzanò cadde sotto la dominazione saracena. Intorno al 1061, il normanno Ruggero d'Altavilla, Re di Sicilia, cacciò i Saraceni anche dalle terre di Frazzanò.

Successivamente nel 1090, in segno di devozione insieme alla consorte regina Adelasia, portò a compimento la ricostruzione e l’ampliamento del Monastero di San Filippo di Fragalà, poco distante dal centro abitato, già edificato nel 495 d.C. da Calogero di Calcedonia. In questo Monastero, testimone della cultura greca dei Nebrodi, fu anche residenza degli stessi sovrani. Durante la dominazione normanna ed aragonese, il borgo di Frazzanò si sviluppò ulteriormente nei dintorni del castello Belmonte dominante la collinetta chiamata “Timpa” e che fu uno dei casali di San Marco con un particolare valore strategico. Nel XIV secolo fu possedimento dei Vinciguerra d’Aragona per poi passare nel secolo successivo alla famiglia Filangieri la cui baronia si è protratta fino al 1839 quando divenne comune autonomo.

Di questo antico castello, fino al 1870 si ammiravano i resti della mura di cinta e di una torre quadrilatera.

 


 

Beni Culturali

 

L'Abbazia di S. Filippo di Fragalà. Si tratta della più prestigiosa testimonianza della storia di Frazzanò e di uno dei più antichi monasteri basiliani della Sicilia. L'edificio che sorge a circa 2 Km. dal paese, fu centro importante di cultura bizantina, di ricerche e di diffusione della fede. Oggi il monastero non ospita più i frati. Anticamente custodiva una pregiatissima biblioteca che dopo il 1866, trasferita nel centro abitato, per incuria dei responsabili di allora fu distrutta e dispersa. Tuttavia le pergamene greche e latine di epoca anteriore al 1743, costituenti il " Tabulario del Monastero", furono fortunatamente sottratte all’incuria e all’abbandono ed oggi sono custodite nell'Archivio di Stato di Palermo.

Tra queste opere vi è il diploma in greco ed arabo (si tratta del più antico documento cartaceo in Europa) con il quale la Regina Adelasia, il 25 marzo 1109, concesse favori e protezione al Monastero allora guidato dall’Abate Gregorio. Il monastero che ha anche avuto il particolare privilegio di avere ospitato, per parte della sua vita, S. Lorenzo detto il Confessore ebbe il suo massimo splendore sotto i normanni, gli svevi e gli angioini. Sotto la dominazione aragonese iniziò invece il suo declino. Oggi del prestigioso complesso, in gran parte restaurato, si possono ammirare la torre campanaria che presenta un cupolino rifatto nell’Ottocento, le tre absidi in stile arabo – normanno dell'annessa  Chiesa, (che è stata dichiarata nel 1888 monumento nazionale e nel cui interno si trovano i resti di bellissimi affreschi bizantini),  l’ampio cortile interno ed i poderosi corpi di fabbrica degli alloggi, sale, magazzini e dei locali di servizio. Al Monastero si accede attraverso un portaletto manieristico che porta ad un cortile quadrangolare. Al piano terra sono presenti magazzini, stalle, cucine e locali destinati al transito dei pellegrini.

Sul lato orientale si trova la Chiesa sul cui portale è impressa la data 1614.  La navata è unica e presenta un pavimento realizzato con maioliche nasitane del XVI secolo sul quale sono pure presenti lapidi sepolcrali. La pianta della Chiesa è a croce commissa con una grossa abside centrale e due piccole absidi laterali che recano bellissimi affeschi risalenti al XII – XII secolo. In quello centrale spicca il volto della Vergine circondata dai Santi. Il suo volto potrebbe essere in realtà il ritratto della Regina Adelasia quale segno di affettuosa riconoscenza verso tale sovrana che tanto legata era a quella terra. Altro ben visibile è il Santo benedicente alla sua sinistra. Sul lato sinistro della chiesa vi è un piccolo portale che apre all’interno di un cortiletto decorato con elementi in cotto sul cui stipite sono impresse antiche scritte di monaci.

È molto interessante la tecnica costruttiva in mattoni e pietre, che crea originali giochi di colore. Poco oltre si trova un altro portale che introduce a quelli che sono i resti dell’antica cappella bizantina preesistente. Da una scala in pietra si sale quindi al primo piano del convento ove si trovano le celle dei monaci tra le quali una si evidenzia per il particolare eleganza tanto da essere chiamata la “Stanza dell’Abate” e che presenta sulla volta del soffitto un delizioso affresco. Sul piano si trovano anche l’antica biblioteca ed altri locali di uso comune tra cui un ampio salone. Oggi alcuni di questi ambienti e il cortile sono utilizzati per mostre, attività teatrali e concertistiche.

 

 


 

Tradizioni

 

La tradizione più sentita è la festa di San Lorenzo che ha luogo dall’ 8 al 10 di agosto. Nei primi due giorni si svolgono le processioni delle reliquie del Patrono e della statua dell’Annunziata. Il 10 invece avviene il solenne trasporto della vara adornata di ex voto tra invocazioni e canti. La Vara del Santo viene pure portata in processione il l’11 gennaio in segno di ringraziamento per aver protetto il paese durante il terremoto del 1693, il 22 ottobre ricorrenza della nascita del santo e il 30 dicembre, giorno in cui si commemora la morte.
Molto partecipate e solenni sono altresì le manifestazioni religiose della Pasqua e del Corpus Domini in occasione del quale vengono allestiti caratteristici “altari” per le vie del paese.

Curiosità: Nell’Ottocento, il 10 Agosto di ogni anno in occasione della festa del Patrono San Lorenzo, e in contemporanea alla fiera di ovini, caprini e suini (che durava e che dura tuttora fino a mezzogiorno), si svolgeva un rinomato mercato della seta, con grande afflusso di mercanti e di acquirenti, provenienti da tutti i paesi vicini che faceva di Frazzanò un fiorente centro di produzione e commercializzazione di questo prezioso prodotto.

 

 

Ficarra

Nov 23, 2024

di Michele Cappotto

 

Altitudine: m. 450 s.l.m.

Etimologia: si presume derivi dall’arabo “Fakhàr (glorioso, illustre) con riferimento alla fortezza saracena; non può escludersi anche l’ipotesi che il seicentesco nome “Ficara” derivi dalla presenza sul suo territorio di molti alberi di fichi.

Abitanti: ficarresi  (1651 unità  nel 2009)

Densità: 89 Km/q

Patrono: Maria SS. Annunziata, la cui festa e processione avviene il 3-4-5 agosto.

Ambiente e risorse: Ficarra sorge su di un territorio collinare dominante le valli delle fiumane di Brolo e Sinagra. Presenta estese  formazioni arboree tipiche della macchia mediterranea: mandorli, noci, nocciole e fichi. Tali prodotti sono sfruttati nella produzione artigianale di noti dolci da forno. Vasta e ricca è la presenza di agrumeti ed oliveti da cui si ricavano varie tipologie di olio tutte di eccellente qualità. Non manca la coltivazione dell’uva con produzione di ottimo vino locale.  Diffuso è pure l’allevamento del bestiame con la produzione di carni ovine e bovine, nonché di insaccati vari e di apprezzatissimi formaggi sia freschi che stagionati.

Personaggi: illustre nato a Ficarra è l’On. Vincenzo Piccolo Cupani (1834-1905) alto magistrato della Suprema Corte di Cassazione, fu nominato primo governatore civile dell’Eritrea dal Presidente Francesco Crispi nel 1890.
Ha pure soggiornato a Ficarra, in casa “Gullà” ove tuttora esiste una lapide a ricordo, lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa (luglio-ottobre del 1943) il quale proprio tra i tanti angoli suggestivi e scene di vita ficarrese trovò fonte di ispirazione nella creazione del suo capolavoro “Il Gattopardo” ed in particolare del personaggio del “campiere”.
Ficarra, infine, è sede del noto gruppo folkloristico “I Nebrodi”, fondato dal Prof. Giuseppe Celona nel 1968 la cui fama è ormai diffusa in Italia e nel mondo grazie alle innumerevoli tournèe organizzate dal 1971 ad oggi. Dopo lunghi anni di ricerche e studi sul territorio, questo gruppo è riuscito con grande successo a rivitalizzare e riproporre all’attenzione del pubblico di oggi musiche, canzoni, danze, costumi e tradizioni  tipiche locali che rischiavano di essere cancellate dall’incalzare dei tempi.

Curiosità: Alcuni fonti letterarie (Storia dei Nebrodi, AA.VV ed. Pungitopo) affermano che Guglielmo Albamonte ( o Albimonte), che fu uno dei tredici cavalieri che parteciparono alla famosa disfida di Barletta il 13 febbraio 1503,  sia nato proprio a Ficarra. Guglielmo Albamonte si distinse per aver ucciso il primo francese e costretto gli altri alla resa dopo averli fatti cadere da cavallo.

 


 

Storia

 

Probabili le origini romane e bizantine. Si è certamente sviluppata in epoca arabo-normanna (torre saracena del 1000 poi trasformata in fortezza carceraria). Nel medioevo, sotto il dominio svevo diventa feudo del barone Guglielmo Amico. Subentrati gli Angioini nel 1265,  la moglie di quest’ultimo, Macalda Scaletta subentrò nella baronia fino all’avvento degli Aragonesi che lo assegnarono a Ruggero di Lauria e successivamente a Corrado Lancia, cancelliere del Regno e Signore di Longi e Castanea.

Alla baronia dei Lancia seguì quella degli Abate fino al 1901 quando il Generale Francesco Musto subentrò, con il titolo di Marchese di Lungarini, come ultimo barone di Ficarra.

 


 

Beni Culturali

 

Il contesto urbano del centro storico è tipicamente medioevale, con stradine strette, case addossate, vicoli, piccole  piazze, ove si affacciano anche palazzi di nobili origini (come il Palazzo Piccolo-Cupani, il Palazzo della baronessa Macalda Scaletta, e quello Baronale) caratterizzati da eleganti portoni, balconi e finestre.
Quattro sono i siti di particolare interesse.

Il primo è la Chiesa Santuario dall’elegante portale settecentesco in pietra tenera artisticamente scolpita da maestranze locali e dall’impianto di tipo basilicale a tre navate con colonne ed archi. Nella splendida cappella in fondo alla navata destra, modellata con stucchi di gesso in pesante stile barocco e decorata in policromia ad imitazione del marmo, è custodita la Statua miracolosa della Vergine Annunziata opera di Antonello Gagini. L’atteggiamento della Vergine è di umile attesa, nell’atto di ricevere, con una mano sul petto e l’altra su un libro, tra meraviglia e turbamento, il messaggio angelico. Questa statua ha emesso sudore e sangue la prima volta il 22 dicembre 1592, poi il 2 marzo 1613 e il 18 gennaio 1614. Ancora due volte nel 1648 e nel 1670.

Il sangue miracoloso fu raccolto in un reliquiario che il 7 aprile 1978 è stato sacrilegamente trafugato da ignoti.
La Cappella è ulteriormente impreziosita da un tabernacolo in marmo che conteneva il reliquiario trafugato. A sinistra della statua troviamo quella dell’Arcangelo Gabriele sicuramente di fattura più recente.
Nella navata sinistra troviamo la Cappella del SS.Sacramento (1789) decorata con oro zecchino ed argento e vari colori. In essa vi è un ciborio in marmo bianco opera di Gaspare Marraffa, impreziosito da pregevoli bassorilievi.

A destra della Cappella è sistemato il polittico del 500 del “Salvator Mundi”, stupenda opera attribuita ad Antonello da Messina e composta da 6 tavole e 2 lunette, con al centro Gesù Redentore.
Completano l’arredo del Santuario una pregiata statua marmorea dell’Immmacolata, (1567) contorniata da formelle anch’esse in marmo (proveniente dalla chiesa del Convento dei Cento Archi), una statua della Madonna di Loreto (o della Neve) del 1545, di scuola gaginiana, varie tele settecentesche delle quali, quella dell’Assunta, di Giuseppe Tresca (1751), un crocifisso ligneo del ‘400 e un antico organo.

Il secondo sito sono i ruderi del cinquecentesco Convento dei Cento Archi dei Frati Minori Osservanti e l’annessa chiesa di S.Maria del Gesù. Oggi si ammirano i resti dei muri perimetrali, del chiostro, delle cappelle laterali, un arco a pieno centro con capitelli corinzi e l’architrave della porta della chiesa che reca l’anno 1422.  Nel sec.XVI il convento era sede della seconda biblioteca della Sicilia (circa 1400 libri) dopo Palermo.
Il terzo sito è l’ottocentesco Palazzo Baronale che domina la piazza centrale del borgo. Presenta il portone ornato, il giardino con il terrazzo panoramico e le sue sale meravigliosamente affrescate (oggi sede di convegni e mostre).
Il quarto è la Fortezza Carceraria (già torre saracena risalente al 1100) che presenta al piano terra un piccolo cortile con il pozzo al centro, ai lati alcune sale (oggi adibite a contesti espositivi) e il settore delle celle, al tempo particolarmente perchè totalmente prive di luce e tanto anguste da non consentire ai prigionieri una mantenere la posizione eretta.
Al livello superiore, presenta un’ampio e panoramico terrazzo da cui è possibile ammirare il mare con le Isole Eolie e le adiacenti verdi vallate).

Il patrimonio storico da ammirare comprende anche:
la Chiesa della Badia (Sacro Cuore), cinquecentesca, già chiesa dell’attiguo ex Convento di clausura delle Benedettine. In essa è custodita la bellissima statua in marmo della “Madonna delle Grazie” opera di scuola gaginiana del 1586.
Di grande pregio sono pure il coro in legno intarsiato e dorato in oro zecchino, la cantoria e un piccolo antico organo;
la Chiesa delle Logge, così denominata perché durante la festa dell’Annunziata nei secoli passati, accanto ad essa erano sistemate delle logge a modo di botteghe per la mescita di vino, bibite e per il mercatino della festa. Questa chiesetta ricorda la venuta della statua della Madonna (1507) quando fu portata da Brolo;
la seicentesca Fontana della Gebbia in pietra arenaria.

 

 


 

Tradizioni

 

La Festa della Madonna Annunziata che dura tre giorni (3-4-5 agosto) trova nella solenne processione per le vie del centro storico la sua più alta espressione devozionale, caratterizzata in particolare dal sacrificio dei numerosi portatori a spalla della “Vara” sulla quale è posta la statua, che a piedi scalzi sono chiamati a sopportare un peso enorme che li costringe a frequenti alternanze. Seguono la Vara con canti, preghiere, suono di campane ed emozionanti incitazioni, tantissimi devoti, di cui gran parte emigrati rientrati per l’occasione, anch’essi scalzi in segno di sacrificio e di fede. Molti, al passaggio del simulacro, depongono sulla vara offerte ed ex voto. La Madonna, vestita di un elegante manto di seta azzurra trapunta di stelle, è adornata di un vero e proprio “tesoro” di oggetti preziosi, accumulato nei secoli attraverso le donazioni dei fedeli.

Festa e processione di S. Sebastiano martire (domenica dopo il 20 gennaio) caratterizzata dalla tradizionale offerta di panini benedetti in segno di ospitalità e carità verso i pellegrini che arrivavano da fuori paese;
la Festa e processione di S. Biagio vescovo (3 febbraio) la cui statua viene trasportata alla Chiesa Madre per celebrare il Vespro il sabato sera e domenica la festa.

La Processione del Venerdì Santo che conserva ancora una intima partecipazione al mistero della sofferenza e morte del Cristo. La processione con le varette rappresenta il culmine di tutta la meditazione.

La “Coltivazione del baco da seta”, infine rappresenta una secolare tradizione artigiana, unica rimasta in Sicilia a scopo didattico, che ha luogo da aprile a settembre e che consente di seguire le varie fasi della crescita del Baco fino alla produzione e lavorazione della seta con la visione degli strumenti dell’epoca.

 

 

di Michele Cappotto

 

Altitudine:  m.400  s.l.m.

Etimologia: dal greco “Alchar” che significa fortezza o forse anche dall’arabo “Al Qarah”  trasformatosi poi in “Akaret” (fortezza) e, successivamente, in Alcara. Nel 1812 divenne “Alcara Li Fusi" in quanto centro di produzione dei fusi adoperati per la filatura.

Abitanti: alcaresi (2206  unità nel gen. 2009)

Densità: abitanti /35  Km/q

Patrono: San Nicolò Politi eremita ( festa il  3 maggio e 17 agosto)

Ambiente e risorse: Alcara Li Fusi è un centro prevalentemente agricolo. Le colture principali sono i cereali, la frutta, le olive (rinomato è l’olio extravergine di oliva),  gli agrumi e i legumi. La produzione di mandorle, nocciole e fichi viene largamente utilizzata nell’artigianato dolciario. Si registra anche la presenza di allevamenti bovini, caprini, suini ed equini con produzione di eccellenti carni e manufatti caseari come formaggi (provole) e ricotte. Pregiata e rinomata la produzione di miele.
Prestigiosa è infine la tradizionale arte del ricamo e della tessitura artigianale di tappeti locali realizzati con filo di cotone bianco e pezzi di stoffa di diversi colori, ritagliati a striscioline, che prendono il nome di "pizzare".

Personaggi:  San Luca di Demenna (Alcara) nacque nel 920 dai nobili Giovanni e Tedibia.  Fu da subito educato nella fede e nella scienza divina. Appena giunse alla matura età, i genitori lo sollecitarono spesso al matrimonio, ma egli non volle ascoltarli desiderando dedicarsi a Dio. Lasciato il paese natìo, si reco al Monastero dei Padri Basiliani di San Filippo di Agira. Divenuto sacerdote, per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di S. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X. ove fondò il Monastero Basiliano di Carbone (PZ) di cui ne fu eletto Abate.

Si stabilì nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio presso il fiume Agri, dove nel 959 restaurò il monastero di S. Giuliano nei pressi di Armento ove prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nelle battaglie contro gli arabi,  ne fortificò il castello e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di S. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí, assistito da S. Saba di Collesano il 5 febbraio 995. Fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico. Recentemente in contrada Lemina ad Alcara li Fusi  è stata realizzata una edicola votiva in memoria del Santo. La festa del Santo Abate ricorre il 13 ottobre.

 


 

Storia

 

Le origini dell’attuale Alcara sembrano risalire agli arabi che nell'827 conquistarono il territorio e qui convogliarono le popolazioni sconfitte chiamandolo “Al Qarah” e costruendo un castello (Castel Turio). I Normanni dopo la conquista del borgo lo rinominarono “Alcara”. In questo tempo Alcara fu testimone della vita da eremita di S. Nicolò Politi. Sotto gli Svevi la città godette di un buon governo e di un rilevante sviluppo civile e culturale.

Tuttavia nei secoli a seguire essa subì un lento e continuo decadimento che fu arginato solo grazie alla forza delle proprie tradizioni religiose fino ai tempi dei Borboni. Questi ultimi, nel 1812, aggiunsero al nome della città il termine “Li Fusi” dall'industria dei fusi utilizzati per filare la lana, la seta e il lino. Attiva e sanguinosa fu la partecipazione degli alcaresi ai moti contadini per la rivendicazione delle terre avvenuti in epoca risorgimentale.
Con l'Unità d'Italia Alcara Li Fusi ebbe un sostanziale sviluppo soprattutto dopo la prima ondata di emigrazione verso le Americhe da cui derivò un positivo ritorno di risorse economiche sulla vita del centro.

 

 


 

Beni Culturali

 

La Chiesa Madre è una delle più belle e grandi della diocesi di Patti. Di epoca bizantina sorse su di un antico tempio pagano. E' dedicata a Maria SS. Assunta. Distrutta nel 1490 da un terremoto fu riedificata con absidi e campanile nel 1632. A tre navate, con cinque file di colonne monolitiche, contiene la splendida Cappella di S. Nicolò Politi, eremita (1117-1167), patrono della città, ricca di marmi e di stucchi, ove sono custodite le spoglie mortali del Santo in un’urna d’argento. Nel 1632 i due portali laterali della facciata furono eliminati per dare posto all'adiacente campanile e al portale centrale sormontato da un elegante frontone sul quale è posta un'aquila di pietrae sul muro di fondo un'edicola con una piccola statua dell'Assunta. Sono presenti all'interno un bellissimo organo del 1782, antiche tele dei pittori Castelnovo, Damiani e Tancredi nonché monumenti funebri e bellissimi affreschi.

Il Convento delle Suore Benedettine e l'annessa Chiesa di S. Andrea furono eretti nel 1580 per volontà dell'aristocrazia locale per la monacazione in clausura delle figlie minori. Nel corso dei secoli fu pure destinato ad ospedale e a scuola. Oggi, ristrutturato totalmente, è sede del Museo di Arte Sacra. Le ampie sale espositive contengono pregevolissime sculture in legno a soggetto sacro, arredi di chiese, preziosi paramenti liturgici ricamati in oro argento e corallo, stupendi argenti di scuola messinese e palermitana, fercoli, nonché straordinarie tele di G. Tomasi (Deposizione, Adorazione dei Magi), di S. Rivelli (Madonna tra S. Andrea, San Benedetto e San Placido), le statue lignee della Madonna del Carmelo, di San Simone, un Crocifisso del '400,  la tavola di Antonello da Messina della “Madonna col Bambino tra San Sebastiano e San Francesco  ed il pregevole dipinto di S. Anna col Bambino. Tutto a testimonianza di una cultura religiosa profonda e di altissimo livello artistico. Nell’adiacente Chiesa di S.Andrea, vi è una mostra documentaria su San Nicolò Politi.

La Chiesa di San Michele un tempo fu Cappella dell'adiacente Monastero dei Frati Minori Conventuali fondato nel 1535. All'interno sotto un bellissimo soffitto ligneo si possono ammirare le statue dell'Immacolata e di San Michele Arcangelo. All’interno di un sarcofago gentilizio sono pure custoditi i resti di alcuni cittadini uccisi nei moti risorgimentali del 1860
La Chiesa del Rosario presenta un bel portico del sec.XV. All'interno una statua marmorea di Maria SS. della Catena
e la tela della “Visitazione” di G. Tomasi del 1667.

La bellissima Chiesa di S. Pantaleone, di impianto rinascimentale, oltre a pregevoli tele sugli altari laterali (S.Antonio Abate, San Cosma e Damiano e San Pantaleone (tutte di G. Tomasi 1671) e la Sacra Famiglia conserva, dietro l'altare maggiore, una splendida tavola cinquecentesca con cornice barocca raffigurante la Madonna col Bambino del Damiani (1539). E' pure custodita una preziosa collezione di antichi libri tra cui la “Bibbia De Lyra” del 1487.

La Chiesa di Sant’Elia sorge sulle rovine di un antico tempio pagano dedicato alla dea Fortuna con  accanto il Convento dei Cappuccini. Annessa alla chiesa è la cripta ove venivano appesi i corpi dei frati. Il convento fu quasi distrutto da un incendio nel 1956 che risparmiò solo la chiesa e la biblioteca i cui libri sono ora custoditi nella Chiesa di San Pantaleone.

Del castello (Castel Turio), di origine araba, rimane oggi solo la torre quadrangolare arroccata su di un costone roccioso che è stata ricostruita dopo il terremoto del 1978. Adiacente ad essa la Chiesetta della SS.Trinità. Il Castello doveva avere un impianto rettangolare. Fu pure gravemente danneggiato dal terremoto del 1490.

Tra le case del centro storico offre un impianto tipicamente medievale. Tra le viuzze e le antiche costruzioni si può ammirare il portale della casa di Natale Donadei,  illustre poeta locale seicentesco, celebrato nel suo tempo in tutta la Sicilia, autore del poema epico “De bello Christi” e di altre operette latine; il Cortiletto Arabo, uno dei tanti luoghi che caratterizzano l’abitato originario del X secolo; il quartiere del Calvario ove nei pressi dell'antica chiesetta di San Nicola durante la Settimana Santa si svolgono parte delle funzioni pasquali; la monumentale Fontana Abate, antica ed artistica costruzione barocca dai cui sette getti sgorgano acque freschissime. La lapide contiene una elegante dicitura attribuita proprio al Donadei  ( “le gelide acque che la gente Turia attinse all’antro, Alcara splendida le beve da questa placida fonte”).  Ad essa è  adiacente un antico e caratteristico lavatoio pubblico che con la fonte è stato per secoli punto d'incontro degli abitanti.

Poco distante dal centro esiste un caratteristico mulino ad acqua ancora integro che sorge sul torrente “Stidda”.
Centro di profonda devozione è  l'Eremo di San Nicolò Politi a pochi chilometri dal paese. Costruito verso la fine
del sec. XII racchiude al suo interno la piccola grotta che la tradizione vuole che sia stata la dimora del Santo eremita.
Ogni anno, il 18 agosto, per ricordare il ritrovamento del corpo senza vita del Santo, avvenuto nel 1167, viene celebrata una messa con grandissima partecipazione popolare.
Da citare, infine, è la Chiesetta dell'antico Monastero Basiliano del Rogato, poco fuori città, risalente al 1105 ove si conserva un prezioso affresco bizantino detto Kimesi o Dormitio Mariae  (La Vergine Assunta dormiente) del 1260 circa.

 


 

Tradizioni

 

La "Festa del Muzzuni", che si tiene la notte di S. Giovanni, il 24 giugno è una delle feste popolari più antiche d’Italia. Essa reca evidenti i segni di antichi rituali propiziatori connessi alla fertilità, ma anche all'amore, dove elementi di antichi culti si fondono con quelli della religione cristiana. Essa ha luogo dopo il tramonto nei vecchi quartieri dove le donne decorano una brocca con il collo mozzato (muzzuni) rivestita da un foulard di seta ed adorna con gli ori appartenenti alle famiglie del quartiere.

Dalla sommità della brocca fuoriescono steli di orzo e grano fatti germogliare al buio, lavanda spighe di grano già maturato e garofani. Cosi completato il muzzuni viene portato fuori da una giovinetta del quartiere, che simboleggia, anche nel costume indossato, le antiche sacerdotesse pagane, e collocato sopra un piccolo altarino sistemato tra le “pizzare” ossia tappeti colorati tessuti al telaio. Attorno a questi altarini ci si raccoglie con antiche danze  (la “fasola”, una sorta di tarantella, e il “ruggeri”, nel quale chi canta gira come le lancette dell’orologio), canti e duetti di corteggiamento e di amore, a volte non corrisposto, che generano una atmosfera di profonda e suggestiva partecipazione che si protrae fino al mattino seguente. Il giorno dopo nel pomeriggio si festeggia San Giovanni Battista, anch’egli con la testa mozzata, con una processione che vede la partecipazione di antiche confraternite.

E’ tradizione che in tale giorno si stringa tra due persone la cd. “cumparanza” cioè la promessa di una fraterna amicizia intrecciando il dito mignolo di ciascuno recitando contemporaneamente una breve antica filastrocca.

 

 

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