- di Alessandra Basile -
Messina iniziò a dipingere il suo volto di nero il 12 ottobre del 1920, data in cui, in seguito a riunioni informali di alcuni esponenti locali appartenenti al ceto delle professioni, si costituì il Fascio di combattimento. Responsabile del movimento, il ragioniere Romano Macrì, che inviò un telegramma di saluto a Benito Mussolini, dichiarando la costituzione del Fascio e inserendo anche i nomi di coloro che ne presero parte. La prima manifestazione pubblica dell'avanguardia fascista avvenne subito dopo le consultazioni comunali, quando il PSI messinese organizzò un congresso regionale che si svolse dal 12 al 15 novembre. L'insuccesso socialista alle elezioni comunali dei primi di novembre incoraggiarono le azioni offensive del neonato movimento fascista. Per fortuna negli scontri in piazza non ci furono vittime, né feriti, ma la reazione socialista si tradusse in uno sciopero generale. Fino alla Marcia su Roma, comunque, il fascismo messinese non riuscì a condizionare in maniera rilevante la vita politica della città. Rimase ciò che era già alla vigilia delle elezioni del 1921, un movimento che faceva della violenza contro gli avversari politici la sua forza e l'arma della sua lotta politica. Nei mesi successivi si verificarono con maggior frequenza, episodi gravi di violenza che causarono morti e feriti. Alla vigilia della Marcia su Roma, nell'agosto del 1922, il prefetto Pietro Frigerio, personalità molto vicina al partito di Mussolini, applicò una normativa governativa per il riordino del pubblico impiego. Oltre agli ambienti massonici, fu colpita dall'atto anche la classe operaria. Ventisei operai, infatti, vennero licenziati dalle Ferrovie dello Stato. Immediate le reazioni della popolazione cittadina. L'opposizione al fascismo scese in piazza con il Movimento del Soldino: i manifestanti si fregiarono di una moneta raffigurante il sovrano, in segno di sfida a Mussolini e di deferenza al re. Nel 1923 il prefetto Frigerio scrisse:"Non si può sperare di rendere d'un colpo fascista la città. In un primo momento basta intonarla al fascismo. Sarà un notevole successo se avremo la città simpatizzante e se avremo neutralizzato il lavoro dei sabotatori del governo. Più in là in un secondo momento che non può essere immediato avremo la vera affermazione fascista". Il 22 giugno del 1923, la città si preparò a ricevere la visita di Benito Mussolini. Il segnale più importante che diede inizio alla fascistizzazione di Messina, fu il colloquio che Mussolini ebbe con monsignor Angelo Paino, da pochi mesi arcivescovo della città. Alla fine dell'incontro Paino dichiarò:"Ebbi dal duce più di quanto mi aspettassi, più ancora di quanto richiedessi. Dovevo imporre un limite alle mie richieste, visto che lui non sapeva porre un limite alle sue concessioni". In effetti il colloquio si tradusse in una forte accelerazione della ricostruzione degli edifici ecclesiastici, distrutti o danneggiati, dal sisma. A parte gli aspetti politici, il consenso unanime della città verso la dittatura si basò sulla constatazione generale che, se ancora tanto restava da fare nell'opera di ricostruzione della città, moltissimo era stato fatto, al punto che agli inizi degli anni Trenta si potevano considerare conclusi i due terzi circa dell'opera di ricostruzione. Grandi strutture pubbliche furono completate a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, in particolare l'università, il tribunale, il municipio, la Galleria "Vittorio Emanuele", il Duomo con il campanile. L'opinione positiva nei confronti del regime, condivisa dalla maggioranza della popolazione peloritana, si rafforzò con la nuova visita di Mussolini nel 1937. La stampa locale enfatizzò il suo arrivo che avrebbe poi suscitato l'entusiasmo cittadino. La Gazzetta quella mattina titolò "Oggi viene a Messina l'uomo più grande del mondo intero". Mussolini, entusiasmò la folla, promettendo che il governo si sarebbe impegnato a smantellare completamente le baraccopoli ancora presenti in città, ma l'entrata in guerra dell'Italia impedì il compimento dell'opera di ricostruzione. Così il Paese partecipò alla seconda guerra mondiale (1939-1945) alleandosi con la Germania di Hitler. Messina, per la sua posizione geografica e per il suo porto, divenne inevitabilmente uno degli obiettivi militari primari delle forze inglesi. A un mese dall'ingresso in guerra, la squadra navale di stanza a Messina si scontrò nelle acque di Punta Stilo, con una squadra inglese. In seguito la città fu vittima di attacchi alla struttura urbana, alle installazioni ferroviarie e portuali, dai primi di gennaio del '41, con periodiche incursioni aeree e diverse decine di morti tra la popolazione. Nel giugno dell'anno successivo iniziò l'esodo dei messinesi verso i centri della provincia meno minacciati dagli attacchi aeronavali. Messina, negli anni della seconda guerra mondiale, vide cancellarsi l'opera di ricostruzione iniziata dopo il terremoto del 1908. Si calcolò che il 75% degli edifici ricostruiti venne distrutto dai bombardamenti, con la morte di oltre un migliaio di messinesi. Il 10 luglio del 1943, iniziò una nuova storia per Messina: le truppe angloamericane sbarcarono in provincia di Siracusa e qualche giorno dopo la caduta del fascismo, il 31 luglio, il commissario Catalano lasciò il suo incarico e il prefetto Federico Solimena nominò al suo posto un funzionario dell'amministrazione provinciale, Francesco Miceli, che guidò il comune fino all' occupazione/liberazione angloamericana della città, che si realizzò il 17 agosto. Le truppe alleate entrarono in città senza dover fronteggiare alcun combattimento o resistenza. L'esercito italiano era ormai in fase di disfatta e i tedeschi pensavano solo a non restare lì imbottigliati e quindi, desideravano solo fuggire verso "il Continente". Gli angloamericani erano a tutti gli effetti ancora dei nemici, ma vennero accolti come liberatori dalla popolazione, felice della fine della guerra.
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