- di Giuseppe Burgio -
A Palermo non c'ero mai stato, ed avevo vent'anni compititi : Tutte le mie conoscenze turistiche allora si limitavano a Palma Montechiaro e a Ravanusa. Ero stato. anche ad Agrigento,. una sola volta, di corsa e in fretta.
In compenso ero dotto di geografia, appresa nella scuola, Sapevo delle più grandí metropoli del mondo: Londra, New York, Tokio, Mosca, Montevideo, Buenos Aires, Città del Capo, Shanghai; di Parigi e del la torre Eiffel, del Museo del Prado e della Plaza de toros, dell'affascinante Siviglia sulla foce del Guadalquivir!
Fu nell'autunno del '43 che poté finalmente realizzarsi il sogno di visitare una città importante, di vederla con i miei stessi occhi, di ammirarla di presenza. Ero iscritto all'Università di Palermo, nella facoltà di lettere, e dovevo sostenere i primi esami. Fra giorni sarei stato proprio a Palermo, - ne ero sicuro - avevo i soldi del biglietto per i1 viaggio di andata , e ritorno, e gli altri occorrenti per soggiornarvi una ventina di giorni, o anche per mese; il tempo necessario per sostenervi gli esamii di letteratura italiana, di storia contemporanea, di archeologia.
Sapevo già dai libri che Palermo é una gran bella città, con le strade larghe e dritte: Via Rorna, Via Maqueda; sapevo ' dei Quattro Canti di Città e dei Quattro Canti di Campagna, di Corso Tulcory, della via Lincoln, del lungomare e del porto, del viale della Libertà, fiancheggiato di alberi; poi delle sue chiese famose: la Cattedrale con la tornba di Federico II, la Casa Professa, capolavoro dell'architettura barocca, S. Giovanni degli Eremiti, la Martorana, i Cappuccini; infine il Teatro Massimo, Piazza Politeama, la Palazzína Cinese. -
Distante pochi chilometri, Monreale, con la famosa Cattedrale e il Chiostro, gioiello dell'architettura araba.
Ero perciò felicissimo, mi ero preparato anzi tempo le valigie, rileggevo le illustrazioni che avevo: Palermo carica di storia fenicia e greca`di storia araba e normanna , Palermo al tempo della dominazione angioina, Palermo sotto gli Aragonesi... ,
La Conca d'Oro e i giardini lussureggianti, Termini Imerese, Altavilla Milicia, Santa Flavia, Solunto, Bagheria; Monte Pellegrino che si staglia sul Tirreno, il golfo incantevole con il mare azzurrissimo... ...
Già li vedevo come se ci fossi arrivato, come in un delirio mi pareva di essere ul Golfo di Termini, tra i villini e la fitta vegetazione di aranci e di limoni, e , guardavo dalle terrazze ariose di Altavilla, godendomi un panorama suggestivo.
Panormus - dicevo a me stesso – significa tutta porto, nell’ etimologia della língua greca antica. Quindi potrò vedervi i grandi transatlantici, quelli che fanno le rotte degli oceani; potrò vedervi qualche nave portaerei, le petroliere giganti, vere città galleggianti.
Trasmettevo la mia gioia -a tutti, agli amici che incontravo e a tanti altri dicevo che fra 'qualche giorno sarei stato a Palermo, capitale della Sicilia.
E finalmente partii. Di mattina prestissimo, con altri universitari del mio paese, dalla,stazione di Licata, in una calda giornata dei primi di ottobre, in un vagone carro bestiame, stracarico di gente.
In piedi e senza posto, appoggiato allo spigolo di una grossa valigia di legno, ch' era sistentata per tutta la sua altezza, rannicchiato in un angolo , con il respiro limitato. Il vagone carro bestiame era stracarico di gente d'ogni sorta che si portava appresso le cose più impensabili : sacchi di frumento, scatolame, polli vivi, uova, panieri di frutta, bevande per il viaggio. Era difficile spostarsi anche di poco per permettere di scendere in qualche stazione a qualcuno che lo volesse, difficile o addirittura impossibile salire. Un viaggio che mi sembrò lungo e interminabile, fra gente che gridava e imprecava alla guerra e a chi l'aveva voluta, causa di tanta sofferenza, di tanti inutili guai.
Con l'arsura nel corpo e con il respiro grosso, senza aver visto un pizzico di Conca d'Oro e di mare, giungemmo, nel pomeriggio, alla stazione di Palermo. Io stanco e distrutto, i miei amici anche. Avevo le idee confuse. Eravamo esauriti, come -.se fossimo usciti da una impresa -difficile e lunga, provati da una- grande fatica.
Poi - non ricordo come - mi trovai, insieme agli altri, in uno stanzone di un palazzo vicino all'Università, in piazza Ponticello.
Uno stanzone desolante, con i muri ammuffiti, con una porta cadente e che non la si poteva chiudere, con una finestra senza vetri, con dei letti sgangherati.
Ma la stanchezza fu più forte di tutto e mi buttai - vestito com'ero - su una specie di ma terrazzo sopra una branda arrugginita e traballante. I miei amici fecero lo stesso, stanchi e distrutti al pari di me.
Ci svegliammo ch'era tardi, le dieci o le undici di sera, forse per la fame che ci divorava perché nel treno, durante il viaggio, ci era stato impossibile prendere un boccone.
Indignali dell'avventura. 'trascorsa, ma rifattici dalla stanchezza, aprimmo le sporte per dar fondo alle provviste: grosse pagnotte, formaggio, frittate d'uova, .salame, vino rosso, frutta, dolci., Sembrava che non avessimo mangiato da parecchi giorni, tanto fu l'appetito, e tanta la furia nel divorare tutto, quel ben di Dio. .
Allora tornò l'allegria e la conversazione vivace; qualcuno di noi si mise a raccontare barzellette, e propose agli altri di uscire, anche se era la mezzanotte.
E il lungo, infelice viaggio in carro bestiame?
Un’esperienza certamente nuova e molto interessante, che di lì a poco avremmo sicuramente ripetuto, dopo che Palermo, con l'infinità delle sue case e dei suoi palazzi distrutti dai bombardamenti aerei della guerra recentissima, e con le sue macerie fresche, si sarebbe dispiegata tutta ai nostri occhi nella stia realtà più pietosa.
In quelle poche settimane ivi trascorse per sostenervi i primi esarmi , tutto ci fu difficile; finite le provviste che ci eravamo portati appresso, ci arrangiammo alla meno peggio, giorno per giorno gironzolando nella confusione della Vucciría e degli altri mercati per reperire un po’ di cibo da mettere nello stomaco.
Riuscimmo finalmente a sostenere ciascuno i nostri esami, e riprendemmo la via del ritorno, di nuovo in carro bestiame; ingoiai molto fumo, nero e denso che usciva dalla locomotiva, nelle gallerie di Marianopoli e di Caltanissetta Xirbi, e mi sembrava di morire asfissiato.
Fui felice finalmente quando su quella specie di treno, giunsi al mio paese. Anche se non ero riuscito a vedere la' Conca d'Oro con i suoi lussureggianti giardini, né la Cattedrale di Palermo dove dorme Federico II, e neppure il grande porto, con le navi ,i portaerei e i grossi transatlantici, che sono come città galleggianti.