- di Mirella Formica -
Monumento insigne di architettura medievale è la piccola chiesa della SS. Annunziata, detta dei Catalani, costruita in epoca normanna tra il 1150 ed il 1200 sulle rovine del l'antico tempio di Nettuno e, probabilmente, di una successiva moschea araba. Essendo situata presso la vecchia fortezza di Castellammare e lambita dal mare ebbe la primitiva denominazione di Santa Maria o Nunziatella di Castellammare.
Nel 1271 ospitò temporaneamente i padri domenicani. Alla fine del XIII secolo, forse a seguito di un terremoto, ne venne arretrata la facciata accorciando così la profondità dell'edificio. Restaurata, fu dapprima Cappella Reale, quindi sede di un ospizio di trovatelli, infine venne ceduta al Senato Messinese. Negli ultimi anni del XV secolo la nazione catalana, vale a dire quel forte gruppo catalano venuto a Messina al seguito di Pietro III d'Aragona, I re di Sicilia, durante le vicende dei Vespri antiangioini, e costituito eminentemente da vassalli, funzionari di corte, militari di carriera e ricchi mercanti, chiese alla Corona spagnola, e lo ottenne, l'uso della Chiesa affinché vi convivessero insieme per le loro divozioni. Da allora fu nota sotto il titolo attuale della SS. Annunziata dei Catalani.
In seguito ad un restauro il sacro edificio fu dotato di opere d'arte. Nel 1497 la Confraternita, costituita dal primo nucleo catalano, commissionava, tramite il suo console del tempo Pietro Ansalone, a tal Giovanni d'Anglia, frate carmelitano, la pala per l'altare maggiore con il tema della SS. Annunziata e S. Eulalia, protettrice di Barcellona e della Catalogna. La tavola venne consegnata nel 1505 e a tutt'oggi si trova al Museo Regionale della città. A1 1534 risale invece la consegna, da parte di Polidoro Caldara da Caravaggio, della grande tavola raffigurante L'andata al Calvario, nota come Lo spasmo della Vergine per il cui trasferimento dalla bottega. del pittore in chiesa si radunò una affollatissima quanto commossa processione, come ricorda il coevo Cola Giacomo d'Alibrando. Dal 1812 questa tavola è presso il Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli. Del 1606 è invece la grande tela di Jos Tomas MonteIla dell'Immacolata, ora al Museo Regionale di Messina.
Verso il 1601 la chiesa ospitò i chierici regolari, i teatini, durante il loro primo insediamento a Messina. Nel tempo, purtroppo, la costruzione originaria venne inglobata in strutture edilizie private che la nascosero quasi del tutto alla vista.
Il terremoto del 1908, determinando il crollo delle superfetazioni, la fece emergere come un gioiello dallo scrigno, pur se danneggiata in parte. I restauri condotti tra il 1926 ed il 1932 sotto la guida dell'architetto palermitano Francesco Valenti ed ancora quelli del 1956 e del 1978-791a riportarono alla sua forma originaria.
Nel 1930 la chiesa dopo i primi lavori di consolidamento venne riaperta al culto. Già dopo il terremoto del 1783, con la distruzione della Chiesa di S. Nicolò all'Arcivescovado, era stata elevata a parrocchia dello stesso titolo. Dal 1992 è gestita dall'Arciconfraternita della SS. Annunziata dei Catalani, che, dopo essere rimasta inoperosa per qualche tempo, è tornata a rivivere con rinnovati programmi ed entusiastica partecipazione alla vita religiosa della diocesi. L'edificio oggi appare a quota più bassa rispetto al livello stradale in conseguenza di sedimentazioni provocate da demolizioni e da interramenti. In realtà la sua struttura originale è emersa dopo il terremoto.
È a pianta basilicale di impronta bizantina con tre navate e tre absidi, sormontato da cupola emisferica. Tale planimetria lo accomuna alle chiese normanne del XII secolo, come la chiesa di Santa Varia della Valle ed il Duomo.
Nel XIII secolo dovette subire profonde trasformazioni allorché le navate furono accorciate, come attestano i resti del muro perimetrale, che risale al periodo aragonese: aragonese, infatti, è lo stemma del portale che, con quelli laterali, conserva caratteri tardo romanici. L' interno ha strutture agili su colonne slanciate che sorreggono archi sollevati da piedritti. Le volte, a botte nella navata centrale, e a crociera in quelle laterali, danno spazialità all'innesto della cupola emisferica impostata su pennacchi sferici a decorazione policroma.
Sul nitido involucro esterno si nota la leggiadra alternanza di pietra bicolore su cui si svolge l'elegante corpo dei loggiati ciechi, ricco di esilissime colonnine, che copre l'abside maggiore e si ripete sul torrino della cupola. Affiancano il dado su cui si imposta la cupola due belle finestre bifore, una per lato, che danno luce ai transetto.
L'orientamento di gusto che marcatamente si evidenzia osservando l'edificio, pare che voglia esprimete l'obiettivo di mettere in valore le superfici dell'involucro esterno della chiesa, superfici predisposte appositamente con concetto unitario, prive di discontinuità, adatte a dar luogo alla stesura di parametri vistosi, addirittura sgargianti, per l'uso simultaneo di almeno quattro varietà di pietre dai colore integro e carico, con la prevalenza delle note scure della lava, tratte dalle oscure calle e riportate alla luce del giorno.
Una tappezzeria di geometria pietrificata, di colori incarnati nella pietra viva., che si schiude in se stessa, con perfetto disegno metrico e si lega ai volumi senza alternarne la cristallina configurazione, creando invece richiami e assonanze fra spartimenti interni e ritmo della decorazione esterna. Sulla superficie curva dell'abside la decorazione si intensifica con un'articolazione più ricca e il rilievo chiaroscurale si alterna agli effetti dei contrasti di colore.
Se dopo aver girato intorno al perimetro della chiesa ci affacciamo all'Interno, di essa, non solo possiamo renderci conto di alcune ragioni di quella conformazione volumetrica esterna, tanto indicativa di un gusto singolare, ma possiamo procedere ad una lettura più intima e chiarificatrice del significato del monumento. Infatti sta proprio nello spazio interno l'intima idea generatrice che ha presieduto alla realizzazione dell'intero organismo architettonico.
L'interno ci colpisce per la nettezza del disegno: siamo in presenza, come prima accennato, di una forma basilicale, o meglio di una sua particolare declinazione, profondamente suggestiva nella sua stesura semplice, nella sua pace raccolta. Una chiesa è ovviamente dipendente da certe imposizioni del culto e vi confluiscono motivazioni storiche e culturali, iconologiche e decorazionali, ma, pur iscritto in quest'ambito, il singolo edificio religioso può acquistare un suo valore specifico, una ragione sua propria.
L'impianto di una chiesa secondo lo schema della basilica non è la celebrazione nostalgica di una tradizione, non scatena di per se stesso l'automatismo di una reazione a catena. Sono gli accenti particolari che determinano la sua individualità. Il contenuto sviluppo in altezza delle navate, che si contrappongono all'ampiezza dominante della nave traversa, è stato un impegno particolare di questa chiesa. Si può notare come nella navata di centro le finestrelle che pacatamente la illuminano sormontino direttamente l'estradosso delle arcate incidenti sui due colonnati che tripartiscono l'aula e che stabiliscono col loro stretto susseguirsi una potenziale direzione di moto verso il punto centrale di proiezione che è l'altare. E su queste aperture è subito l'imposta della copertura semicilindrica della navata. La consecuzione colonne-arcate-finestre-copertura è stretta e rigorosa; essa avviene con distacchi nulli o ridottissimi.
Le massicce arcate murarie dei due colonnati, dal sesto semicircolare rialzato su se stesso per. i piedritti decisamente marcati, gravano su fusti di così fragile disegno che i capitelli danno la sensazione di reggere appena il peso cui sono sottoposti. È in esse uno spirito di schiettezza quasi disadorna che ricorda i primitivi invasi paleocristiani, un senso di spoglia interiorità che pervade tutto il corpo anteriore della chiesa. Quando la navata maggiore sfocia nel presbiterio in cui si celebra il rito, ecco il tono rialzarsi. E l'arco centrale di sbocco, fortemente sottolineato, è il punto in cui la longitudinalità della navata si immette nella centralità del transetto.
Anche con le sue dimensioni, con la ristrettezza delle sue membrature, quest'arco è la cerniera di giunzione dei due registri e dei due spazi; il primo raccolto, di convergenza verso un fulcro, l'altro statica, di timbro forte, alto e luminoso, con funzione di nucleo simbolico della composizione. Sui transetto infatti, sul suo asse rivolto verso est, l'origine della luce, sulla posizione occupata dal celebrante, si erge trionfalmente solitaria e profonda la cupola, attraverso la quale il vettore di moto orizzontale muta perentoriamente la sua direzione puntando verso l'alto.
L'abside centrale col suo ampio incurvarsi dietro l'altare asseconda l'espansione dinamica dello spazio centralizzato, il cui effetto è potentemente accentuato dall'abbondanza di luce solare che le procurano non solo le aperture del tamburo della cupola ma soprattutto le due grandi finestre a bifora - le sole grandi di tutta la chiesa - che si aprono verso occidente, sulle coperture piane delle navate laterali. Sorgenti di luce abbondante, ma che sono nascoste rispetto a chi segue dalla navata le funzioni religiose.
L'individuazione e l'esplorazione della cripta posta naturalmente nel settore absidale di questa chiesa rappresenta senza dubbio un evento di grande valenza culturale. Aggiunge infatti un altro prezioso tassello alla migliore comprensione delle vicende urbanistiche del passato della città cancellate da terremoti, guerre e da picconi demolitori. La struttura sotterranea della chiesa costituisce, tra l'altro, la parte più antica dell'edificio e che, secondo la tradizione, venne edificata sugli avanzi del tempio classico dedicato a Nettuno.
Dopo essere riusciti a sollevare la pesante grata di ghisa posta a pavimento, è stato effettuato un primo sopralluogo dell'ambiente ipogeico, che si presentava sommerso d'acqua dolce per un'altezza di circa 70 centimetri. Per mezzo di una potente pompa d'aspirazione, è stato possibile prosciugare l'ambiente sotterraneo e risalire alla causa dell'allagamento permanente: probabilmente si tratta della falda acquifera dell'antichissimo Pozzo Leone.
La cripta si compone di una camera rettangolare con le dimensioni di m. 2,75 x 3,90, coperta da una volta a botte a sesto ribassato, con altezza massima di m. 2,00. Sulle pareti, ad un'altezza di 43 centimetri dal pavimento, si aprono 14 nicchie modulari ad arco con sedili incassati contenenti i colatoi, dove trovavano posto i defunti. In sostanza, questi venivano denudati e fatti sedere sui colatoi, in posizione stabile assicurata da corde passanti in anelli metallici _laterali. Il morto, così si decomponeva bevendo se stesso, e i relativi liquidi, usciti dagli orifizi anali attraverso i colatoi, che erano vasi in terracotta forati alla base, venivano raccolti e allontanati mediante apposite canalette.
Una volta essiccati e mummificati, i cadaveri venivano rivestiti e deposti nell'adiacente camera mortuaria. Questa, presumibilmente, era ricavata in un vasto ambiente messo in comunicazione con la cripta tramite un corridoio largo 90 centimetri, sviluppatesi sotto la navata centrale della chiesa e che non è stato ispezionato perché ostruito da un muro in pietrame.
Sul rato corto della cripta, ad est è ubicato un altare parallelepipedo dalle linee essenziali, sormontato da una Croce graffita sulla parete, con semplice cornice terminale in lastre di cotto. Nella parete opposta, dalla quale si diparte il corridoio di accesso alla camera mortuaria, sugli stipiti dell'arco sono murate due lastre aggettanti in cotto che servivano da appoggio per i lumi. Il pavimento presenta un sistema costruttivo a grandi lastre di pietra, sul modello dei rivestimenti stradali di epoca romana. I recenti restauri, condotti con abile maestria e grande perizia, hanno senza dubbio restituito splendore a questo gioiello cittadino, riconoscendo il merito all'opera prima dovuta principalmente a maestranze locali che risentivano della cultura latina e di quella bizantina, oltre che di ascendenze arabe.