- di GIUSEPPE RANDO -
- Che differenza c’è tra un giornalista politico e un giornalista politologo? Tra Alessandro Sallusti, per esempio, e il compianto Giovanni Sartori?
- - Tagli netti non se ne possono fare, ma la differenza c’è: il giornalista politico “legge” la politica secondo la sua personalissima ottica, la sua ideologia, i suoi interessi ecc.; il politologo cerca di capire i fatti politici a prescindere dalla sua ottica, dalla sua ideologia, dei suoi interessi ecc., basandosi sulla scienza politica, sulla storia delle dottrine politiche, sulla conoscenza – mai esaustiva – dell’uomo e delle leggi eterne dei comportamenti umani.
Questo breve dialogo mi serve da preambolo a un discorso che sento di dover fare sulle imminenti elezioni regionali: lo devo agli amici e ai colleghi che, da posizioni diverse, mi hanno chiesto e mi chiedono (anche su WhatsApp e/o su Facebook) un parere un commento, un “mi piace” sulle loro rispettabilissime scelte. E sia, visto che non ho il tempo di rispondere a ognuno di loro singolarmente (è l’entropia della comunicazione nell’epoca dei social, su cui bisognerà tornare).
Prima, però, dirò onestamente qual è la mia posizione politica. Farò quindi le mie previsioni, da politologo in erba.
Credo, dunque, di poter dire – lo dico spesso agli allievi, agli amici, ai parenti – che sono democratico fin nei cromosomi, cioè per natura prima che per cultura. Aggiungo, a richiesta, che non ho mai avuto simpatia per le destre politiche (pur apprezzando il liberalismo di Croce e il rigore della scrittura di Montanelli), che ho sempre votato “a sinistra” (Moro, il primo Craxi, Berlinguer, Occhetto, Veltroni, Prodi … ), che non sono mai stato comunista (ma nemmeno anticomunista viscerale), che sono – cerco di essere - cristiano, che ho considerato - e considero - Berlinguer, Moro, Sciascia, Moravia, Pasolini, Calvino miei maestri politici. Epperò, non sono mai stato un estremista per centomila motivi ma soprattutto perché sono perfettamente consapevole - e arcistufo - del masochismo storico della sinistra, là dove c’è sempre qualcuno che si sente più “a sinistra” degli altri e fonda un altro partitino (di sinistra), aprendo le porte alla destra.
Con queste prerogative – o per queste prerogative – democratiche, mi sono trovato spesso in minoranza nel mio ambiente di lavoro e in questa beneamata città che è sempre stata “di destra”: solidarizzavo idealmente con intellettuali democratici americani ostili alla guerra in Vietnam e i più dei messinesi si facevano i fatti loro o si schieravano con i guerrafondai; parteggiavo per Salvator Allende e i più dei messinesi apprezzavano Pinochet o si facevano i fatti loro; “tifavo” Berlinguer e i più dei messinesi “tifavano” Craxi o Andreotti o Gullotti; stavo dalla parte di Prodi e i più dei messinesi stavano dalla parte di Berlusconi; condividevo le aperture cristiane del cardinale Martini o del poeta cattolico David M. Turoldo e i più dei messinesi stravedevano per il cattolicesimo curiale del cardinale Ruini e del cardinale Bertone; lottavo per una Università della ricerca e della trasparenza e i più dei messinesi erano per l’Università blasonata dell’apparenza, degli ermellini e dei figli di papà ecc. ecc. Gli stessi amici mi considerano un “bastian contrario” per partito preso, a tal punto che, in questi ultimi tempi, si meravigliano che io non sia diventato grillino, mentre molti di loro - e quasi tutti gli indifferenti o i destrorsi messinesi d’antan - si sono convertiti al verbo rivoluzionario (in apparenza) del movimento delle Cinque Stelle. E io rispetto – sia chiaro - le loro scelte e il loro diritto di esternarle, ma non rinuncio alle mie.
E passiamo alle previsioni: chi vincerà, presumibilmente, alle prossime elezioni regionali, in Sicilia, a prescindere dal mio voto, dalla mia ideologia, dalle mie simpatie politiche e da quelle dei miei amici di sinistra?
Da siciliano che conosce fatti, uomini e storie della Sicilia, penso-temo che vinceranno le destre berlusconiane; che seconde saranno le Cinque Chiacchiere (è la bellissima denominazione parodistica di un mio compaesano, un amico, un lavoratore, un illetterato intelligentissimo) e che terzo ed ultimo arriverà il centrosinistra, perché dividendosi ha già perso, tanto per cambiare. E dico subito perché (il mio, opinabilissimo perché).
Io credo – e posso sbagliarmi – ma credo fermamente che i siciliani, per motivi storici (non per natura) subiscono, forse più di altri, il fascino del padrone (vi siete mai chiesti perché non ci sono stati i liberi comuni medievali in Sicilia, né una città siciliana tra le repubbliche marinare, né una Signoria, né un Principato autoctono nella nostra bella isola, ma sempre e solo dominazioni straniere?): ne sentono l’odore, ne percepiscono prima degli altri la presenza, come i cani da tartufo che diventano tali per essere stati messi per chissà quanti anni (o secoli) accanto ai tartufi e hanno sviluppato un gene che glieli fa “sentire” prima degli altri animali. Per converso, dopo settant’anni – pochi, invero – di democrazia, i siciliani capita che scelgano, quasi per gioco, per fare uno sberleffo ai padroni, l’uomo politico dissimile in tutto e per tutto dal padrone, un antipadrone totale e assoluto: è una tipica forma di estremismo adolescenziale (dal nero al bianco), inconsapevole – per immaturità - della complessità del reale e della politica.
Ora, l’ultimo potenziale padrone che i siciliani hanno annusato” è stato, storicamente, Berlusconi il quale, difatti, nelle politiche del 1994, ha “preso” tutti i deputati della regione ed ha vinto le elezioni. Ebbene, in questa tornata elettorale, il candidato presidente della regione dello schieramento di centrodestra è: Sebastiano Musumeci, detto Nello, già sconfitto da Crocetta (che non può più candidarsi come aspirante presidente). Costui ha tre enormi punti di vantaggio sui suoi avversari: I) è un amico del padrone e forse ne ha assorbito l’odore; II) non ha antagonisti del tutto dissimili dal prototipo del padrone (lo è stato Crocetta, che infatti lo ha sconfitto); III) si presenta bene (i siciliani danno un’enorme importanza all’apparenza): è, in origine, un fascista del Movimento Sociale Italiano, ma parla chiaro, con termini appropriati, come un intellettuale di sinistra degli anni Settanta Quindi, prenderà purtroppo un sacco di voti.
A confronto sbiadiscono il candidato delle Cinque Chiacchiere (i siciliani, di norma, diffidano dei parolai), il candidato del PD (i siciliani, di norma, diffidano dei professori universitari altolocati) e il candidato della sinistra sinistrese (i siciliani, di norma, diffidano degli intellettuali che, per fare bella figura, infittiscono il loro discorso di termini astratti, per lo più incomprensibili alle masse): nessuno di loro, peraltro, ha l’odore del potenziale padrone, né l’allure dell’antipadrone assoluto.
E tuttavia io lotterò, fino all’ultimo, come posso, insieme con i democratici, perché vinca il centrosinistra. Così va il mondo in Sicilia nel 2017.