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Migrazioni, vecchie e nuove, a più corto raggio: dal Sud al Nord Italia.

- di Marco Giuffrida -

In fondo “Solo” un migliaio di chilometri o poco più. Che, comunque, specie negli anni passati, trenta, quaranta anni fa, rappresentavano, comunque, una distanza insormontabile.

Dalla Sicilia al Piemonte, alla Lombardia, al Veneto. Queste le direttrici principali.

All’improvviso, ragazzo, mi sono trovato letteralmente proiettato mille e duecento chilometri più a Nord. A Belluno.

Una famiglia fortunata, la mia!

Mio padre Funzionario dello Stato, uno stipendio sicuro a fine mese, viene promosso e trasferito.

Tutto normale! Anzi, di più: un avanzamento di carriera che si prospetta brillante, più soldi ed una vita nuova. Sono gli anni del dopoguerra, della Speranza. In Sicilia c’è poco. Sicuramente molto meno di ciò che può offrire il Nord con i suoi commerci, con le sue industrie. Un’ottima opportunità per tutti.

Prima parte il papà, il tempo di trovare casa ed organizzare, appena possibile, prima possibile, il trasferimento di noi tutti.

Sono mesi di attesa e di tensione ma, allo stesso tempo, disordinati, svogliati. Nessuna attenzione a scuola e pessimi i risultati. Ma, tutto questo, alla fine, contava poco. Quello che contava, per me, era capire cosa lasciavo e cosa perdevo con la partenza e cosa avrei trovato e guadagnato con il trasferimento.

Ansia, angoscia, paura, forse.

Presto l’avrei saputo!

Giusto il tempo di percorrere mille e trecento chilometri, lasciar passare qualche giorno e cominciare ad incontrare qualcuno. Magari qualche coetaneo. Ho tutta l’estate davanti.

Ho modo di vedere panorami stupendi, alte montagne, prati verde smeraldo. Quasi comincio ad entusiasmarmi alla nuova città.

Mio padre aveva già tentato di spianare la strada e si era dato da fare per sapere cosa avrebbe potuto offrirmi Belluno e, soprattutto, dove avrei potuto trovare un ambiente sano ed una buona accoglienza. . Potevo vantare la partecipazione ad attività giovanili presso i Salesiani di Messina e, dunque, non avrei dovuto avere difficoltà qui, nella “mia” nuova Città, proprio presso i Salesiani.

Mi accompagna mio padre. E’ giusto così. In fondo ho solo quattordici anni!

Il colloquio con il prete dura poco. Qualche minuto compreso i convenevoli:

“Sa, dottore, meglio lasciare perdere. Anzi, bisogna lasciare perdere perché vi sono troppe differenze di abitudini, di usi, di linguaggio. Si, qui i ragazzi parlano sempre in dialetto”.

Allucinante.

Un’estate solitaria, quella che affronto, in un ambiente nuovo, dai panorami bellissimi ma assolutamente sconosciuto. Freddo!

Mi sostengono le lettere che settimanalmente mi arrivano da Messina, dai miei amici. Io, oltre alla bellezza della Natura e dei luoghi mozzafiato, poco o null’altro ho da narrare.

Quante parole spese prima di partire!

“Beato te che vai al Nord. Là c’è tutto e, poi, vedrai, troverai nuovi amici, ti ambienterai e ti dimenticherai di noi, di Messina e della Sicilia”. Questo il riassunto dei ritornelli, delle raccomandazioni, del modo di consolarmi dei miei Amici.

Il tempo delle vacanze passa presto ed ecco l’impatto con la Scuola.

Ai Salesiani era stato solo il preludio.

Lì, a Scuola, dove avrei dovuto studiare, migliorarmi e crescere, ero, “semplicemente”, il “terrone”. Ero un qualcosa, neppure qualcuno, da evitare, da isolare. Razza inferiore, insomma.

Roba, alla lunga, da sentirsi, davvero, sporco dentro e fuori.

Scendere nei dettagli conta poco che sarebbe un rancoroso rimestare dentro un calderone di liquame.

Il mio è stato un lottare continuo per cinquantadue anni di fila. Ho raggiunto ottimi livelli nell’Industria locale, gomito a gomito con la Proprietà delle Aziende. Ottimi risultati alla mano ma mai apprezzati fino in fondo perché, è sempre sembrato impossibile che, “uno non dei nostri” abbia potuto lavorare così bene. Sempre sotto pressione. Roba da rodersi il fegato. Incredibile! E me lo sono ripetuto ogni giorno finché ho lavorato e me lo ripeto, spesso, ancora adesso.

Più di mezzo secolo è trascorso da quando son partito quel lontano 1957. E, soprattutto, nei momenti più burrascosi, la mia mente, il mio cuore sono tornati là da dove ero partito.

Con la mente, il ricordo, ma, soprattutto, con il cuore, ho ripercorso le “mie” strade, ho ricercato i miei panorami, le mie “viste”. Ho cercato di ritrovare i profumi, le luci, i suoni, i colori, gli Amici.

Tutto questo, sia pure con ottica diversa, mi ha fatto comprendere il disagio, la sofferenza e la nostalgia di chi era emigrato in altre Nazioni e, peggio, oltre Oceano.

Sono tornato, dopo decenni, a Messina. Sono tornato, con diverse e alterne fortune, nella mia Città e molto ho avuto di che godere, molto ho avuto ed ho di che dire.

Cuore e Ragione hanno dovuto viaggiare e viaggiano su binari diversi.

Da un lato la ricerca dei Luoghi, delle Radici. Dall’altro il dispiacere di avere notato e di dover notare dei cambiamenti. Molti, purtroppo negativi. Quello più pesante e grave è il disinteresse, l’apatia di molti concittadini. Una incredibile rassegnazione di fronte a tutto, con l’accettazione di situazioni incredibilmente vergognose. Un esempio lo sono il traffico, la mancanza di ragionevoli servizi pubblici e la pulizia della Città. La colpa, naturalmente, viene data agli Amministratori che, di responsabilità certamente ne hanno. Ma, non vanno dimenticate le mancanze individuali quella dei singoli, dalla mancanza di educazione personale e familiare. Non dimentico, certo, il ritornello che, sovente, ho udito: “se non lo fanno gli altri perche io ho da farlo?” E, con questo, pochissimi, danno inizio a quel circolo virtuoso, che se esteso, sarebbe di giovamento per la Città e per tutti.

Una pena. Una vera pena ritrovare una Città allo sfascio dove le strade sono intasate da inutile, chiassoso e disordinato traffico, con i marciapiedi dissestati, occupati da motocicli e da veicoli in genere e sporchi di tutto, con il contributo dato dai cani, con i loro escrementi, per finire alle cicche di sigarette passando per i barattoli di bibite ed alle carte in genere.

Sconvolgente la crescita incontrollata dell’edilizia che ha occupato quasi ogni angolo delle colline, già splendido anfiteatro proteso verso il Mare. Ora vi sono autentiche caserme aggrappate là dove prima c’era verde. Mi sono chiesto, nel mio girovagare, fra il Centro e la Periferia, a chi ed a cosa servono tutti questi edifici, quando molti dichiarano che, a Messina, non c’è Economia e non c’è reddito. Mi sono state date risposte fantasiose, contorte e difficili, per darmi delle spiegazioni. Teorie contorte e complesse che preferisco neppure ricordare.

Preferisco ricordare invece la visione dello Stretto, la visione della mia Città e di quelle vie e di quelle piazze ancora intatte, anche se soffocate dal traffico e dalla mala educazione. Preferisco vedermi risalire quelle splendide, anche se dimenticate, “Scalinate” che pian piano, portano dal mare all’alto della Circonvallazione. Mi piace ricordare le mie passeggiate lungo il mare per respirarne i profumi ed ascoltarne il respiro.  

  

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