Di sicuro Bruno Vespa allestendo la puntata di Porta a Porta per lanciare lo sceneggiato su Olivetti , che sarà trasmesso da lunedì 28 ottobre, non pensava minimamente di dar vita ad una trasmissione storica, perché nel suo intento c’era solo l’obiettivo di segnare un momento di pausa alle vicende politiche spostando l’attenzione su terreni frivoli come sono le promozioni televisive dei lavori messi in piedi dalla nostra TV.
Invece si è trovato con un argomento di alto livello nelle mani perché gli ospiti invitati a ricordare e commentare l’epopea di Adriano Olivetti hanno, come si suol dire, disvelato una pezzo di storia che si è tentato di tenere nascosta, quel pezzo che ha distrutto ‘Il sogno italiano’ compromettendo il futuro del nostro Paese. Distruzione che continua anche oggi con le azioni di magistrati, senza alcun senso dello stato; le scorribande dei cosiddetti verdi che lavorano per il re di Prussia; la inconsistenza di classi dirigenti rinunciatarie e non all’altezza, e il ruolo della grande stampa nazionale che ha cambiato la sua ragion d’essere da fiancheggiatrice a soggetto meramente politico.
Vespa pensava ad una puntata leggera tutta orientata ad esaltare gli attori del prossimo sceneggiato, ma son bastate poche battute degli ospiti della trasmissione per capire subito che le cose sarebbero andate diversamente. Soprattutto l’economista Giulio Sapelli e l’amico del vecchio patron Adriano Olivetti, Franco Ferrarotti hanno fatto correre il fiume verso la verità del passato che può farci capire ciò sta avvenendo oggi nel nostro presente e i pericoli che corre la nostra economia.
Con la fine di Enrico Mattei, morto in un discusso ‘incidente d’aereo’, si chiudeva lo scontro con le ‘sette sorelle’ del petrolio; con la messa fuori gioco di Felice Ippolito, arrestato e liberato senza possibilità di rientrare nel ruolo, finiva l’avventura italiana nel nucleare; e con l’improvvisa morte di Adriano Olivetti (mai furono avanzati dubbi sulla trombosi che lo stroncò) crolla il ’sogno italiano’ che il piccolo gruppo aveva creato contendendo la leadership alla IBM nella nascente informatica; e, a completare il quadro, si inserì la distruzione della Biblioteca Olivetti operata dall’ing. Carlo De Benedetti come a sottolineare la necessità di chiudere la storia del capitalismo del fare per battere le praterie del capitalismo della finanza.
Sembrano fatti totalmente scollegati tra loro, ma a leggerli bene e nel contesto dei lustri post bellici, sembrano pezzi di un unico puzzle che danno ragione a Giulio Sapelli quando sostiene che “nella divisione internazionale del mercato del lavoro non c’era posto per le velleità italiane. All’Italia poteva al massimo essere concesso di diventare una potenza industriale di serie B ma non certo di serie A”. Che i soggetti interessati siano cambiati nel corso dei decenni è una certezza, ma è anche una certezza che non sono cambiati gli atteggiamenti anti italiani soprattutto nel Mediterraneo.
L’illusione, malgrado i colpi ricevuti dall’economia italiana, di essere comunque diventati la quarta o quinta potenza industriale del mondo durò poco. Il baldanzoso Bettino Craxi che esaltava quel risultato non aveva fatto i conti con il cinismo delle decisioni inappellabili extranazionali e pagò certamente anche per il suo spingersi a voler una Italia potenza industriale di prima grandezza e senza tutela internazionale. Non calava giù a parecchi il suo attivismo che portò a concreti atteggiamenti positivi, successivamente incrementati da Berlusconi, ma che si tentò di spazzare via con quella ignobile messinscena contrabbandata da ‘primavere arabe’.
La spoliazione del nostro tessuto industriale continua ancora oggi, come continua il rifiuto di prepararsi ai nuovi scenari che il commercio internazionale pone. Simboli di questa realtà sono l’Ilva, fondamentale pilastro per l’acciaio, attaccata con falsi dati sull’inquinamento; la Finmeccanica primo gruppo industriale del Paese nel settore dell’alta tecnologia in materia di difesa, aerospazio e sicurezza; Fastweb gioiello nel campo delle fibre ottiche e dell’informatica; e poi a seguire Eni, Alitalia, Telecom, motonautica e barche che il bocconiano bilderberganiano Mario Monti ha fatto letteralmente fuggire dal nostro paese..
La stessa chiusura sul Ponte sullo Stretto sembra più una scelta antinazionale, e non tanto frutto di cecità politico-economica, se è vero che con il suo blocco si stanno favorendo Spagna e Francia che lavorano alacremente per il progetto FerrMed che è concepito per captare il grosso del traffico container che ammonta già oggi a circa 5 milioni di container al mese mentre si sta raddoppiando la capienza del Canale di Suez. Il Ponte è fondamentale per attivare il corridoio 1 che oggi esiste solo fino a Salerno e non sta servendo il traffico merci.
Il Ponte, non ci si stancherà mai di ripeterlo, provoca la creazione di una piattaforma logistica per smistare questo impetuoso traffico; l’uso di tutti i porti meridionali, e non solo, perché il collegamento Genova-Rotterdam ha una validità e non entra in contrasto col resto del Paese; toglie migliaia di tir dalla strada; potrebbe attivare un impegno di circa 3000 treni al giorno in più (dal Sud al Nord e viceversa) che il sistema logistico deve saper amministrare e canalizzare dato che frutterebbero fior di quattrini alle ferrovie per il costo del trasporto dei container.
Io non so perché chi sta lavorando contro gli interessi del Paese non debba rispondere delle scellerate scelte fatte. Credo quindi che sia giunto il momento di avviare una class action contro chi si è reso responsabile di scelte che stanno massacrando il nostro tessuto industriale o impoverendo la nostra trama infrastrutturale. E’ normale che gli altri lavorino per i propri paesi non è affatto normale che a portare acqua al loro mulino siano stati soggetti interni e con alte responsabilità.
- di Giovanni ALVARO -