di Cosimo Inferrera *
Molti sichiedono se nel contesto della corruzione dilagante sia pericoloso mettere in cantiere un’opera complessa e costosa come il Ponte di Messina. Chi ci garantisce da speculazioni colossali con effetti disastrosi ? I rilievi sembrano fondati in relazione alla necessità di dover gestire risorse imponenti per realizzare il Ponte e la rete di infrastrutture in Sicilia e Calabria.
Peròbisogna tentare lo stesso, e senza indugi. Questa mentalità è propria di chi, sempre e comunque, sa addossarsi la responsabilità di decisioni gravi, prese nel giro di minuti, come è abitudine del medico patologo che certo non abbandona i pazienti sol perché siano portatori di malattie aggressive o mortali, anzi impiega tutto l’armamentario diagnostico e terapeutico disponibile, il più avanzato e costoso, per bloccarne o limitarne gli effetti dannosi.
Un esempio eclatanteriporterà alla mente dei messinesi la figura di un grande Medico del dopoguerra, il Professor Errico Trimarchi, clinico di eccelso valore umano e professionale. La sua fama era accreditata oltre Stretto, le sue diagnosi regolarmente confermate da altri luminari del tempo. Però aveva il Suo tallone d’Achille nell’ulcera gastrica, che sanguinante in modo fulmineo non gli risparmiò la fine orribile di tanti pazienti, meno conosciuti di lui. Il rimpianto colpì tutti gli strati sociali ed il mondo sanitario scientifico, ma le polemiche montarono roventi contro la classe chirurgica. Costoro si erano trovati al bivio pericoloso di intervenire chirurgicamente o meno, in un paziente gravemente anemico ed ipoteso, cui la stessa scienza non sapeva allora dare risposte certe, anche per i limiti delle tecniche anestesiologiche. Prevalse la scelta attendista, basata su trasfusioni massicce di sangue fresco, ripetute, nella speranza di indurre l’emostasi, rivelatasi purtroppo vana, che trascinò il paziente ad uno choc emorragico terminale. In effetti nessun chirurgo aveva voluto correre il rischio di trovarsi fra le mani il cadavere di un paziente eccellente, proprio quello del venerato Professor Trimarchi.
Ma ciò non evitò lo stesso le più pesanti accuse di indecisionismo e irresponsabilità; insomma così fu perduta l’unica reale speranza di guadagnare la sopravvivenza, senza neanche tentare. Identica fine oggi rischia l’Italia, preda di immobilismo decisionale nei confronti della politica delle grandi infrastrutture, specie di quelle necessarie al Sud, bollate di essere esposte al ricatto malavitoso e quindi accantonate in modo sbrigativo.
Mentre in Italia constatiamo + debito pubblico, + spread, - PIL, - gettito fiscale, + disoccupazione + esodati, la Sicilia si trova in condizioni peggiori, appesa all’unica risorsa, vecchia illusione dei meccanismi di rifinanziamento della spesa. Ma di quale spesa parliamo, se non si trova neanche un euro per raddrizzare i capannoni squassati dal terremoto in Emilia, tanto da dover ricorrere a nuove accise sui carburanti ed altro ? Insomma un Paese prostrato dalle sue malefatte pluridecennali come <mala gestio> ed <evasione fiscale> può mai ripartire così ? Difficile crederlo.
Eppure per Sicilia e Calabria la cura radicale esiste, basta solo volerla. Al contrario del caso ora citato, il chirurgo disponibile a tentare l’impossibile c’è ed ha gli strumenti giusti, godendo della fiducia dei fondi cinesi di investimento fino a 100 mld di Euro. L’archistar torinese Pier Paolo Maggiora punta sull’idea di rimodellare la Sicilia come una megalopoli triangolare aperta all’Africa e all’Asia, che attraverso il Ponte si agganci stabilmente alla sovrana Calabria, snodo territoriale da e per l’Europa. Il tutto andrebbe logicamente studiato e pianificato, reclutando in primo luogo le risorse loco-regionali professionali (architetti, ingegneri, tecnici) e strutturali (aziende, imprese). Che questo non sia frutto di fantasia lo conferma Antonio Laspina, direttore Ice Pechino e coordinatore uffici Ice in Cina: “Nei cinesi resiste la consapevolezza che la posizione geografica della Sicilia può attivare investimenti strategici nel settore della logistica, dei trasporti e delle infrastrutture in genere. Oltre naturalmente a investimenti nel settore del turismo ed in alcuni comparti produttivi legati all’agroindustria. Per gli investimenti in Sicilia, come in Italia, i cinesi richiedono riferimenti normativi limpidi con l’indicazione di facilitazioni certe, non aleatorie. Questo il quadro verificato in loco un mese fa (intervista a “Il Sud”, maggio 2012).
Che fanno dunque i ministri competenti nell’attuale situazione di inaudita gravità economico-finanziaria ? Palleggiano su impatto ambientale ed opzioni prioritarie, sospingendo il Ponte sullo Stretto, un giorno si e l’altro pure, in fondo ai cassetti del dimenticatoio, mentre il precedente governo Berlusconi aveva già avviato i primi cantieri dopo un’attesa trentennale. Piuttosto sarebbe preciso dovere dell’esecutivo “tecnico” in carica individuare la “wall-fire” che metta al riparo dai pericoli di una burocrazia “tortuosa” chiunque intenda investire in intraprese in Italia.
Va da se che in siffatte emergenze determinate da processi economico-finanziari gravemente recessivi, il disagio sociale diffuso e profondo possa esser gravido di sviluppi oscuri, paragonabili ad un attacco militare. Il nostro Presidente della Repubblica, depositario del più ampio consenso nel paese, a capo di un Consiglio Nazionale “Recovery” con la presenza dei ministri competenti, sopraveda in termini di controllo al processo di strutturazione del paese per il recupero di ritardi pluridecennali e la guarigione di antichi mali. Né più né meno di come è costituito ed opera il Consiglio Supremo di Difesa in tutte le situazioni critiche per la integrità della Nazione.
Concludendo sulla metafora sanitaria, è più utile affidare Sicilia e Calabria a cure palliative, saltuarie e vane – finora tali – o piuttosto porre mano ad un piano organico di infrastrutturazione, finalmente in grado di risolvere in modo fattuale, non a chiacchiere, la questione meridionale, pur con i prevedibili rischi ? Risposta ovvia, ma se latitano gli investimenti stranieri e continuano a delocalizzare le imprese italiane, parlare di crescita e di sviluppo sa di vera e propria presa in giro, avendo la rotta obbligata dei conti in ordine e davanti a noi l’iceberg di un mostruoso debito pubblico. Palleggiare con dichiarazioni <dans l’espace d’un matin> non eviterà lo stesso le più pesanti accuse di indecisionismo e irresponsabilità, proprio come quelle lanciate contro i medici pietosi dell’amato Professore. Ed i politici italiani che della incapacità di decidere hanno fatto - e sembra continuino fare - il loro presunto punto di forza avviano ad un disastro annunciato la Patria venerata.
*Professore ordinario a. r. di Anatomia Patologica dell’Università degli Studi di Messina <Gruppo Non Solo Ponte>
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