- a cura di Alessandra Garavini -
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“Nulla aggiungiamo e nulla togliamo a ciò che la natura ci dà; noi siamo semplicemente i traghettatori di un’essenza che partendo dalla terra e attraverso la vite si esprime nell’uva”. Dal De Vinis di ottobre 2010.
Sulle colline che si affacciano sullo stretto di Messina in una lingua di terra fra il mar Tirreno e lo Ionio nasce la DOC Faro. Il nome pare derivi dai Pharii; antica popolazione greca che colonizzò le colline del messinese dedicandosi all’agricoltura ed in particolare alla viticoltura. La zona di produzione si concentra in particolare da Capo Peloro scendendo verso sud est lungo la costa Ionica.
Quest’area della Sicilia vanta un’antichissima vocazione vitivinicola, il vino era prodotto già in età micenea nel 14° secolo a.C. e nel 1800 veniva esportato in Francia come taglio per i vini di Borgogna e di Bordeaux. Nel 1800 gli ha vitati erano 18.000 oggi in tutta la provincia sono 900, ma proprio in questo picco negativo sta la rinascita di una viticoltura di qualità. Negli anni 80 la DOC Faro esisteva solo sulla carta, agli inizi degli anni 90, un produttore in particolare, comincia ad imbottigliare il suo vino prodotto in quel fazzoletto di terra collinare che si affaccia sullo stretto di Messina, dove la viticoltura andava scomparendo anche per l’asperità dei terreni e per la pendenza che arriva fino al 70%, imponendo la costruzione di terrazzamenti.
Nell’ultimo decennio grazie all’impulso di un pugno di viticoltori che hanno scommesso sul valore di questa DOC, oggi il vino Faro può vantare un Consorzio di tutela che raggruppa 13 associati. E’ una delle DOC più piccole di tutta la Sicilia con 25 ha iscritti all’albo dei vigneti DOC. La biodiversità dei vitigni autoctoni siciliani è un grandissimo patrimonio, molti di questi non hanno una particolare plasticità e al di fuori di questa ristretta area di elezione non danno grandi risultati. La DOC Faro è l’espressione dell’autoctonia siciliana e proprio per questo ha un grande valore aggiunto, per quel non volersi uniformare nell’espressione gusto olfattiva ai vini di tendenza che ha portato, nell’ultimo decennio, all’appiattimento di aromi, sapori e sensazioni, in un mondo globalizzato anche nello scenario enologico.
I viticoltori che oggi si impegnano nella sua valorizzazione, alcuni anni fa, hanno scelto di non estirpare alcuni vitigni locali per far posto agli internazionali in grado di uniformare la produzione e forse facilitare la commercializzazione, ma di dare una forte spinta ad un’anima locale attraverso il recupero di antichi vigneti. I vignaiuoli del Faro raccontano il territorio in maniera diretta, orgogliosi di farlo, proprio attraverso i vitigni siciliani come il Nocera, il Nerello Mascalese e Cappuccio e altri dal nome poco pronunciabile come Core e Palumba, Acitana, Galatena. Il vino Faro è sicuramente da annoverare fra i rossi importanti, non solo per l’ampio bouquet che ci regala, ma anche per il suo estratto secco che per disciplinare non deve essere inferiore a 22 g/l, la sua acidità superiore almeno ai 5 g/l ci indica un vino fresco che può perdurare nel tempo maturando.
Il processo di vinificazione del Faro prevede la fermentazione del mosto a contatto con le vinacce che dura generalmente oltre i 15 gg. dopo i quali si procede alla svinatura; ossia all’allontanamento delle vinacce fermentate. Questa lunga macerazione del mosto sulle bucce permette l’estrazione di pigmenti e sostanze aromatiche che, insieme alla maturazione del vino di almeno un anno in cantina, sono responsabili dell’ampio comparto gusto-olfattivo che ritroveremo assaporando un bicchiere di Faro.
Il vino all’atto dell’immissione sul mercato, secondo l’art. 6 del disciplinare di produzione, dovrà presentare colore rosso rubino tendente al mattone con l’invecchiamento, il profumo sarà delicato etereo e persistente, il sapore asciutto, aromatico e soprattutto caratteristico. Ed è proprio quel persistente e quel caratteristico che lo rendono un vino unico. Per apprezzarne appieno le sue nuance aromatiche dovremo servirlo in un calice ampio alla temperatura di 18 °C. permettendo, così, una buona ossigenazione e la perfetta liberazione dei profumi.
Fra i possibili abbinamenti ho scelto quelli del territorio: Pesce spada a ghiotta, Capretto alla Messinese, Stinco di maiale al forno e Maialino dei Nebrodi alla brace. Pesce Spada a ghiotta per 4 persone. Ingredienti: 800 g di pesce spada a fette, ⅓ di cipolla e 1 costa di sedano finemente tritati, 100 g di olive verdi snocciolate, 500 g di salsa di pomodoro, 4 cucchiai di olio d'oliva, 30 g di capperi dissalati, prezzemolo, sale e pepe q.b. Preparazione: in una padella fate soffriggere la cipolla e il sedano nell'olio d'oliva, aggiungete poi la salsa di pomodoro, i capperi e le olive, infine il prezzemolo. Disponete nella padella le fette del pesce spada e condite con sale e pepe, fate cuocere per 25 minuti circa a fiamma bassa, bagnando col sugo di cottura.
Possiamo abbinare il nostro vino rosso Faro, pur essendo il Pesce spada a ghiotta una pietanza a base di pesce, proprio grazie alla struttura e alla forte componente gustativa e olfattiva che il piatto ci regala. Queste e altre ricette da: “Fiori e sapori” di Alessandra Garavini edito da Armando Siciliano |