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Martedì, 08 Marzo 2022 16:55

Due prove esplosive

Testimoniare sempre e dovunque, in difesa della verità possibile e contro ogni forma di mistificazione della realtà, costituisce uno dei compiti fondamentali degli intellettuali liberi e democratici. Io, nel mio piccolo, mi ci sono sempre attenuto.

Infatti, di fronte alla recente trasmissione di “Presa diretta” (Rai3), che ha rivelato «al colto e all’inclita» le enormi falle del sistema universitario italiano, non sono caduto «dalle nubi»: da decenni le vado denunciando in libri, articoli giornalistici, conferenze, ma anche, in primisi, col mio comportamento professionale, decisamente antiaccademico.

In quella bella trasmissione, ho tuttavia trovato una conferma ad una mia convinzione più volte ribadita: che il degrado dell’Università italiana non è legato all’attuale – innegabile e deprecabile – involuzione tecnologica e burocratica del sistema, ma ha radici profonde, da rinvenire già nella «prima repubblica», e in ispecie nel ventennio tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quelli che qualche mio illustre collega (magari innamorato, come tutti, della propria giovinezza e forsanche con inconsce punte di narcisismo) mitizza come un paradiso perduto.

Mazzar

Era, invero, palpabile, all’epoca, nonché denunciata dalle punte avanzate dell’intellettualità e della sinistra democratica, l’enorme separatezza, nel Belpaese, degli alti studi accademici dalle esigenze reali dei giovani e della Scienza moderna; separatezza da ricondurre, probabilmente, all’atavica (in Italia) concezione della cultura come potere e privilegio personale (giammai come servizio) da difendere con i denti e tramandare, lungo assi padronali, familiari e/o sentimentali – non sempre meritocratici –, agli “eredi”. È proprio a partire dagli anni Settanta-Ottanta, difatti, che si evidenziò, soprattutto in Sicilia, un divario enorme tra certe, obsolete modalità di reclutamento dei docenti nonché di gestione della ricerca e della didattica nell’Università (con le solite, onorevoli eccezioni) e i cambiamenti, anche radicali, che fermentavano nel cinema, nella letteratura, nel teatro, nelle scienze umane e in ogni ramo della scienza e dell’attività umana: basti pensare alle straordinarie, coeve scoperte scientifiche, di cui erano perlopiù protagonisti ricercatori stranieri (e talora italiani che, però, operavano nelle Università straniere). Per converso, fiorivano, contestualmente, et pour cause, nel Belpaese, accanto a poche Scuole effettive, i baronati, le clientele, i parassitismi, i servilismi, le ricerche farlocche, da un lato, e l’assunzione addomesticata dei docenti attraverso concorsi pilotati dall’alto nonché le pubblicazioni inutili, bellettristiche, mal raffazzonate, se non scopiazzate tout court, dall’altro.

Ma ne ho già parlato, e forsanche troppo, con il chiaro intento, tuttavia, di contribuire allo svelamento di qualche dissimulazione … disonesta e all’affermazione dell’Università del merito e della trasparenza. Perciò mi limiterò a ricordare due episodi di vita, da me vissuta, che sono fortemente indicativi del miserevole status del mondo accademico, tra prima e seconda repubblica.

Partirò dalla risposta che Vitilio Masiello, diede, il 12 marzo del1987, nelle more di un convegno, a me che lamentavo il mio forzato «isolamento di isolano», privo di una vera Scuola accademica alle spalle: «Rando, tu sei capitato tra l’incudine il martello». Ovviamente – decodifico per i “parigini” – «l’incudine» era Resta, preside della Facoltà di Lettere di Messina (presso cui mi ero laureato), e «il martello» era Mazzarino, preside della Facoltà di Magistero di Messina (presso cui insegnavo Letteratura Italiana come professore associato), o viceversa. Mai sentenza fu, invero, più lapidaria e veritiera.

A Masiello, già deputato del PCI, si era rivolto, in verità, qualche mese prima, Mazzarino, già deputato del PLI, per chiedergli, quantomeno come collega politico, il suo appoggio, per me, a un concorso a cattedra, che si annunciava imminente. Al che Masiello aveva risposto: «Meglio che parli con Resta, sai bene che tutto passa da lui» (disse proprio così: «tutto passa da lui», e Mazzarino, viepiù sbalordito, ripeteva spesso questa frase). La stessa risposta, con altre, più velate, parole ebbe Mazzarino da Vittore Branca, che tuttavia gli comunicò il suo «parere altamente positivo» sui miei Tre saggi alfieriani, pubblicati a Roma all’inizio degli anni Ottanta (glieli avevo inviati, qualche mese prima, con ricevuta di ritorno). Ma gli scandagli di Mazzarino col suo «collega locale» (il quale, a giudizio di Petronio, temeva che un ordinario di Letteratura Italiana a Messina, che non fosse suo allievo, ne sminuisse, di fatto, il cosiddetto prestigio baronale) non sortirono alcun effetto.

E, per passare al secondo evento di (mala)vita accademica vissuta, mi si lasci dire, sempre a fini costruttivi, che quel mio primo libro alfieriano, a cui andarono non pochi consensi ufficiali (scritti e pubblicati in volumi e riviste) da parte di Giuseppe Petronio, di Raffaele Spongano, di Sergio Romagnoli, di Arnaldo Di Benedetto (tra i primi), non fu citato, au contraire (in omaggio a chi?), proprio da Vittore Branca, il quale, nel secondo saggio introduttivo a V. ALFIERI, Saul – Filippo, della Bur (1999), che lui stesso presentava – attenzione alle date! – come «il risultato della fusione e della rielaborazione di due studi pubblicati in precedenza in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova 1993 e nella “Revue des Ètudes italiennes”, XXXVIII, 1992»), definisce, a pag. 33, «costituzionalistico» il Panegirico di Plinio a Traiano (che solo io avevo definito cosi più di dieci anni prima) e, a pag. 34, cita Mably, che io – e solo io – avevo presentato agli studiosi più di dieci anni prima, come una delle “fonti” della Tirannide. Chi fu, dunque, in quel caso, il maestro? E chi il maldestro allievo, che ignora il dovere di citare e si macchia così di plagio?

Ora, sappiamo tutti che ci sono altri mali nel mondo: Ma non si potrà negare che fosse orrendo un sistema accademico in cui un “barone” poteva tutto e gli studi «innovativi» (a detta degli esperti) di un giovane associato contavano meno delle ubbie del “barone”. A me, poi, tutto scivolava sulle spalle come pioggia d’aprile: avevo i miei (graditi) impegni familiari di marito e padre fortunato; avevo il mare a Cariddi in estate; c’erano, inoltre, onnipresenti nella mia vita sin da bambino, i miei cari libri, il mio stimolante lavoro di ricerca, le mie gratificanti lezioni. Non mi preoccupavano, quindi, più di tanto – con disappunto, devo dire, di Giuseppe Petronio – le “amenità” del mondo accademico locale, di cui si parlava ridendo nei ritrovi e nelle piazze della città: i «servizi» culinari (e non solo), offerti dagli allievi al maestro-barone, i libri scritti da Caio e pubblicati da Sempronio, le carriere fulminee di certi ignoranti («Ognuno ha portato in cattedra il suo asino», postillava Petronio). E – devo dire – mi è andata pure bene: se il baronaggio ha rubato a me e alla mia Università più di un decennio di ordinariato (con tutto ciò che ne consegue), altri e più catastrofici mali ha prodotto sicuramente altrove. Tuttavia, niente e nessuno mi ha mai impedito – né mi impedirà mai – di denunciare, finché campo, le nefandezze storiche del sistema: lo devo quantomeno ai miei nipoti.

 - di Giuseppe Rando -

Pubblicato in Comunicati stampa

Confcommercio Messina

COMUNICATO STAMPA

Messina 6 marzo 2022 – c’è grande preoccupazione tra gli imprenditori messinesi per l’arrivo dei primi avvisi di pagamento del Canone di occupazione suolo da parte dell’amministrazione comunale. In un atto di indirizzo votato dalla giunta lo scorso 9 gennaio, l’amministrazione De Luca aveva anticipato la ferma volontà di prolungare l’esenzione del pagamento per tutto il 2022, ben oltre la data fissata dal governo, il 31 di marzo. Un provvedimento per il quale ci sarebbe anche la copertura finanziaria nel bilancio previsionale, che però non ha ancora visto il voto in aula. Un allungamento dei tempi che pesa sulle spalle dei pubblici esercizi messinesi che a partire dal prossimo primo di aprile potrebbero vedere la demolizione dei dehors e la revoca della concessione di occupazione suolo, in caso di mancato pagamento. Un provvedimento inammissibile che metterebbe in ginocchio un settore già fortemente penalizzato dalla recessione prima e dalla pandemia dopo. Un provvedimento contro il quale compatte reagiscono le associazioni, che si dicono pronte a collaborare con Palazzo Zanca per trovare nel più breve tempo possibile una soluzione che comunque permetta agli operatori di settore di poter continuare in serenità a svolgere la propria attività, specie in vista dell’apertura della prossima stagione.

DI SEGUITO LE DICHIARAZIONI DEI RAPPRESENTANTI DELLE SIGLE COINVOLTE

Carmelo Picciotto, presidente di Confcommercio - “C’è grande allarme da parte dei commercianti per questo pasticcio che viene fuori dalla confusione amministrativa generata da un lato da un atto di indirizzo che prevede la sospensione dei pagamenti per il 2022 e che ne prevede copertura finanziaria nel previsionale, e dall’altro la riattivazione del recupero dei crediti a partire dal primo di aprile. Il grande timore è quello

di non riuscire ad affrontare la stagione con la paura inoltre di vedere smantellato ciò che è stato realizzato con fatica in questi mesi in cui i dehors hanno costituito spesso l’unico modo per poter ricevere i clienti nel rispetto delle normative anticovid. Ci attiveremo per la soluzione del problema, sollecitando da una parte il consiglio comunale a votare il bilancio previsionale, all’interno del quale sono previste le somme a copertura del provvedimento di esenzione, dall’altro spingendo affinché il regolamento di regolarità contributiva non diventi una enorme mannaia per i commercianti, impedendo loro di continuare a fare il loro lavoro. Se gli imprenditori non sono messi nelle condizioni di svolgere la propria attività, infatti, non saranno neanche in condizioni di pagare i loro debiti. In un momento in cui le banche non danno credito con facilità, mentre gli usurai sono pronti dietro l’angolo ad offrire il cappio, bisogna assolutamente muoversi con prudenza e tempestività.

Luigi Spignolo, UPLA CLAAI - Le associazioni datoriali avevano dato credito all’atto di indirizzo formulato dalla giunta il 9 gennaio, certi anche delle coperture finanziaria. Oggi, che quella amministrazione non c’è più, ci troviamo spiazzati davanti ad un provvedimento che impone dal 1 aprile la regolarizzazione delle somme pena la revoca della concessione suolo. Un provvedimento del genere non può passare così in maniera unilaterale, è necessario che venga convocato un tavolo con tutti i soggetti coinvolti perché si trovi al più presto una soluzione condivisa.

Lino Santoro, PMI - Spero in un immediato intervento del presidente del Consiglio e dei consiglieri (di chi la colpa sia non mi riguarda. Ricordo che noi gestori di ristoranti e bar, ci troviamo ad affrontare periodi di profonda crisi, e che di questo passo ci ritroveremo costretti a chiedere soldi ad usura per ottemperare alle nostre scadenze. E’ impensabile che dopo il 2019 a seguito della pandemia i nostri Durc e le tasse comunali possano essere in regola visto che le banche non danno credito e lo Stato ci ha buggerato solo 7 mesi con il credito d'imposta.

Danny Anna, ALCES - E’ il momento che le istituzioni ci diano veramente una mano, che non significa non pagare le tasse che è giusto che tutti paghino, ma dobbiamo avere il tempo di rimetterci in sesto. Le aziende ormai sono tutte al tappeto. Se viene applicata una politica di repressione le possiamo chiudere tutte, se invece cerchiamo di venirci incontro con le rateizzazioni e con la dilazione delle scadenze, spettando magari la sospensione dei provvedimenti anticovid che penalizzano fortemente le nostre attività.

Gino Sciotto, FAPI CESAC - Non si può richiedere proprio adesso il pagamento del canone di occupazione suolo pubblico per i tavolini all'aperto di bar e ristoranti. È necessario sostenere convintamente la ripresa economica delle attività di somministrazione di cibi e bevande, perché il Covid-19 ha messo a dura prova questi esercizi con lunghi mesi di chiusura. Attendiamo che già nelle prossime ore arrivi un provvedimento da parte dell'Amministrazione comunale di Messina volta ad esentare il pagamento degli spazi esterni di bar e ristoranti fino alla fine dell'anno, così come prevede l’atto di indirizzo votato dalla giunta De Luca lo scorso 9 gennaio.

Salvo Lando, SADA CASA – Se alziamo un muro davanti agli operatori della nostra città, se gli sbarriamo la strada con provvedimenti di tale portata e tale impatto, il settore non riuscirà mai a riprendersi. Vogliamo collaborare con il Comune, nell’interesse di tutti, e della città in primis, ma dobbiamo mettere al sicuro la prossima stagione e consentire agli imprenditori di continuare a svolgere il proprio lavoro.



Pubblicato in Comunicati stampa

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