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DONI IMMATERIALI DI NATALE

 

Sono doni ignoti ai cialtroni, ai borghesi piccoli piccoli, agli affaristi, agli opportunisti, ai carrieristi, ai professori incompetenti; ai ricercatori plagiatori, agli uomini di potere, ai prevaricatori, ai furbi, alle veline, ai tronisti, ai praticoni, agli edonisti compiaciuti, ai relativisti assoluti, ai mafiosi, ai violenti di ogni ordine e grado …

Scusandomi con i generosi lettori, faccio stavolta un uso strettamente personale del blog, per dar fiato immediatamente alla gioia grande, che mi assale in questa tarda mattinata del 5 gennaio 2015: se fossi un poeta lirico scriverei una limpida poesia (traducendo la gioia in musica, metri secchi e parole nuove); se fossi un diarista abituale, o uno psicologo, o un sociologo o un filosofo vedrei di individuare la genesi, le modalità e gli effetti di questa gioia; ma sono solo un professore – magari atipico – di una (già) grande Università di provincia, epperò ricorro al blog, stravolgendone forse la funzione primaria, che dovrebbe essere sociale e, certamente, non solipsistica.

Non voglio nemmeno chiedermi se non sia contaminata da autocompiacimento, e quindi da narcisismo, questa gioia: c’è; l’ho comunicata subito alla mia Rosellina, e ho una grande voglia di trasmetterla agli amici, alle persone care (che non sono poche), ma anche ai nemici (malgré moi) e perfino a chi non conosco e a chi non mi conosce: l’amore, come forma tipicamente umana di conoscenza esperita o esperibile, non è mai limitato.

Si è che ho avuto, nella stessa mattinata, per due volte di seguito, con un brevissimo intervallo di tempo tra l’una e l’altra volta, la netta, esaltante sensazione di essere riamato, ma anche stimato come uomo, prima che come intellettuale.

Come dire che due persone mi hanno dimostrato con l’attestato del loro puro ricordo, con un semplice dono, scevro da interessi venali, che non siamo soli, che il nostro impegno culturale, umano, politico, sociale, religioso che sia, non cade sempre nel vuoto: che si possono conservare nel tempo e rafforzare addirittura i sentimenti di stima, di amicizia, di solidarietà, di affetto che ci è stato concesso di esprimere, di evidenziare, di suscitare con i nostri comportamenti, con qualche tratto luminoso – tra tanto buio – della nostra vita, del nostro carattere: oltre la dura barriera, comunque, dell’incomunicabilità e dell’ermeneutica.

Nel primo caso un amico calabrese, il dottor Carmelo Iacopino, emigrato in gioventù, con un sudato diploma di ragioniere in tasca, nel piovoso Piemonte e divenuto un uomo autorevole e stimato nella sua città d’adozione per i suoi grandi meriti professionali e per i risvolti sociali del suo impegno, mi ha fatto gli auguri di buon anno, come noi meridionali sappiamo fare, azzerando gli steccati del tempo e dello spazio (ci siamo visti dieci anni fa: io relatore a un Convegno Nazionale su Corrado Alvaro; lui e i suoi autorevoli amici calabresi, divenuti classe dirigente in quel freddo comune piemontese, promotori entusiasti del Convegno) e dichiarando di essere ancora legato al ricordo di quel lontano evento e di me che restituivo – dice –«il calore dei sentimenti eterni della sua terra». Atto, questo suo, più gratificante, invero, e commovente di un qualsiasi, anche prestigioso, premio accademico. Certo, per quanto inverosimile possa sembrare oggi in questo mondo di ladri, di cialtroni, di nani e ballerine, due uomini sulle soglie della vecchiaia, alimentano, di Natale in Natale, la reciproca stima e simpatia, scambiandosi auguri amicali e doni familiari: testimoni, invero attendibili, di un tempo, che sembra oramai definitivamente perduto, in cui, partendo dal nulla, si poteva, con la forza del proprio impegno e con l’aiuto di Dio, salire la scala sociale realizzandosi e rendendosi utili agli altri. Senza dimenticare né giammai rinnegare le comuni origini popolari (un padre emigrante, lui; un padre pescatore dello Stretto, io) e attualizzandone semmai i valori.

Nel secondo caso, la lettera dolcissima senza sdolcinature della mia carissima Maria Scarfì Cirone (che si firma «di mamma Angela Rando»), poetessa di sicura e limpida voce, autrice – in Albisola sua seconda patria – di libri indimenticabili, mi comunica che un film suo e del compianto marito Pino Cirone, amatissimo in vita e in morte, sarà proiettato il 20 c. m. al Priamar, «antica fortezza savonese», sulle cui solidissime mura «il nome di Pino» brilla già «a caratteri cubitali» accanto al suo. Alla bella lettera, Maria associa una sua bellissima foto, scattata a La Spezia in occasione della presentazione del suo Libro di vetro, e il dono, davvero straordinario, di una sua lirica autografa Bet Lèmme, che è una delle più nitide rievocazioni della Notte Santa ch’io conosca: c’è la stalla / odorosa di fieno, ove posò / Maria, / avvolta d’ombra / pudica, e vi si percepisce il battito forte delcuore di Giuseppe / quando sentì, / come annunciato / dai Profeti, quel vagito. Poesia. Vera poesia. Che ci unisce, anche per imperscrutabili vie genetiche: da dieci anni, ma da sempre e per sempre.

Ho toccato stamattina (senza retorica) il cielo con un dito.

Ultima modifica il Lunedì, 08 Gennaio 2018 18:47
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