Nell’avviare una qualsiasi attività che abbia come fine la costituzione di nuove forme di aggregazione non si può dimenticare che la nostra è già e sempre più diventa una civiltà multiculturale. Oggi, prescindendo dal gruppo etnico a cui appartiene, l’uomo è immerso in un tessuto socio-comunicativo dove i media, moltiplicandosi, determinano un policentrismo culturale così complesso che gli stessi studiosi delle comunicazioni spesso non riescono a decifrare. D’altra parte, la diffusione di forme sempre nuove di comunicazione (si pensi soprattutto all’informatica) apre prospettive alle quali facciamo sempre più fatica a tener dietro. Dovremmo mettere in moto azioni di ricerca capaci di mutare gradualmente le strutture socio-culturali piuttosto invecchiate sulle quali facciamo ancora leva e aprirci a nuove tecnologie comunicative da utilizzare in funzione esclusivamente partecipativa e non in quanto strumenti di subordinazione culturale o, peggio, di eterodirezione politica.
Toccherebbe alla scuola insegnare ai giovani come strutturare, analizzare e integrare le informazioni necessarie a comprendere i linguaggi che descrivono e interpretano la realtà del nostro tempo; invece la nostra scuola trascura i linguaggi iconici per fare ancora largo posto al linguaggio verbale.
Se poi il discorso interessa la nascita (è il nostro caso) o il mantenimento in vita di un periodico, non si può dimenticare che le scelte da operare debbono essere indirizzate verso il decentramento delle strutture di informazione, formazione e promozione. Un periodico, a maggior ragione se diffuso on-line, “parla” contemporaneamente a milioni di individui con tradizioni, culture e religioni diverse l’una dall’altra. Un periodico del nostro tempo che voglia condurre ad una maggiore comprensione tra gli uomini non può non chiedersi come aiutare gli uomini a “riconoscersi” prescindendo dal cielo sotto il quale vivono. Comunque una cosa è certa: parola e immagine, lavorando insieme, possono fare molto perché gli uomini si riconoscano come “uguali” e come tali lavorare insieme per il bene comune.
Giuseppe Cavarra