- Giuseppe RANDO -
Dal belvedere di Sambuca, guardandomi attorno e facendo un giro su me stesso, ho goduto la più alta, ampia, circolare - e tuttavia solida, stabile – visione del mondo che mi sia mai capitato di esperire: un vero miracolo, innescato dalla singolarità-unicità del luogo in cui mi trovavo con i colleghi dell’Associazione “Archimede”: una cittadina araba (già Zabuth) sul declivio di un colle incastonato tra le tre province estreme di Agrigento, Trapani e Palermo. Vigne. Vino. Cantine. Antichi reperti greci. Chiese medievali e palazzi barocchi. Ah! Sicilia.
Ho pensato, per immediato trapasso, a Pirandello, all’agrigentino Luigi Pirandello che potrebbe essere asceso (è il caso di dirlo) sul belvedere di Sambuca, non molto distante, invero, da Agrigento, ancorché io non ne abbia alcun riscontro testuale. E ho creduto di trovare, per fulminea intuizione, una conferma dell’idea che mi sono fatta della sua genialità e della sua modernità assoluta. Tra parentesi: Luigi Pirandello mi è sempre apparso come il primo uomo moderno a maturare, con Nietzsche, una visione circolare, policentrica – non condizionata da visioni unilaterali (siano esse di natura etica, estetica, religiosa, politica) – del mondo: un precursore del Relativismo, dell’Ermeneutica, di Heidegger; un intellettuale innamorato, come i due tedeschi, della naturalità dell’Essere, avverso, come loro, alla modernità della tecnica e incline, per paradossale abbaglio, a dare credito, come Heidegger, a un famigerato dittatore della Destra – Hitler, per il tedesco; Mussolini, per il siciliano – quale difensore (del tutto improbabile, invero) della natura contro la tecnica. Da qui: Canta l’epistola, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Così è (se vi pare), Uno, nessuno e centomila, Il fu Mattia Pascal e i drammi, i romanzi, le novelle e le poesie di un uomo, la cui sicilianità non rende indebito l’orgoglio di essere siciliani.
E intanto passeggiavamo per le vie di Sambuca: i quartieri saraceni con le stradine strette tra due file di case contrapposte, che sembrano fatte per baciarsi; vi crescono talora, aggrappate ai vecchi muri screpolati, fresche piante rampicanti; brilla, là in mezzo, la facciata di una casa tunisina rivestita da mattonelle policrome; poi una chiesa matrice medievale, appoggiata a una torre normanna, e un palazzo nobiliare di stampo barocco; più giù, una modernissima cantina dove si producono – e si delibano, per l’occasione – vini rinomati: Sirah, Grillo, Nero d’Avola … . Ah! Sicilia.
Mentre degustavo, mi pareva di avvertire, forse per effetto dell’alcool etilico, tutti i colori, gli odori, i sapori della nostra terra, e mi appariva chiara, come non mai, la oggettiva distanza culturale, ambientale, psicologica, linguistica dell’Isola dal “continente”; commisuravo peraltro la sagacia dei siciliani occidentali, che non lasciano un palmo di terra incoltivato, che producono ottimo vino e lo vendono in tutta Italia e in Europa, che sfruttano egregiamente sul piano turistico i loro beni culturali, senza farsi ingannare dalle sirene dell’industrializzazione più o meno selvaggia; pensavo pure ai nostri atavici difetti (alle mafie, al nostro qualunquismo politico) e, per converso, ai perduranti pregiudizi di certi settentrionali nei nostri confronti. Da qui un salto, forse per effetto dell’aumentato tasso di alcool etilico, all’incomprensione assoluta di Benedetto Croce per Luigi Pirandello: non poteva, invero, essere diversamente, dacché il filosofo neoidealista era vittima del suo astratto “teorema estetico” (poesia come «intuizione pura»; «poesia e non-poesia», filosofia, scienza, religione, psicologia, politica, bollate come «allotrie» alla poesia) e l’agrigentino, che dai teoremi di qualsiasi natura rifuggiva come dalla peste, sembrava fatto apposta, per negare il principale assunto “separatista” (nessun contatto tra poesia e filosofia) di quello. Ma il tempo – mi dicevo - è giudice giusto: oggi Pirandello è, all over the world, uno dei più grandi scrittori del Novecento (i suoi drammi si rappresentano, con successo, anche in Lituania e in Sud Africa) e del critico – non dico del filosofo e dello storiografo – Benedetto Croce, che non capì Pirandello ma nemmeno Dante, Leopardi, Manzoni, Pascoli, nessuno sente più il bisogno.
Ma che pensieri circolari (e velocissimi) si fanno a Sambuca! Dovremmo recarcisi tutti almeno una volta l’anno.