- di Alessandra Basile -
Nel canale fra la Tunisia e la Sicilia, l'isoletta di Pantelleria era base nemica di aerei e motosiluranti. Nel gennaio 1941 gli Alleati ne avevano progettato l'attacco e l'occupazione, ma passò l'occasione ed essa rimase come una spina sul fianco per tutto il periodo più duro dell'assedio di Malta. Ora si rendeva necessario non solo conquistarla, ma utilizzarla per la loro aviazione. Attacchi aeronavali cominciarono subito dopo la presa di Tunisi. I bombardamenti continuarono fino all'8 giugno, quando fu chiesta la resa incondizionata da parte delle forze dell'Asse. Questa fu respinta, e uno sbarco fu attuato l'11 giugno, protetto da un massiccio bombardamento dal cielo e dal mare. S'era fatto in precedenza un gran parlare dell'entità e dei pericoli di questa impresa. La quale fu coronata da un pieno successo, senza perdite da parte degli Alleati, a eccezione, secondo i marinai, d'un soldato ferito dal morso di un somarello. Più di 11.000 prigionieri caddero nelle loro mani. Nei due giorni successivi anche le isole vicine di Lampedusa e Linosa capitolarono. Ora nessun avamposto nemico rimaneva più a sud della Sicilia. Intensi attacchi aerei sulla Sicilia (e Sardegna) ebbero inizio il 3 luglio col bombardamento di aeroporti, molti dei quali furono resi inservibili. I caccia Italiani furono costretti alla difensiva e i bombardieri a largo raggio a ritirarsi sul continente italiano. Quattro delle cinque navi-traghetto operanti attraverso lo stretto di Messina furono affondate. Quando i convogli britannici e americani si stavano avvicinando all'isola la superiorità aerea s'era saldamente affermata e le forze aero-navali dell'Asse non fecero nessun serio tentativo di opporsi al nostro sbarco. Fino all'ultimo, il nemico fu in dubbio, grazie alle loro finte, sul punto preciso ove avrebbero attaccato. I movimenti navali degli Alleati e i preparativi militari in Egitto fecero pensare a una spedizione in Grecia. Dopo la caduta della Tunisia il nemico aveva mandato altri aeroplani nel Mediterraneo, ma non in Sicilia, sebbene nel Mediterraneo orientale, nell'Italia nord-occidentale e in Sardegna.Nel periodo critico, mentre i convogli stavano per toccare il loro obiettivo, il generale Eisenhower stabilì il suo comando a Malta, dove le comunicazioni erano eccellenti. E là fu raggiunto dal generale Alexander e dall'ammiraglio Cunningham. Il maresciallo dell'Aria Tedder rimase presso Cartagine a controllare le operazioni aeree combinate. Il 10 luglio era il giorno stabilito. La mattina del 9 luglio le due grandi flotte conversero dall'est e dall'ovest a sud di Malta, e fu quello il momento per tutti di volgere la prua verso le spiagge di Sicilia. L'ammiraglio Cunningham disse nel suo dispaccio: «I soli incidenti che velarono la precisione di quel notevole concentramento di vapori fu la perdita per attacchi sottomarini di tre navi in convoglio. Il passaggio dei convogli fu protetto nel modo più efficace: la maggioranza non fu avvistata dagli apparecchi nemici». Frattanto le forze aeree alleate martellavano le linee di comunicazione e gli aeroporti del nemico nell'Italia meridionale, e il porto di Napoli. Il 19 luglio una grossa formazione di bombardieri americani attaccò gli scali ferroviari e l'aeroporto di Roma. I danni furono notevoli e il colpo accusato. Nella stessa Sicilia gli americani avanzavano senza posa sotto la guida entusiasta del generale Patton. La loro terza divisione di fanteria e la seconda corazzata ebbero il compito di occupare la parte occidentale dell'isola, dove erano rimaste soltanto truppe italiane, mentre il corpo d'armata americano, formato dalla prima e dalla quarantacinquesima divisione, doveva giungere sulla costa settentrionale e poi puntare a est, lungo le due strade principali per Messina. Palermo fu presa il 22 luglio e alla fine del mese gli americani avevano raggiunto la linea Nicosia-Santo Stefano. La loro terza divisione, compiuta la sua missione nella Sicilia occidentale, era stata portata a sostegno dell'avanzata lungo la costa settentrionale, mentre la nona divisione veniva fatta giungere dall'Africa, dove, come la 78a divisione inglese, era stata tenuta in riserva. Il campo era così pronto per le battaglie finali. ll rapido crollo dell'Italia si faceva sempre più probabile. Il generale Eisenhower e i suoi principali collaboratori convennero che l'Italia fosse il loro obiettivo immediato. Sebbene preferissero ancora sbarcare innanzi tutto sulla punta dello stivale, perché scarseggiavano gli aeroplani e i mezzi da sbarco, per la prima volta cominciarono a vedere di buon occhio un attacco diretto su Napoli. Questa era così lontana dalle basi aeree britanniche recentemente conquistate in Sicilia, da ridurre notevolmente le possibilità di protezione dello sbarco da parte dell'aviazione da caccia. Il 22 luglio i capi di Stato Maggiore britannici invitarono i colleghi americani a studiare l'attacco diretto su Napoli dato che portaerei e naviglio supplementare sarebbero stati a disposizione. Gli americani però vedevano la situazione da un punto di vista diverso. Pur accettando l'idea dell'attacco restarono tenacemente fedeli alla loro decisione originaria di non mandare ulteriori rinforzi dall'America a Eisenhower né per questo né per alcun altro fine. Eisenhower facesse il meglio che poteva con quello che aveva. Inoltre insistettero perché tre gruppi dei loro bombardieri pesanti fossero trasferiti in Inghilterra. Ne nacque così un dissidio. I capi di Stato Maggiore americani non credevano che la conquista d'Italia potesse seriamente minacciare la Germania, e temevano inoltre che i tedeschi si ritirassero lasciandoli a colpire il vuoto. Non ritenevano che ci fosse una grande convenienza a bombardare la Germania meridionale da basi aeree poste nell'Italia del Sud, e volevano che tutti gli sforzi contro la Germania fossero concentrati sulla rotta più breve attraverso la Manica, anche se per dieci mesi almeno nulla potesse accadere in quel settore. I capi di Stato Maggiore britannici fecero notare che la conferenza di Washington aveva espressamente dichiarato che l'eliminazione dell'Italia dalla guerra era uno dei più immediati obiettivi alleati. L'attacco su Napoli, al quale era stato dato ora il nome convenzionale di "AvaIanche", era il mezzo migliore di raggiungere questo obiettivo, senza contare che il crollo dell'Italia avrebbe enormemente aumentato le probabilità favorevoli, per non dire decisive, dello sbarco oltre Manica. Portal, capo di Stato Maggiore dell'aviazione, sottolineò il fatto che attacchi in grande stile contro l'industria bellica germanica, particolarmente sulle fabbriche di aeroplani da caccia, avrebbero potuto essere pienamente efficaci solo con l'aiuto degli aeroporti italiani. Il possesso di queste basi aeree avrebbe pertanto contribuito grandemente a una vittoriosa invasione della Francia. Gli americani non si lasciarono convincere. Tuttavia, la maggior parte delle forze da impiegarsi nell' ‘Avalanche" erano britanniche. Per riparare alla scarsità di apparecchi da caccia a grande autonomia, l'Ammiragliato britannico assegnò in sostegno dello sbarco una portaerei leggera e altre quattro di scorta, e il Ministero dell'Aria dette al generale Eisenhower tre delle nostre squadriglie di bombardieri, che si era precedentemente deciso di ritirare dal Mediterraneo. Mentre queste discussioni piuttosto aspre erano in corso, la situazione venne completamente trasformata dalla caduta di Mussolini. L'argomento a favore dell'invasione dell'Italia divenne ora preminente. I tedeschi reagirono prontamente e l'invasione degli Alleati, e in particolar modo l'attacco su Napoli, non ne fu grandemente facilitata. Soltanto l'"Avalanche" riuscì. E fu una fortuna che gli inglesi avessero inviato ulteriori forze britanniche aeronavali. I rischi sarebbero stati ulteriormente ridotti se il naviglio supplementare che ritenevano essenziale per accrescere il flusso dei rinforzi dopo lo sbarco fosse stato concesso. In questo non riuscirono a convincere gli americani, e prima che l'operazione avesse inizio molte navi americane furono ritirate e alcune delle navi da guerra britanniche furono anche mandate in India. La brillante conquista di Centuripe, da parte della settantottesima divisione britannica da poco arrivata, segnò l'ultima fase. Catania cadde il 5, dopo di che tutto il fronte britannico si spostò in avanti fino alle pendici meridionali e occidentali dell'Etna. La divisione americana prese Troina il 6 agosto dopo accaniti combattimenti, e la nona divisione americana, inserendosi entro la prima, entrava a Cesarò il giorno 8.Lungo la costa settentrionale la quarantacinquesima divisione seguita dalla terza,entrambe degli Stati Uniti, raggiunse Capo Orlando il 10 agosto, con l'aiuto di due piccole ma abilmente condotte operazioni anfibie di aggiramento sul fianco. Dopo l'occupazione di Randazzo, il giorno 13, i tedeschi si sganciarono per tutta la lunghezza del fronte, e sotto la protezione delle sue forti difese antiaeree dello stretto di Messina fuggirono nelle notti seguenti sull'Italia continentale. Gli eserciti Alleati si precipitarono su Messina. Le demolizioni nemiche sulla strada costiera Catania-Messina rallentarono la marcia dell'ottava armata, e con un breve margine la corsa fu vinta dagli americani, che entrarono per primi a Messina il 16 agosto. Così si concluse un'abile e vittoriosa campagna in soli 38 giorni. Grandi erano state le difficoltà del terreno. Le strade erano anguste e i movimenti di truppe attraverso il paese erano stati spesso impossibili se non per uomini appiedati. Sul fronte dell'8a armata la massa torreggiante dell'Etna gli aveva sbarrato la strada, permettendo inoltre al nemico di spiare le loro mosse. Tra i gli uomini nella parte bassa della piana di Catania aveva infuriato la malaria. Ciò nondimeno, stabilito che erano saldamente nell'isola, e quando le loro forze aeree entrarono in azione dagli aeroporti occupati, mai l'esito fu in dubbio. Le forze dell'Asse, secondo i dati del generale Marshall, perdette 167.000 uomini, trentasettemila dei quali tedeschi. Gli Alleati perdettero 31.158 uomini, tra morti, feriti e dispersi.
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