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NEL NOSTRO SUD: SVILUPPO DISTORTO E DISIMPEGNO CIVILE

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Giuseppe Rando2

- di Giuseppe RANDO -

Osservavo, nei pressi di Melilli, in provincia di Siracusa, l’obbrobrio delle fumate di una centrale elettrica accanto ai resti gloriosi della civiltà greca – parti di statue, capitelli, anfore rotte, medaglioni vari, suppellettili ecc. ecc. – disseminati su un prato strettamente attiguo a quella mostruosa matrice di anidride carbonica e tumori. Il bello e il brutto accostati, senza soluzione di continuità, quasi a voler mostrare, in tragica sinossi, gli emblemi di un passato felice e di un presente degradato. A questo punto, mi parve di risentire le avvertenze di Adorno, Horkheimer, Marcuse, Pasolini sullo sviluppo tecnologico che non è sempre progresso. Mi giunse persino l’eco – o mi parve – delle voci di Nietzsche e di Heidegger che mi suggerivano di vedere nella signoria della Tecnica il trionfo del Nichilismo. Ero comunque amareggiato. E venne fuori, a questo punto, prepotentemente, il moralista, che sonnecchia talora sotto la coltre rassicurante dell’arte e della filosofia: «La vedete questa Sicilia, dimentica dei suoi tesori d’arte, delle sue bellezze naturali, dei suoi scrittori, dei suoi pittori, della sua storia, dei suoi prodotti agricoli e/o ittici, ma sempre in cerca di padroni (mafiosi o politici o mafiosi-politici che siano), pur di scippare, alla meno peggio, la giornata»? Andavo per la tangente e lanciavo al vento inutili filippiche: «La vedete Messina,immagine sbiadita di quella che ancora era negli anni Sessanta-Settanta? Senza Birra Messina, senza Aliscafi, senza Sanderson, senza commercio, senza turismo, senza “Irrera Mare”, senza Fiera, senza Bagni Vittoria, senza (panini) Trinca, senza lavoro per i figli, senza futuro, senza proteste. Qualcuno, invero - lo riconosco -, nel mondo politico, nel giornalismo, nell’Università avanza, di tanto in tanto, qualche proposta intelligente, che cade presto, tuttavia, nel silenzio generale, nell’indifferenza dei più». Trascinato dalla passione civile, diventavo incontenibile e, novello Demostene, arringavo in solitudine, davanti a nuvole di fumo nero: «Il silenzio degli intellettuali (professori universitari e no) messinesi è particolarmente deprecabile: tacciono o parlano d’altro, da piccolo-borghesi contenti del poco (o nulla) che hanno rosicchiato o perché credono di vivere nel migliore dei mondi possibili». Oramai, non mi fermava più nessuno: «La raccomandazione, signora d’Italia, impera. E però, crescono i marpioni, i furbi, i ladri, i disonesti, i cialtroni, i somari – e le somare - in cattedra, i professori di Turco che insegnano Francese, i pataccari che fingono di fare ricerche personali. E la vera ricerca scientifica latita. E l’economia italiana resta al palo. E la miseria dilaga. E dilaga la corruzione». Passò un bambino e mi guardò allocchito. Misi le mani in tasca e me ne andai pentito.

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