- di Marcello Crinò -
Domenica 2 settembre 2018 è stato presentato ai fedeli del Convento di Sant’Antonio di Padova il restauro della statua in marmo della Madonna Immacolata risalente, secondo la scritta riportata sulla base, al 1719. A introdurre la conferenza di presentazione del restauro è stato il francescano frate Gimmi Palminteri, della comunità francescana del convento. Ha spiegato il senso del restauro, cioè ridare la bellezza originaria alla preziosa immagine sacra, il cui restauro, ha tenuto a precisare, è stato possibile grazie ai ricavi ottenuti dalla vendite di oggetti e immagini sacre attuate all’interno del convento, continua meta di fedeli e visitatori. Realizzato nel Seicento, il convento possiede un bellissimo chiostro delimitato da colonne con archi e tracce di affreschi alle pareti.
Il restauro è stato curato dalla studio catanese di Giampaolo Leone, coadiuvato da Arianna Landucci e Antonino Grasso. La prima relazione è stata svolta dal professore Giampaolo Solferino, il quale ha inquadrato storicamente l’opera restaurata, evidenziando la mancanza di fonti storiche e in questo caso è stato importante attuare un lavoro di paragone con altre opere d’arte. L’iconografia di questa statua, abbastanza particolare, rimanda intanto all’arte greca, con i profili paralleli di naso e fronte. Molti riferimenti, come le mani giunte e lo sguardo rivolto al cielo, rimandano all’arte del Seicento. E qui ha mostrato una serie di opere della storia dell’arte che vanno da Pietro da Cortona a Leonardo, a Vasari, alla scultura siciliana, a Caravaggio, a Luca Giordano. Si è naturalmente soffermato sul dogma dell’Immacolata, perorato dal francescano Duns Scoto e proclamato da Pio IX nel 1854.
La seconda relazione è stata svolta dal restauratore Leone, il quale ha spiegato il senso del restauro evidenziando che un precedente restauro, attuato nel 1983 senza consultare la Soprintendenza ai beni culturali, ha fatto parecchi danni alla statua, cancellando i colori originali. Questo restauro è stato condotto in stretta collaborazione con la Soprintendenza di Messina, nella persona della dottoressa Stefania Lanuzza, storica dell’arte (ha seguito anche i restauri degli affreschi della chiesa di San Giovanni). Si è proceduto alla pulitura con acido citrico, scoprendo così il colore originale che non poteva essere del 1719, tanto da far ipotizzare, con molta prudenza, ad una retrodatazione dell’opera al secolo precedente, come peraltro sembrerebbe dal punto di vista iconografico. Per avere la certezza bisognerà operare con tecniche di indagine ancor più sofisticate. Per adesso l’opera è stata restituita ai fedeli nella sua forma migliore. Le lacune di colore sono state realizzate con la tecnica consueta adoperata nei restauri, il rigatino ad acquerello, visibile ad un esame ravvicinato e comunque sempre reversibile. Ha illustrato, assieme al collaboratore Antonio Grasso, il restauro dello stellario del 1755, attuato integrando piccole parti mancanti delle stelle riposizionate su un nuovo supporto collegato alla testa dalla statua. Inoltre Leone ha parlato di un restauro non completamente scientifico, coniando la nuova definizione di “restauro devozionale”, che tiene conto anche della fruizione dell’opera d’arte dal punto di vista dei fedeli, adatto soprattutto ad opere spesso sottovalutate. Infatti l’azione di culto ha garantito la conservazione delle opere, che altrimenti avrebbero avuto una sorte e una vita diversa.
Infine, all’inizio della Santa Messa, subito dopo la conclusione della presentazione, è stata scoperta la statua restaurata. La collocazione è rimasta quella originaria, l’altare di sinistra immediatamente prima del presbiterio della chiesa, sul cui altare principale spicca un crocefisso ligneo della seconda metà del Quattrocento attribuito a Pietro della Comunella.