- di Valentina Gangemi -
Folklore e fede spesso percorrono la stessa via; segnano insieme i passi di un cammino che parte da molto lontano
e che immerge le sue radici in un passato che gusta di devozione e tradizione, un passato che sembra travolgere il presente con i suoi profumi sempre nuovi eppure così uguali a quelli antichi, quelli che i nonni raccontano ai nipoti, quelli che gustano di quell’aria così semplice e pura da rendere ogni istante come un dono che Dio consegna ai suoi fedeli. Perché anche le tradizioni popolari, con la loro ventata folkloristica, non sono altro che un dono che Dio consegna a tutti i suoi fedeli per ricordare loro chi sono e quanto grande può essere la loro fede. Così, cullato dal mistico abbraccio di fede e tradizione popolare, ecco che torna alla mente, come un’araba fenice che nasce dalle proprie ceneri, quel ricordo della caciara che fanno i venditori di “calia” o quel profumo di polvere da sparo proveniente dai botti a salve sparati in onore del Santo; e poi le luci, quegli splendidi giochi di luce che abbagliano gli occhi meravigliati dei bambini (e, perché no, anche degli adulti) che, col naso all’insù, guardano le strane forme che i maestri di luminarie riescono a creare; e come dimenticare la banda del paese che suona le stesse marce di sempre, così familiari all’orecchio di chi ogni anno le ascolta con entusiasmo e che spera di riascoltarle sempre, perché senza di esse non è festa! E così, tra profumi, memorie e meraviglie, ecco che torna, puntuale, la festa per eccellenza dopo quelle liturgiche del Signore Gesù, quella che mette in subbuglio tutto il paese: la festa patronale. Proprio sull’onda di queste emozioni, un piccolo paese della provincia di Messina, ogni anno si appresta a vivere la sua festa patronale, la sua esplosione di fede e tradizione: tra rintocchi di campane, celebrazioni, balli e grada di gloria al Santo, Condrò festeggia il suo San Vito. Come uno scrigno tra le colline dei Peloritani, questo piccolo gioiello del messinese, apre il suo lucchetto e spalanca la porta ad una ventata di tradizioni uniche, che hanno un sapore antico di secoli e che tramandano questa antica formula di fede da figlio in figlio, da nipote in nipote, al fine di non perdere mai quell’identità popolare che è il vero tesoro che possiede ogni paese, del Sud in particolare. Allora ecco che si rinnova il miracolo della fede che tiene unito ogni fedele, ed al grido di “viva San Vito” parte la processione del Santo! Nella splendida cornice dei ghirigori quasi barocchi della Chiesa Madre ecco che prende vita il corteo: i portatori, vestiti con una maglia azzurra ed una cinta rossa, colori che richiamano chiaramente quelli della veste del Santo, guidano la statua fino all’ingresso della Chiesa. Qui, proprio davanti al portale timpanato, la folla, alla vista del suo protettore, si scioglie in un applauso che ha quasi il suono di una dolce sinfonia, come se si fondesse con la marcia suonata dalla banda. Si, perché proprio il suono delle mani che battono, la melodia che regala la banda, le grida dei venditori ambulanti ed in particolare gli inni di lode cantati dai fedeli sono il vero cuore, l’anima pulsante che batte il ritmo di ogni cuore che esulta in quella piccola, ma grande piazza. Le campane suonano all’impazzata e il cielo si tinge di mille colori: eppure davanti a tanta magnificenza sono gli occhi dei fedeli a richiamare l’attenzione. Gli occhi bagnati da una lacrima che riga quel volto che ha visto tante volte questa scena, eppure mai abbastanza per non commuoversi ancora; una lacrima che porta in sé la consapevolezza che Condrò per un giorno si fa grande, un grande scrigno di fede, contente un abbraccio mistico tra fede e folklore.
Ed è proprio a questo punto che si raggiunge l’apice del folklore, quello che anima molte feste del Meridione ognuna permeata del suo bagaglio di tradizioni e ricorrenze: Condrò si lascia travolgere dalla melodia della festa e balla, apre le danze ad una coreografia che segue i passi della fede. Come un perfetto corpo di ballo i portatori della vara intrecciano i loro passi affinché San Vito balli la sua tarantella, prima avanti e poi indietro e poi a destra ed a sinistra ed ancora avanti e indietro, così per tutto il paese. Lo sguardo dell’effige del giovane Santo sembra quasi sorridere ai fedeli che divertiti guardano il ballo del loro protettore, del loro San Vito, quel ballo che li ha meravigliati sin da quando erano in fasce e che ancora riesce a commuoverli. Quattro passi in avanti e tre indietro, passi saltellati, danzati, intrecciati e coordinati con una cura minuziosa e con una maestria che da generazioni vede trasmettere quest’arte da padre in figlio per far si che un tesoro così grande non si perda. Ed in questo senso quella chiave che San Vito porta al braccio, dono del Sindaco, sembra diventare non solo il simbolo della custodia del paese, ma anche e soprattutto della preservazione di questa magnifica tradizione, affinché il Santo Patrono la custodisca e la preservi dall’inesorabile sgretolarsi del tempo. Mentre San Vito tende la mano al suo popolo e lo benedice con la Croce che porta sulla destra, i fedeli in segno di riconoscimento gli offrono i frutti del loro lavoro e così ecco che dal braccio della statua pendono grappoli d’uva. Solo l’uva più fresca, la primizia del raccolto, viene offerta a San Vito, in modo tale da ornare la vara insieme alle freschissime rose ed ai fiori più variopinti; proprio dalle rose emerge un braccio argenteo contenente una reliquia: una falange del Santo. Nella mano sinistra invece si poggiano i Vangeli e la Palma del Martirio, Palma che compare stampata come un motivo sulla veste azzurra, circondata da un drappo rosso.
Ai piedi della statua si trovano due cani, anch’essi argentei, che, se da una parte sono un chiaro richiamo al fatto che San Vito viene invocato contro i morsi dei cani rabbiosi, dall’altra sono simbolo di fedeltà, di quella devozione che i fedeli offrono al loro Patrono e che lui ricambia. In questa estasiante miscela di simboli e segni non possono mancare quelle leggende che, quando si uniscono alla voce di un popolo semplice, danno vita a quei racconti coinvolgenti che costituiscono un pizzico di storia popolare. Così ecco che il mito prende per mano la leggenda ed insieme percorrono quella via segnata dai racconti popolari, quei racconti che le nonne tramandano alle nipoti e che di volta in volta si arricchiscono di particolari sempre nuovi. Così a Condrò le anziane signore raccontano di come i cani siano in realtà vessillo di un’antica rivalità tra San Vito appunto e San Nicola (Patrono del confinante comune di Gualtieri Sicaminò): secondo i racconti popolari San Nicola avrebbe voluto stendere la sua padronanza anche su Condrò e così San Vito per proteggersi avrebbe mandato i cani. O ancora si parla dell’origine del ballo di San Vito, facendo risalire quest’antica danza al fatto che il giovane Vito avrebbe messo dei sassi nelle sue scarpe per non lasciarsi soggiogare dal piacere che avrebbero provocato in lui delle danzatrici poste al suo fianco dal suo spietato padre pagano. Questi ovviamente sono soltanto racconti, sono voci di un popolo che, con la sua maestria, è capace di unire la fede alla tradizione, la memoria del passato alla vita del presente, al fine di dare uno spiraglio di luce alle nuove generazioni che spesso sono accecate da una tecnologia che, se non saputa usare, strappa ai suoi figli la gioia ed il profumo di un antico che è ricchezza e identità. A questo serve il ballo di San Vito, questo è il vero miracolo che avviene a Condrò ogni seconda domenica di luglio: una riscoperta del passato col sapore del presente, il tutto sotto il manto protettore della fede.
In questo clima di così alta devozione, come un pastore che guida il proprio gregge, Don Enzo, l’instancabile e laborioso parroco di Condrò, guida i propri fedeli, conducendoli in quel mare che solo la fede può navigare, in quel mare che tocca le spiagge tranquille di quel mite porto fatto di fede, di tradizione e di amore verso il proprio paese. È lui che tiene le redini di un lungo lavoro che precede la festa: a Don Enzo spetta il compito di preparare spiritualmente i fedeli a vivere la festa di San Vito perché tutto non si esaurisca nel folklore ma sia momento di crescita della fede. Lui dunque coordina i lavori affinché tutto sia pronto per il grande giorno e quindi è lui a presiedere la commissione che organizza ed effettua tutti i lavori necessari.
Un plauso spetta anche all’Amministrazione Comunale, in particolare al Sindaco, Salvatore Campagna, che spende ogni energia per far si che i condronesi ogni anno ricevano la festa che tanto amano.
Così, tra le note della marcia che ogni anno suona la banda musicale, San Vito balla ed i condronesi battono le mani al ritmo di quella fede che smuove le montagne! Con i passi dei portatori la vara intreccia la sua danza, San Vito danzante sorride, il popolo di Condrò solleva gli occhi a quel cielo stellato e così, tra le luci dei fuochi d’artificio, batte il ritmo della fede condronese.