- di prof. Giuseppe Rando -
Premessa:
Vogliamo tentare di fare, ognuno di noi, complice l’atmosfera natalizia, un quadro quanto più veritiero della nostra amata – senza meno – città?
Veritiero – si badi – e non già vero in assoluto (solo al Padreterno si potrebbe fare una proposta simile), bensì nel senso di plausibile, convincente, cioè fondato su fatti documentati o documentabili. Un quadro che sia, in altri termini, estraneo a certa sottocultura messinese (“buddace” per definizione, cioè parolaia, impressionistica, velleitaria, astratta, provinciale, quando non fascistoide, paramafiosa ecc.) e del tutto incline, invece, alla cultura europea, che su basi greco-latine, cristiane e sull’Empirismo – cioè sull’esperienza come base della conoscenza – degli illuministi si fonda.
Perché dovremmo? Ma è ovvio: perché la conoscenza è amore e non c’è amore senza conoscenza: lo sapeva già Adamo. Perciò se il nostro “quadro” (anche un rapido schizzo), nasce dalla conoscenza, cioè dall’amore – non dal risentimento, dal preconcetto, dalla chiacchiera, dalla vuota impressione, dal rancore, dall’invidia, dal curtigghiu ecc. – e incrementa la conoscenza effettiva di Messina, è un atto d’amore verso la città dello Stretto, conforme allo spirito del Natale che è la festa dell’amore (di dio per gli uomini e degli uomini per Dio e per il prossimo). Si aggiunga che solo la conoscenza di un male (diagnosi) propizia la cura giusta (terapia), laddove ignorando la presenza e/o l’eziologia del male, non esistono terapie salvifiche: si muore (toccando ferro). Perciò, se fai a una persona cara una diagnosi esatta del suo o dei suoi mali, in vista di una terapia salvifica, vuoi il bene di quella persona, la ami. E noi, Messina, per l’appunto, la amiamo.
Nulla toglie – è anzi auspicabile – che, alla fine, quando avremo raccolto un centinaio di “quadri” (o “schizzi”) di Messina, li si metta insieme, con un minimo di regia, e li si pubblichi in un volumetto collettaneo che si potrebbe intitolare Quadri veritieri della città dello Stretto dalla prima repubblica ai nostri giorni.
Vediamo, dunque, di cominciare: comincio io che, per natura marinaresca e per cultura accademica, sono vissuto a contatto sia con gli strati bassi, popolari della scala sociale di questa provincia sia con i vertici (culturali, politici, economici, religiosi) della società messinese.
1.A) Un vescovo antimassone e vicino ai migranti.
Calogero La Piana, salesiano di Riesi (provincia di Caltanissetta), già vescovo di Mazara del Vallo, fu nominato Arcivescovo di Messina-Lipari e Santa Lucia del Mela da papa Benedetto XVI, nel 2006, ma si fece apprezzare da tutti gli uomini di buona volontà, tre anni dopo, quando lanciò una clamorosa accusa contro la massoneria messinese: «È ora – disse in quello storico intervento – che Messina finalmente si liberi dalla cappa massonica che la opprime». Incredibile, mai sentita, sotto le volte austere e perlopiù silenziose, se non sussiegose, del tempio, una così esplicita, attuale, anticonformistica, antimassonica denuncia. Ma quel che più sorprende è che, nel decennio successivo, l’arcivescovo La Piana non ritornò più sull’argomento né prese più posizione ufficialmente contro ingiustizie e/o errori della classe dirigente messinese. Si fece risentire nel 2014, un anno prima delle sue inattese dimissioni del 26 settembre del 2015, quando aprì le porte della chiesa di San Francesco dell’Addolorata, sul Viale Boccetta, a cinquecento migranti che erano sbarcati a Messina e che il sindaco Accorinti non sapeva dove collocare: un segno di accoglienza cristiana che è poi diventato abituale nella chiesa, dietro la spinta evangelica e umanitaria di papa Francesco.
Certo, l’arcivescovo La Piana non legò mai con i messinesi (nemmeno i cattolici più ferventi lo seguirono nelle sue azioni meritorie contro la massoneria e a favore dei migranti). Se ne andò amareggiato, malato e deluso, inseguito per giunta da accuse infamanti di arricchimenti improvvisi, di dissesto finanziario della Curia, di rapporti omosessuali con un medico benefattore dell’arcidiocesi. Le accuse furono riconosciute false e infondate, nel 2017, dal tribunale di Milano, che ha sottolineato «la volontà scandalistica» del giornalista del settimanale “L’Espresso” che aveva sollevato il caso. Ma tant’è.
1.B) Un vescovo ausiliare stimato e convincente.
Al discusso La Piana succede, dopo due amministratori apostolici (Antonino Raspanti e Benigno Luigi Papa), il 20 ottobre 2016, il siracusano Giovanni Accolla, già parroco di Siracusa, che pare avviato a un ministero accorto, felpato, non dissimile da quello di tanti suoi predecessori. Suscita invece aspettative di rinnovamento, nel solco della migliore tradizione cattolica, Monsignor Cesare Di Pietro, da poco nominato arcivescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Messina- Lipari-Santa Lucia del Mela: parla la lingua diretta di un intellettuale culturalmente aggiornato (è entrato in seminario dopo avere conseguito la laurea in giurisprudenza) e sa toccare il cuore – e non solo l’anima e l’intelligenza – di chi lo ascolta
1.C) Preti “francescani”.
Si assiste, da un trentennio circa, alla proliferazione, nella chiesa cattolica messinese, di preti – parroci di città e di campagna – che si direbbero conformi al modello anti-impiegatizio del sacerdozio, dapprima riproposto da Giovanni XXIII (il papa buono, il papa contadino, quello della carezza ai bambini), ma ribadito e intensamente professato da papa Francesco: «I pastori stiano accanto alle pecore, ricerchino quelle disperse e ne conservino gli odori; siano preti di strada, e non di salotto, dentro una chiesa simile ad un ospedale di campo; curino molto l’accoglienza, la misericordia, l’attenzione dei fedeli (anche con prediche brevi), sulla scorta di Gesù che non si parlava addosso, ma modellava il suo discorso sul livello culturale e mentale dei suoi uditori, utilizzando appunto la limpida, secca figuratività della parabola».
Chi scrive ne conosce alcuni di questi parroci – quello della sua parrocchia (di San Gabriele), quelli delle parrocchie viciniori (di Paradiso, di Santa Maria dell’Arco- Porto Salvo, dell’Annunziata), quelli della Riviera Nord e quelli di villaggi collinari, frequentati perlopiù in estate – ma è presumibile ne esistano tanti altri in città e in provincia: è giusto che vengano ricordati da chi li conosce.
Non si avverte in città la presenza attiva – lo era fino ai primi anni Novanta – dell’associazionismo cattolico: pare addirittura scomparsa, per il grosso pubblico, l’Azione Cattolica. Laddove, svolgono una funzione viepiù meritoria i cattolici impegnati nel volontariato (nella “Caritas”, per esempio).
LA POLITICA. L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ
A) Politici messinesi.
Messina ha avuto, nella prima repubblica (1948-1992), uomini politici di rilievo nazionale: basti pensare a Gaetano Martino (liberale), a Nino Gullotti (democristiano), a Salvatore D’Alia (democristiano). a Nicola Capria (socialista) a Gia Bottari (comunista), a Antonio Mazzarino (liberale), a Giovanni Davoli (MSI), e, in ambito regionale, a Luciano Ordile (democristiano), a Paolo Piccione (socialista), a Salvatore Natoli (repubblicano), a Pancrazio De Pasquale (comunista). Non sarebbe inopportuno che di questi – e di altri – si cominciasse a storicizzare l’attività: c’è spazio e lavoro per molti, se non per tutti.
Nella seconda repubblica, la pianta politica messinese pare essersi inaridita, almeno per quel che riguarda l’affermazione di personalità di rilievo nazionale: sembrava dovesse rinnovare i fasti dello zio, Nino Gullotti, il popolarissimo Gianfranco Genovese, ma è naufragato nel mare del sottogoverno, cambiando, alla fine, casacca; senza capitomboli di tal fatta ma senza le impennate clamorose d’antan è stata la parabola di Nanni Ricevuto, l’unico politico messinese della prima repubblica che sembra tuttavia resistere allo smacco del tempo e del mutato clima politico. Nella seconda repubblica, ha tenuto alto il nome di Messina, presso la Regione Sicilia, Giovanni Ardizzone.
Nell’ambito dell’amministrazione comunale, dopo i fasti della prima repubblica, c’è stata una marea di sindaci scoloriti (tutti per lo più di centrodestra o di destra tout court). Tra tanti, si ricordano solo, per qualche tratto difforme e per qualche buona idea realizzata, Franco Prudente, cattolico di sinistra del PPP (L’Ulivo), Renato Accorinti, battitore libero di sinistra, e l’attuale Cateno De Luca, un vero outsider. Ma senza un risveglio generale della cittadinanza indolente, non c’è «cagione» «a bene sperar».
2. B) Imprenditori messinesi
Prima della crisi del 1998, si erano segnalati a Messina alcuni famosi imprenditori nel campo dell’edilizia pubblica e privata, nonché qualche commerciante famoso (Piccolo) e qualche famoso pasticciere (Billé) e/o gestore di bar (Irrera). Brillava la stella di Rodriguez e della sua fabbrica di Aliscafi. Erano fiorenti le aziende del Caffè Torrisi, del Caffè Barbera e del Caffè Miscela D’Oro, nonché la ditta Baviera per la produzione e la vendita di candele. Prosperavano bottegai rinomati, librai, edicolanti, gestori di pizzerie, trattorie, fotografi ecc. Si potrebbe fare una lunga galleria di ritratti dei vari protagonisti dell’imprenditoria messinese d’antan: diamoci sotto.
Oggi, acquistata nel 2004 da Colaninno (e sparita da Messina) la Rodriguez Cantieri Navali, entrata in crisi l’edilizia, restano operativi, sul terreno economico, nella città, solo il Caffè Barbera e il Caffè Miscela D’Oro, i pasticcieri, i gestori di bar, di supermercati, di pizzerie, di trattorie e gli affidatari di spiagge demaniali. Sono in calo i librai e gli edicolanti. Resiste, insomma, azzoppato. il solito macroscopico terziario: le déluge o quasi.
2. C) Poveri Cristi
Sono scomparsi quasi del tutto i pescatori; sopravvivono pochi contadini e artigiani. I disoccupati toccano percentuali paurose. Aumentano, da un lato, i giovani migranti (al Nord o in altri Paesi europei) in cerca di lavoro e, dall’altro, i giovani «mammolini» che vivacchiano nella casa paterno-materna, fino a quarant’anni e oltre.
È un campo sterminato e apertissimo per “quadri” o “schizzi” conoscitivi.
LA CULTURA ACCADEMICA, Il MONDO DELL’ARTE E DELLA COMUNICAZIONE
Qui occorre, a scanso di equivoci, un’avvertenza preliminare: l’Università di Messina è un locus amoenus, perlopiù abitato da persone colte, simpatiche e intelligenti che lavorano con impegno, anche se non sempre i risultati pareggiano gli sforzi. Ma – si sa - la perfezione non è di questo mondo. Si muove tuttavia un serio addebito, tra pochi altri, al mondo accademico messinese: la pratica diffusa del criterio arcaico-corporativo-massonico, secondo cui «i panni sporchi si lavano in famiglia» e nessun professore ha titolo (e libertà) di denunciare, a fin di bene, aspetti negativi, anche macroscopici, del sistema vigente. Sicché si finisce col sottacere, in difesa implicita dello status quo, anche qualche limite oggettivo e documentato della struttura: per esempio, l’ultimo posto occupato da Messina nella nazionale Valutazione della Qualità della Ricerca Scientifica (Vqr). Solo al Magnifico Rettore è concesso di derogare da tale prassi: lo ha fatto, qualche anno fa, lodevolmente, il Rettore Navarra.
. Nemmeno per l’ironia o l’autoironia pare ci sia spazio tra i maggiorenti dell’Università peloritana, a differenza di quanto accade tra i politici e gli amministratori della città: Luciano Ordile, già presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana in quota DC, lo dimostra ampiamente: ogniqualvolta ripete una battuta di Andreotti sulla «fame» dei democristiani scoppiano gli applausi. Al contrario, per molti, seriosi inquilini degli orti accademici, «tout va bien, madame la marquise», anche quando qualcosa va male (con tutto il rispetto per la marquise). E viene in mente, per converso, l’autoironia e il sarcasmo di quel grande, vero maestro che fu Giuseppe Petronio (mai del tutto convinto della bontà del sistema), il quale, di fronte ai giovani studiosi che si agitavano in occasione di un concorso a cattedra, chiosava: «Ognuno dei commissari porterà in cattedra il suo asino o quello imposto dall’alto».
D’altra parte, sulla stampa nazionale non mancano denunce di clamorose défaillances dell’Università da parte di autorevoli professori universitari e/o di giornalisti accreditati: per restare ai nostri giorni, si vedano gli articoli di Roberto Esposito, decente di Filosofia Teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa («Già l’Università italiana, nel suo complesso, con qualche eccezione, versa in condizioni pietose […]. Collocata in basso – anche qui con le note eccezioni –nella classifica di tutti i rating internazionali […].») e di Elena Cattaneo, professore ordinario di Farmacologia all’Università degli Studi di Milano, su “Repubblica” e l’editoriale di Galli della Loggia sul “Corriere della Sera” («Il principale titolo di accesso è diventato essere figlio di: nelle università, nei vertici delle professioni, nel giornalismo, nell’alta burocrazia, nella magistratura, nella diplomazia […]»).
C’è, dunque, da temere che i modi civili, liberi, costruttivi di una cultura moderna e democratica non abbiano ancora attecchito del tutto nella maggiore sede culturale della Città dello Stretto.
Valga per tutti il caso di un mio caro collega messinese, mite, estroverso, cultore dell’amicizia e defensor della dignità umana in ogni tempo e luogo, nonché fautore del merito e della trasparenza, vero anti-modello rispetto al cliché del professore universitario raccomandato e/o figlio di papà (si vanta di avere lavorato da solo, seguendo cento «maestri cartacei», in mancanza di un maestro in carne e ossa a Messina, di non aver mai portato la borsa ad alcuno e di non essere imparentato con politici o con baroni accademici): gli si riconosce, peraltro, su scala nazionale e internazionale, di avere «rivoluzionato», con i suoi «saggi innovativi», la ricerca scientifica nel suo settore disciplinare, talché potrebbe costituire uno dei fiori all’occhiello dell’ateneo messinese, ma è stato definito «nemico dell’Università» e quindi «sgradito all’Università di Messina», per avere levato un grido di dolore, sulla stampa locale e nelle sedi competenti, contro l’ingiustizia clamorosa di studiosi insigni, abilitati alla docenza universitaria, con montagne di libri pubblicati da Olschki, e costretti a fare i professori in scuole medie della provincia o i camerieri a Londra per sopravvivere, mentre all’Università – complici la prassi baronale e la crisi politico-economica – si vivacchia con le supplenze gratuite e con i salti da un settore disciplinare “minore” a uno “maggiore”.
Tra parentesi: la ritorsione gli è venuta da un suo collega, non proprio eccellente sul terreno scientifico ma in auge nell’organigramma del potere accademico, che forse aveva la coda di paglia. Né alcuno del suddetto organigramma, nonostante la denuncia reiterata e indignata del mio collega («Io ho onorato – e onoro – l’Università di Messina»), ha mai smentito il suddetto accademico paramafioso.
Ora, noi siamo consapevoli di tutto ciò, ma amiamo l’Università e vorremmo dare il nostro contributo al rinnovamento effettivo. Perciò procediamo, come sempre, con onestà e saggezza, sulla via della critica costruttiva: non diventeremo mai reticenti né tampoco complici del malaffare. Ovunque si annidi.
3. A) Professori universitari di ieri.
Messina è stata, per certo, una sede universitaria prestigiosa – una delle più prestigiose – nel corso dei secoli. E, certamente, dopo la caduta del fascismo e l’avvento della democrazia, ha mantenuto, per almeno un trentennio, altissimi livelli di eccellenza, riscuotendo consensi sul piano nazionale e internazionale.
Anche il grosso pubblico ricorda professori come Pugliatti, Falzea, Panuccio, Mazzarino, Tramontana, Cotroneo, Lombardi Satriani, Silvestri, per citare i primi che vengono in mente, i quali hanno impresso il segno della loro scienza e della loro personalità nel settore disciplinare di appartenenza, facendosi apprezzare in Italia e all’estero.
3. B) Professori universitari di oggi.
Oggi, nell’Università di Messina, tolto Michele Ainis (che ha certamente scavalcato i confini degli “orti peloritani” per le sue innegabili competenze di costituzionalista ma soprattutto per le sue notevoli capacità giornalistiche) e qualche altro, non si evidenziano, nella stampa nazionale o internazionale, nella saggistica e nelle riviste specializzate, personalità di spicco e/o emergenti, come se un livellamento generale (in basso) abbia appiattito a livelli liceali – cioè di pura trasmissione dei saperi codificati – i docenti universitari della città dello Stretto (là dove non mancano professori liceali, che surrogano addirittura, con loro ricerche, certe deficienze universitarie). Il che sarebbe, peraltro, conforme, senza determinismi di sorta, al contestuale decadimento della vita politica, sociale e culturale della citta, ma anche allo scadimento generale dell’Italia della seconda e della terza repubblica. Quadro, forse pessimistico, ma tant’è. Spetta, comunque ai miei amici di FB, modificarlo, ribaltarlo o confermarlo.
Resta da affrontare il tema della formazione superiore e degli esiti lavorativi delle lauree nella città dello Stretto, ma lascio volentieri il campo agli interventi di altri e degli studenti o ex studenti soprattutto.
Per la completezza dell’informazione, ci sarebbe, infine, da spendere più di una parola sulle non poche vittime messinesi del sistema universitario: uomini e donne frustrati nelle loro aspettative e costretti a una subalternità avvilente, non solo o non tanto per scarso impegno: meno di uno su mille, purtroppo, ce l’ha fatta e dietro i fasti degli ermellini c’è un lazzaretto di dolori. Ma sarà per un un’altra volta o per altri “quadri” di amici di FB.
3. C) Artisti messinesi
Il vertice della poesia è stato raggiunto a Messina, nel Novecento, da Salvatore Quasimodo, nato a Modica ma cresciuto tra Messina e Roccalumera, premio Nobel per la letteratura nel 1959, che con l’apporto significativo dei suoi amici Salvatore Pugliatti, Giorgio La Pira, Raffaele Saggio ha praticamente ricostruito le basi culturali della città dopo il terremoto del 1908, ridando il senso e la gioia dell’appartenenza ai messinesi.
Con Quasimodo e dopo Quasimodo, hanno tenuta alta la bandiera della poesia messinese il barcellonese Bartolo Cattafi (1922-1980), il palermitano-orlandino Lucio Piccolo (1903-1969) e la monfortese Iolanda Insana (1937-2016): primazia della provincia, si direbbe.
C’è anche una dimensione messinese (mediterranea) nella poesia di Maria Luisa Spaziani, che – auspice Antonio Mazzarino – ha insegnato Letteratura Francese nella Facoltà di Magistero (poi Scienze della Formazione) per più di trent’anni. Ma Messina ha anche goduto per più di trent’anni della presenza dell’autore reale del romanzo Le notti di Mosca, lo studioso Pietro Sveteremich, primo traduttore in italiano del Dottor Zivago, che ha insegnato Letteratura Russa, grazie alla solerzia del preside Mazzarino, per più di trent’anni nella locale Facoltà di Magistero, poi Facoltà di Scienze della Formazione, dove, in quegli stessi anni, insegnarono docenti del calibro di Vuolo, di Ricci, di Merker, di Alatri, di Formigari, di Spini, di Ambrogio, per citare i più famosi. Gli anni di questa “piccola Atene” nel cuore dell’Università di Messina meriterebbero, invero, di essere adeguatamente ricordati da qualcuno degli amici di FB.
Notevoli risultati hanno conseguito sul terreno della poesia dialettale il ragusano (ma messinese d’elezione) Vann’Antò, pseudonimo di Giovanni Antonio Di Giacomo, che morì a Messina nel 1960, e Maria Costa, scomparsa di recente, quasi novantenne nel 2016 (era nata nel 1926 in una casuzza di pescatori sulla spiaggia di Paradiso, da cui non si allontanò mai).
Nella narrativa, hanno raggiunto livelli di notorietà nazionale, in questi ultimi lustri, Nadia Terranova, Guglielmo Pispisa e Giorgio Di Giovanni.
È molto ricco di personalità prestigiose il vasto campo della pittura e della scultura messinese del Novecento: vale a stento la pena di segnalare, tra tanti altri, Antonio Bonfiglio (1895-1955), Giuseppe Migneco (1908- 1997), Bruno Samperi, Luigi Ghersi, Ernesto (Dimitri) Salonia, Biagio Cardia, Abate Alfio, Abate Giuseppe. È auspicabile che si pubblichino, su FB, in questa sede, profili su profili delle decine di pittori e scultori messinesi contemporanei che hanno guadagnato o vanno guadagnando consensi su scala nazionale.
Nel mondo della musica pop, hanno raggiunto il successo nel 1969 i «Gens» con la canzone In fondo al viale, scritta dal cantautore messinese Salvatore Trimarchi (originario di Monforte S. Giorgio), divenuta un successo internazionale e rimasta nel cuore (e nelle orecchie) dei sessantottini locali. Ma s’intravedono cantanti e gruppi pop-rap molto interessanti di origine messinese: chi li conosce più da vicino ne può parlare, in questa chat di FB.
Come in altre città dell’Italia meridionale, si assiste poi, a Messina, in quest’ultimo ventennio, alla crescita considerevole dell’associazionismo culturale e alla contestuale proliferazione di poeti e di gruppi poetici. Il fenomeno ha aspetti certamente positivi, ma anche qualche risvolto negativo su cui sarebbero necessarie indagini più approfondite: spazio, dunque, ai volenterosi cronisti di FB.
3. D) Operatori messinesi nel campo della comunicazione
Non sono mancati e non mancano, a Messina, giornalisti della carta stampata e della televisione che hanno oltrepassato i confini provinciali e regionali: basti penare a Giuseppe Loteta, decano dei giornalisti viventi. Così come non difettano conduttori televisivi o radiofonici degni di attenzione. Volti e nomi di prestigio ha pure dato Messina al cinema nazionale: si pensi ad Adolfo Celi e a Lorenzo Crespi. Ma il più famoso messinese dello schermo è, senza dubbio veruno, Nino Frassica. Un paragrafo a sé potrebbe costituire la ricognizione delle attività sportive – e segnatamente del calcio – a Messina dalla prima repubblica ai nostri giorni: gli sportivi di FB hanno mano libera. Anche in questi settori si aprono, comunque, autostrade per chi voglia costruire profili o medaglioni di messinesi insigni dell’ultimo settantennio.
DEDUZIONI CONCLUSIVE E PROVVISORIE
Dopo questo veloce – e non esaustivo – sguardo panoramico, verrebbe fatto di dire che la città di Messina attraversi uno dei periodi più bui della sua storia: priva di industrie e di ogni altra attività produttiva, appassisce e invecchia inesorabilmente (pare che trentamila giovani tra i 18 e i 35 anni abbiano abbandonato la città nell’ultimo decennio), riducendosi, sul piano turistico, a un’anonima (nonostante le sue incredibili bellezze naturali ed artistiche) via di transito verso località siciliane più rinomate; la cultura langue in uno stato di abbandono provinciale-parassitario-impiegatizio (qualche speranza di ripresa suscitano i giovani narratori, i pochi poeti non pleonastici, i pittori e gli scultori emergenti); la fiaccola della passione politica pare del tutto spenta; luci intermittenti vengono, a tratti, dal mondo dello spettacolo e della comunicazione. È meno fosco, invero, il quadro della chiesa cattolica messinese che, nonostante il freno di molti cattolici conservatori, pare muoversi all’unisono con papa Francesco, unico leader, dopo la caduta delle ideologie, capace di indicare percorsi di rinascita non solo religiosa ma anche etica, civile, politica, alla luce della riscoperta e attualizzazione del messaggio evangelico. Ma la città rinascerà – se rinascerà – solo dal basso: ha poco da sperare dalle élites e dagli scialbi, insignificanti protagonisti della classe dominante.