In una, ancora assolata, giornata della prima decade di Settembre del 1934, a Letojanni, piccolo paesino della Sicilia Orientale proprio sul mare Ionio emetteva i suoi primi vagiti uno splendido bambino a cui venne imposto il nome GIORGIO, aveva splendidi occhi azzurri come il mare per cui la mamma in cuor suo sapeva che il suo destino era già segnato.
La sua casa , di fronte al mare, distava dalla battigia poco più di cinquanta metri, qui il piccolo Giorgio è cresciuto, passando la maggior parte del giorno, a giocare sulla spiaggia allora piena di piccole imbarcazione da pesca, una delle principale attività locale. Queste piccole imbarcazioni fin da allora hanno esercitato su di lui un fascino particolare, tanto che chiedeva e riceveva informazioni particolareggiate su questi piccoli natanti e aiutava i pescatori nel “tiro” e “varo” degli stessi.
All’età di tredici anni, dopo aver conseguito la licenza elementare, andò a lavorare, quale apprendista barcaiolo, presso un piccolo cantiere navale di Alì Terme, viaggiando su uno sbuffante treno locale.
Qui Giorgio, adolescente, con molta passione ed interesse imparò le prime rudimentali tecniche del mestiere di costruzione e riparazione barche, ma sicuramente quelle poche conoscenze non bastavano all’ambizioso Giorgio, che aspirava a diventare un “Maestro d’Ascia”.
Per poter realizzare il suo sogno doveva completare e affinare le sue conoscenze, allora è andato a lavorare presso grossi cantieri navali a Palermo e Cefalù, che gli rilasciarono un attestato di frequenza per potere cosi sostenere gli esami ed acquisire la qualifica di “Maestro d’Ascia” cose che avvenne all’età di vent’anni davanti ad una qualificata commissione composta da Ingegneri Navali e alti funzionari della Capitaneria di Porto.
Il giovane Giorgio, iniziò così la sua escalation professionale, dapprima lavorò, con la sua fresca qualifica, presso importanti Cantieri Navali, percependo anche sostanziosi compensi, tanto che ritenendosi in grado di poter mantenere economicamente famiglia si sposò ancora giovane e si trasferì a Nizza di Sicilia dove iniziò in forma autonoma la sua attività e diventò “Mastro Giorgio il barcaiolo”.
Man mano che il tempo passava il garage al piano terra della sua casa e la piccola striscia di spiaggia che usava per esercitare la sua attività gli cominciavano ad essere stretti perché la sua fama di bravo barcaiolo cresceva sempre più e gli portavano delle commesse importanti.
Allora negli anni ottanta ha chiesto ed ottenuto una concessione di area demaniale ad Alì Terme su cui impiantò un bellissimo e moderno, per allora,cantiere navale per la costruzione e riparazione di barche da pesca in legno, munito di attrezzature importanti ed esponendosi finanziariamente con le banche.
La sua fama valicò i confini regionali e raggiunse la Calabria con le città marinare di Reggio Calabria, Vibo Valentia, Bagnara Calabra, Melito Porto Salvo, andò anche oltre come la Puglia, fino a raggiungere Genova città marinara per eccellenza, costruendo imponenti imbarcazioni da pesca.
In ognuno di questi posti veniva chiamato con nomi diversi, nella Sicilia occidentale “u zi Giorgio” nel calabrese “ mastru Giorgio” o genericamente “ il signor Giorgio”.
La sua attività raggiunse il suo massimo splendore costruendo barche da pesca con stazza fino a 160 tonnellate e barche da diporto fino a 25 metri, mentre nei mesi invernali durante il fermo biologico il cantiere si riempiva di grosse barche da pesca che venivano tirate a secco per la manutenzione generale fra cui il calafataggio, dando lavoro anche ad oltre trenta dipendenti.
Le barche da pesca più importanti che costruì portano il nome di “Santa Barbara” con stazza di trentacinque tonnellate, “Ardito” quaranta tonnellate, “Mosè” sessanta tonnellate, “ Kon Tiki” sessanta tonnellate,” Sicilia” ottanta tonnellate, “Orazio Padre” centodieci tonnellate, “L’Aurora” centoventi tonnellate e il “Paradise” di centotrenta tonnellate.
Dopo aver conosciuto la storia e la personalità del signor “Giorgio” passiamo ad esaminare la sua attività descrivendo la tecnica usata per la costruzione di una barca in tutte le sue fasi.
Dopo aver ricevuto la commessa, cercava di capire quali fossero le esigenze e le idee del proprietario e discutevano sul progetto che era personalizzato per ogni singola imbarcazione, curandone i dettagli nelle più piccole sfumature. La bravura del sig. “Giorgio” consisteva nel dargli una forma slanciata e funzionale da rendere l’imbarcazione veloce e sicura; poi usava la sua tecnica sopraffina per eseguire i lavori di rifinitura, che erano sempre di qualità eccellente usando materiali pregiati.
Le attrezzature che usava maggiormente nell’esecuzione del lavoro erano l’Ascia , l’attrezzo principe, il mazzuolo, le palelle , la pialla a filo, la pialla a spessore, la sega a carrello e la sega a nastro.
Si iniziava con la scelta del legname che il nostro “ signor Giorgio” andava a comprare e visionare personalmente, curando che fosse di pregio e ben stagionato anche se di qualità diversa in base alle parti dell’imbarcazione a cui servivano. Per la chiglia usava un legno molto duro e resistente proveniente dall’Africa che si chiamava “azobè” mentre per il fasciame utilizzava un legno resinoso utile per una maggiore impermeabilizzazione ed anche altri tipi di legno.
Dopo aver preparato i singoli pezzi della barca, chiglia, prora, poppa, ordinate e fasciame che avevano misure e forme standard in base alla stazza, si passava alla posa a piombo, della stessa su puntelli in legno, equilibrando il peso di prora e poppa con il bilanciere.
Con la posa ad incastro delle ordinate e delle cinghie, in legno di rovere, fermate da chiodi zincate, si formava la struttura portante dell’imbarcazione, si proseguiva con la realizzazione della parte superiore cioè la tavola di cinta che bloccava definitivamente le ordinate.
A questo punto la struttura della barca era completa e si proseguiva con la chiusura della poppa e della prora per poi passare alla costruzione delle parti interne ricavando all’interno la sala macchine, la sala motori e una spazio refrigerato, destinato a deposito del pesce, e una parte di essa a deposito di attrezzi in genere. Dopo avere eseguito la fasciatura delle fiancate laterali si passava alla posa del fasciame di coperta, fermati esternamente da chiodi zincati la cui testa veniva ribattuta ed incavata nel legno e che una volta stuccata, gli veniva impedito il contatto con l’acqua salmastra evitandone la corrosione.
Dalla coperta, attraverso il boccaporto, si scendeva nella parte inferiore della barca, mentre sulla maggior parte della coperta si costruiva la cabina in cui si ricavava la sala pranzo con cucina, i bagni e le camere da letto, fuori attraverso una scaletta si accedeva sopra la cabina dove c’era il ponte di comando.
Si completava l’opera con l’impermeabilizzazione del l’imbarcazione specialmente delle parti sommerse, la cui operazione più importante era il calafataggio, cioè il sistema di evitare che l’acqua filtrasse fra le giunture delle tavole con l’inserimento negli interstizi di canapa o corda operando con un mazzuolo di legno. Poi si procedeva ad impermeabilizzare il tutto con uno strato di pece quindi si stuccava ed infine si pitturava, ultimamente invece della pece si è usato del minio di piombo, ma sembra che questo prodotto sia nocivo per la salute.
Purtroppo, come tutte le cose della vita, tutto si evolve e tutto cambia ed oramai sulla battigia del mare ad Alì Terme non c’è più traccia del famoso cantiere navale dello “zi Giorgio” “mastro Giorgio” “sig. Giorgio”, a tenere vivo il suo ricordo solo qualche carcassa di vecchie barche in disarmo.
Ciò è dovuto al fatto che per la costruzione delle barche si usa un nuovo materiale la “resina” e anche, perché i nostri governanti non hanno supportato e incentivato tale attività con leggi che proteggessero i prodotti sviluppando una politica Ittica che tenesse conto della freschezza e la salubrità del prodotto.
Allora oggi, anche sulle tavole degli italiani, malgrado la nostra penisola sia circondata da migliaia di chilometri di spiaggia e che a differenza dei grandi Oceani, ha una mitezza climatica che permette una pesca tranquilla e una varietà di fauna marina di specie pregiata, arriva un prodotto surgelato, derivante dalla pesca di alto mare o da allevamento, niente a che vedere con il pesce fresco, tutto ciò in nome del dio “denaro”.
Attualmente il nostro “Giorgio” vive con una misera pensione, quasi nell’indigenza con la moglie invalida, a cui racconta come una nenia il suo passato splendore, anche se lei a causa della sua malattia neanche lo ascolta più.
Negli ultimi anni avendo fatto degli investimenti sbagliati ha dilapidato tutti i suoi guadagni e si è indebitato con le banche e ora anche se vive ancora nella sua casetta in riva al mare a Nizza di Sicilia, ne ha perso la proprietà, e passa parte delle sue giornate seduto sul muretto sul lungomare dove persone appassionati di mare gli chiedono consigli a cui lui risponde con malcelato orgoglio.
Quando mi ha raccontato la sua storia eravamo seduti in riva al mare, in una calda giornata d’autunno, mentre indossava una camicia bianca che faceva risaltare il suo volto eternamente abbronzato dal sole ,preso in un’intera vita, con i capelli oramai bianchi e i suoi occhi sempre azzurri come il mare che mostravano la fierezza di una persona che, anche con i suoi molteplici errori, ha vissuto con pienezza.
E mentre io prendevo appunti lui sciorinava i suoi ricordi, alternando momenti di orgogliosa gioia in cui gli occhi gli brillavano come il sole a momenti di tristezza in cui si riempivano di lacrime e nostalgia.
Quando abbiamo finito in un momento di trance ci siamo abbracciati mentre le lacrime scendevano copiose e sentimenti contrastanti, si agitavano dentro di me, certi volte di ammirazione ma anche di rabbia, frustrazione e impotenza, ma dopo contento mi sono avviato verso casa perché avevo conosciuto una persona che aveva saputo vivere intensamente.