Si parla di crisi del ruolo paterno nell’accidentato mondo contemporaneo e si tende a spiegare l’avvilimento dei figli come conseguenza del fallimento dei padri: scomparirebbe, dai nostri orizzonti, il padre tout court (non solo ilpadrepadrone, della civiltà contadina), come garante dei valori eterni dell’uomo e assertore del «principio di realtà». Quanto dire: figli senza padri, società senza valori.
Ma, nell’Italia avvilita di oggi, ci sono ancora – vivaddio – padri che non si nascondono dietro le cortine fumogene del permissivismo e del nichilismo, ma stanno lì, risoluti, per ricordare ai figli (e a tutti i giovani), magari con l’esempio concreto della propria vita, che lottando, anche a costo di duri sacrifici, si può vincere – si vince, di fatto – senza cedere alle sirene dell’illegalità e dell’immoralità dilaganti nella società.
Giovanni Giannattasio è uno di questi padri: partito dagli stenti del mondo contadino dell’Italia postbellica, dalle chiese e dagli oratori dei paesi di campagna, ha studiato (contro il parere e le obiettive difficoltà economiche dei genitori), realizzandosi come uomo e come maresciallo dei carabinieri, senza derogare dai principi di onestà, di amore e di fratellanza, che la famiglia e la religione cattolica gli hanno inculcato.
La sua Storia di un carabiniere si legge, difatti, come un limpido Bildungsroman(romanzo di formazione) costruito intorno ai tre pilastri della religione, della famiglia e dello Stato, di cui l’Arma (dei Carabinieri) appare espressione esemplare.
Spiccano nel racconto alcuni fatti, particolarmente significativi: il rapporto di rigore, ma anche di umana considerazione, del Maresciallo con i delinquenti (e persino con qualche mafioso); gli attestati di stima dei cittadini e delle superiori autorità nei suoi confronti; l’apparizione, in due occasioni, di strani fenomeni celesti, che fanno pensare agli Ufo; la simpatia e l’intelligenza di Sally, «un cucciolotto di pastore tedesco», che collabora con i carabinieri; la lotta contro la droga; la promozione del Maresciallo alla DIA e la sua nostalgia dell’Arma; il suo rientro definitivo nell’Arma; la bellezza e l’armonia – non senza contrasti – della vita familiare e della vita militare.
La scrittura è secca come quella di un diario, senza inutili belletti ornamentali. Il periodare è preferibilmente paratattico, con periodi brevi, immune dalle sciatterie di certo burocratismo, e tuttavia non privo, a tratti, di esplicite bellezze formali: resta impresso nella memoria, per esempio, il brano in cui Giannattasio rievoca la morte della madre, ch’egli rivede morta «nel suo letto con un sorriso bellissimo» (p. 197). Talché il libro, la sua elaborazione, la sua pubblicazione sono forse il primo attestato del successo di un uomo onesto che, nel ripercorrere la storia della sua vita con punte di giusto orgoglio, ma senza eccessi egotistici, esce dall’anonimato, tracciando un succoso profilo della «nuova« Arma («lavoriamo per la gente») e gettando, parimenti, squarci di luce su aspetti peculiari della lotta alla malavita nostrana (la camorra, la mafia, la ‘ndrangheta).
Non è, obiettivamente, poco. Onore al merito.