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La cronaca dello sbarco alleato

Scritto da  Apr 26, 2013

 - di Alessandra Basile -

Nel canale fra la   Tunisia e la Sicilia, l'isoletta di Pantelleria era base nemica di aerei e   motosiluranti. Nel gennaio 1941 gli Alleati ne avevano progettato l'attacco e   l'occupazione, ma passò l'occasione ed essa rimase come una spina sul fianco   per tutto il periodo più duro dell'assedio di Malta. Ora si rendeva   necessario non solo conquistarla, ma utilizzarla per la loro aviazione.   Attacchi aeronavali cominciarono subito dopo la presa di Tunisi. I   bombardamenti continuarono fino all'8 giugno, quando fu chiesta la resa   incondizionata da parte delle forze dell'Asse. Questa fu respinta, e uno   sbarco fu attuato l'11 giugno, protetto da un massiccio bombardamento dal   cielo e dal mare. S'era fatto in precedenza un gran parlare dell'entità e dei   pericoli di questa impresa. La quale fu coronata da un pieno successo, senza   perdite da parte degli Alleati, a eccezione, secondo i marinai, d'un soldato   ferito dal morso di un somarello.
 
  Più di 11.000 prigionieri caddero nelle loro mani. Nei due giorni successivi   anche le isole vicine di Lampedusa e Linosa capitolarono. Ora nessun   avamposto nemico rimaneva più a sud della Sicilia. Intensi attacchi aerei   sulla Sicilia (e Sardegna) ebbero inizio il 3 luglio col bombardamento di   aeroporti, molti dei quali furono resi inservibili. I caccia Italiani furono   costretti alla difensiva e i bombardieri a largo raggio a ritirarsi sul   continente italiano. Quattro delle cinque navi-traghetto operanti attraverso   lo stretto di Messina furono affondate.
 
  Quando i convogli britannici e americani si stavano avvicinando all'isola la   superiorità aerea s'era saldamente affermata e le forze aero-navali dell'Asse   non fecero nessun serio tentativo di opporsi al nostro sbarco. Fino all'ultimo,   il nemico fu in dubbio, grazie alle loro finte, sul punto preciso ove   avrebbero attaccato.
 
  I movimenti navali degli Alleati e i preparativi militari in Egitto fecero   pensare a una spedizione in Grecia. Dopo la caduta della Tunisia il nemico   aveva mandato altri aeroplani nel Mediterraneo, ma non in Sicilia, sebbene   nel Mediterraneo orientale, nell'Italia nord-occidentale e in Sardegna.Nel   periodo critico, mentre i convogli stavano per toccare il loro obiettivo, il   generale Eisenhower stabilì il suo comando a Malta, dove le comunicazioni   erano eccellenti. E là fu raggiunto dal generale Alexander e dall'ammiraglio   Cunningham. Il maresciallo dell'Aria Tedder rimase presso Cartagine a   controllare le operazioni aeree combinate.
 
  Il 10 luglio era il giorno stabilito. La mattina del 9 luglio le due grandi   flotte conversero dall'est e dall'ovest a sud di Malta, e fu quello il   momento per tutti di volgere la prua verso le spiagge di Sicilia.   L'ammiraglio Cunningham disse nel suo dispaccio: «I soli incidenti che velarono   la precisione di quel notevole concentramento di vapori fu la perdita per   attacchi sottomarini di tre navi in convoglio. Il passaggio dei convogli fu   protetto nel modo più efficace: la maggioranza non fu avvistata dagli   apparecchi nemici».
 
  Frattanto le forze aeree alleate martellavano le linee di comunicazione e gli   aeroporti del nemico nell'Italia meridionale, e il porto di Napoli. Il 19   luglio una grossa formazione di bombardieri americani attaccò gli scali   ferroviari e l'aeroporto di Roma. I danni furono notevoli e il colpo   accusato. Nella stessa Sicilia gli americani avanzavano senza posa sotto la   guida entusiasta del generale Patton. La loro terza divisione di fanteria e   la seconda corazzata ebbero il compito di occupare la parte occidentale   dell'isola, dove erano rimaste soltanto truppe italiane, mentre il corpo   d'armata americano, formato dalla prima e dalla quarantacinquesima divisione,   doveva giungere sulla costa settentrionale e poi puntare a est, lungo le due   strade principali per Messina.
 
  Palermo fu presa il 22 luglio e alla fine del mese gli americani avevano   raggiunto la linea Nicosia-Santo Stefano. La loro terza divisione, compiuta   la sua missione nella Sicilia occidentale, era stata portata a sostegno   dell'avanzata lungo la costa settentrionale, mentre la nona divisione veniva   fatta giungere dall'Africa, dove, come la 78a divisione inglese, era stata   tenuta in riserva. Il campo era così pronto per le battaglie finali. ll   rapido crollo dell'Italia si faceva sempre più probabile. Il generale   Eisenhower e i suoi principali collaboratori convennero che l'Italia fosse il   loro obiettivo immediato.
 
  Sebbene preferissero ancora sbarcare innanzi tutto sulla punta dello stivale,   perché scarseggiavano gli aeroplani e i mezzi da sbarco, per la prima volta   cominciarono a vedere di buon occhio un attacco diretto su Napoli. Questa era   così lontana dalle basi aeree britanniche recentemente conquistate in   Sicilia, da ridurre notevolmente le possibilità di protezione dello sbarco da   parte dell'aviazione da caccia. Il 22 luglio i capi di Stato Maggiore   britannici invitarono i colleghi americani a studiare l'attacco diretto su   Napoli dato che portaerei e naviglio supplementare sarebbero stati a   disposizione. Gli americani però vedevano la situazione da un punto di vista   diverso.
 
  Pur accettando l'idea dell'attacco restarono tenacemente fedeli alla loro   decisione originaria di non mandare ulteriori rinforzi dall'America a   Eisenhower né per questo né per alcun altro fine. Eisenhower facesse il   meglio che poteva con quello che aveva. Inoltre insistettero perché tre   gruppi dei loro bombardieri pesanti fossero trasferiti in Inghilterra. Ne   nacque così un dissidio. I capi di Stato Maggiore americani non credevano che   la conquista d'Italia potesse seriamente minacciare la Germania, e temevano   inoltre che i tedeschi si ritirassero lasciandoli a colpire il vuoto. Non   ritenevano che ci fosse una grande convenienza a bombardare la Germania   meridionale da basi aeree poste nell'Italia del Sud, e volevano che tutti gli   sforzi contro la Germania fossero concentrati sulla rotta più breve   attraverso la Manica, anche se per dieci mesi almeno nulla potesse accadere   in quel settore.
 
  I capi di Stato Maggiore britannici fecero notare che la conferenza di   Washington aveva espressamente dichiarato che l'eliminazione dell'Italia   dalla guerra era uno dei più immediati obiettivi alleati.
 
  L'attacco su Napoli, al quale era stato dato ora il nome convenzionale di   "AvaIanche", era il mezzo migliore di raggiungere questo obiettivo,   senza contare che il crollo dell'Italia avrebbe enormemente aumentato le   probabilità favorevoli, per non dire decisive, dello sbarco oltre Manica.   Portal, capo di Stato Maggiore dell'aviazione, sottolineò il fatto che   attacchi in grande stile contro l'industria bellica germanica,   particolarmente sulle fabbriche di aeroplani da caccia, avrebbero potuto   essere pienamente efficaci solo con l'aiuto degli aeroporti italiani. Il   possesso di queste basi aeree avrebbe pertanto contribuito grandemente a una   vittoriosa invasione della Francia. Gli americani non si lasciarono   convincere. Tuttavia, la maggior parte delle forze da impiegarsi nell'   ‘Avalanche" erano britanniche.
 
  Per riparare alla scarsità di apparecchi da caccia a grande autonomia,   l'Ammiragliato britannico assegnò in sostegno dello sbarco una portaerei   leggera e altre quattro di scorta, e il Ministero dell'Aria dette al generale   Eisenhower tre delle nostre squadriglie di bombardieri, che si era   precedentemente deciso di ritirare dal Mediterraneo.
 
  Mentre queste discussioni piuttosto aspre erano in corso, la situazione venne   completamente trasformata dalla caduta di Mussolini. L'argomento a favore   dell'invasione dell'Italia divenne ora preminente. I tedeschi reagirono   prontamente e l'invasione degli Alleati, e in particolar modo l'attacco su   Napoli, non ne fu grandemente facilitata. Soltanto l'"Avalanche"   riuscì. E fu una fortuna che gli inglesi avessero inviato ulteriori forze   britanniche aeronavali. I rischi sarebbero stati ulteriormente ridotti se il   naviglio supplementare che ritenevano essenziale per accrescere il flusso dei   rinforzi dopo lo sbarco fosse stato concesso. In questo non riuscirono a   convincere gli americani, e prima che l'operazione avesse inizio molte navi   americane furono ritirate e alcune delle navi da guerra britanniche furono   anche mandate in India.
 
  La brillante conquista di Centuripe, da parte della settantottesima divisione   britannica da poco arrivata, segnò l'ultima fase. Catania cadde il 5, dopo di   che tutto il fronte britannico si spostò in avanti fino alle pendici   meridionali e occidentali dell'Etna. La divisione americana prese Troina il 6   agosto dopo accaniti combattimenti, e la nona divisione americana,   inserendosi entro la prima, entrava a Cesarò il giorno 8.Lungo la costa settentrionale   la quarantacinquesima divisione seguita dalla terza,entrambe degli Stati   Uniti, raggiunse Capo Orlando il 10 agosto, con l'aiuto di due piccole ma   abilmente condotte operazioni anfibie di aggiramento sul fianco.
 
  Dopo l'occupazione di Randazzo, il giorno 13, i tedeschi si sganciarono per   tutta la lunghezza del fronte, e sotto la protezione delle sue forti difese   antiaeree dello stretto di Messina fuggirono nelle notti seguenti sull'Italia   continentale. Gli eserciti Alleati si precipitarono su Messina. Le   demolizioni nemiche sulla strada costiera Catania-Messina rallentarono la   marcia dell'ottava armata, e con un breve margine la corsa fu vinta dagli   americani, che entrarono per primi a Messina il 16 agosto. Così si concluse   un'abile e vittoriosa campagna in soli 38 giorni. Grandi erano state le   difficoltà del terreno. Le strade erano anguste e i movimenti di truppe   attraverso il paese erano stati spesso impossibili se non per uomini   appiedati. Sul fronte dell'8a armata la massa torreggiante dell'Etna gli   aveva sbarrato la strada, permettendo inoltre al nemico di spiare le loro   mosse.
 
  Tra i gli uomini nella parte bassa della piana di Catania aveva infuriato la   malaria. Ciò nondimeno, stabilito che erano saldamente nell'isola, e quando   le loro forze aeree entrarono in azione dagli aeroporti occupati, mai l'esito   fu in dubbio. Le forze dell'Asse, secondo i dati del generale Marshall,   perdette 167.000 uomini, trentasettemila dei quali tedeschi. Gli Alleati   perdettero 31.158 uomini, tra morti, feriti e dispersi.

Ultima modifica il Domenica, 23 Ottobre 2016 05:01
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