Login to your account

Username *
Password *
Remember Me
rfodale

rfodale

 

Sono doni ignoti ai cialtroni, ai borghesi piccoli piccoli, agli affaristi, agli opportunisti, ai carrieristi, ai professori incompetenti; ai ricercatori plagiatori, agli uomini di potere, ai prevaricatori, ai furbi, alle veline, ai tronisti, ai praticoni, agli edonisti compiaciuti, ai relativisti assoluti, ai mafiosi, ai violenti di ogni ordine e grado …

Scusandomi con i generosi lettori, faccio stavolta un uso strettamente personale del blog, per dar fiato immediatamente alla gioia grande, che mi assale in questa tarda mattinata del 5 gennaio 2015: se fossi un poeta lirico scriverei una limpida poesia (traducendo la gioia in musica, metri secchi e parole nuove); se fossi un diarista abituale, o uno psicologo, o un sociologo o un filosofo vedrei di individuare la genesi, le modalità e gli effetti di questa gioia; ma sono solo un professore – magari atipico – di una (già) grande Università di provincia, epperò ricorro al blog, stravolgendone forse la funzione primaria, che dovrebbe essere sociale e, certamente, non solipsistica.

Non voglio nemmeno chiedermi se non sia contaminata da autocompiacimento, e quindi da narcisismo, questa gioia: c’è; l’ho comunicata subito alla mia Rosellina, e ho una grande voglia di trasmetterla agli amici, alle persone care (che non sono poche), ma anche ai nemici (malgré moi) e perfino a chi non conosco e a chi non mi conosce: l’amore, come forma tipicamente umana di conoscenza esperita o esperibile, non è mai limitato.

Si è che ho avuto, nella stessa mattinata, per due volte di seguito, con un brevissimo intervallo di tempo tra l’una e l’altra volta, la netta, esaltante sensazione di essere riamato, ma anche stimato come uomo, prima che come intellettuale.

Come dire che due persone mi hanno dimostrato con l’attestato del loro puro ricordo, con un semplice dono, scevro da interessi venali, che non siamo soli, che il nostro impegno culturale, umano, politico, sociale, religioso che sia, non cade sempre nel vuoto: che si possono conservare nel tempo e rafforzare addirittura i sentimenti di stima, di amicizia, di solidarietà, di affetto che ci è stato concesso di esprimere, di evidenziare, di suscitare con i nostri comportamenti, con qualche tratto luminoso – tra tanto buio – della nostra vita, del nostro carattere: oltre la dura barriera, comunque, dell’incomunicabilità e dell’ermeneutica.

Nel primo caso un amico calabrese, il dottor Carmelo Iacopino, emigrato in gioventù, con un sudato diploma di ragioniere in tasca, nel piovoso Piemonte e divenuto un uomo autorevole e stimato nella sua città d’adozione per i suoi grandi meriti professionali e per i risvolti sociali del suo impegno, mi ha fatto gli auguri di buon anno, come noi meridionali sappiamo fare, azzerando gli steccati del tempo e dello spazio (ci siamo visti dieci anni fa: io relatore a un Convegno Nazionale su Corrado Alvaro; lui e i suoi autorevoli amici calabresi, divenuti classe dirigente in quel freddo comune piemontese, promotori entusiasti del Convegno) e dichiarando di essere ancora legato al ricordo di quel lontano evento e di me che restituivo – dice –«il calore dei sentimenti eterni della sua terra». Atto, questo suo, più gratificante, invero, e commovente di un qualsiasi, anche prestigioso, premio accademico. Certo, per quanto inverosimile possa sembrare oggi in questo mondo di ladri, di cialtroni, di nani e ballerine, due uomini sulle soglie della vecchiaia, alimentano, di Natale in Natale, la reciproca stima e simpatia, scambiandosi auguri amicali e doni familiari: testimoni, invero attendibili, di un tempo, che sembra oramai definitivamente perduto, in cui, partendo dal nulla, si poteva, con la forza del proprio impegno e con l’aiuto di Dio, salire la scala sociale realizzandosi e rendendosi utili agli altri. Senza dimenticare né giammai rinnegare le comuni origini popolari (un padre emigrante, lui; un padre pescatore dello Stretto, io) e attualizzandone semmai i valori.

Nel secondo caso, la lettera dolcissima senza sdolcinature della mia carissima Maria Scarfì Cirone (che si firma «di mamma Angela Rando»), poetessa di sicura e limpida voce, autrice – in Albisola sua seconda patria – di libri indimenticabili, mi comunica che un film suo e del compianto marito Pino Cirone, amatissimo in vita e in morte, sarà proiettato il 20 c. m. al Priamar, «antica fortezza savonese», sulle cui solidissime mura «il nome di Pino» brilla già «a caratteri cubitali» accanto al suo. Alla bella lettera, Maria associa una sua bellissima foto, scattata a La Spezia in occasione della presentazione del suo Libro di vetro, e il dono, davvero straordinario, di una sua lirica autografa Bet Lèmme, che è una delle più nitide rievocazioni della Notte Santa ch’io conosca: c’è la stalla / odorosa di fieno, ove posò / Maria, / avvolta d’ombra / pudica, e vi si percepisce il battito forte delcuore di Giuseppe / quando sentì, / come annunciato / dai Profeti, quel vagito. Poesia. Vera poesia. Che ci unisce, anche per imperscrutabili vie genetiche: da dieci anni, ma da sempre e per sempre.

Ho toccato stamattina (senza retorica) il cielo con un dito.

 

Professore, ci aiuti a capire: c’è o non c’è rapporto tra l’attuale fase di declino dell’Università italiana (documentata da tutte le graduatorie nazionali e internazionali) e il progressivo familismo, nepotismo, clientelismo che ne invade le strutture, come evidenzia anche il sitocercauniversita.cineca.it., e come si apprende dai giornali un giorno sì e l’altro pure?

Sì, c’è. L’Università è, notoriamente, una delle grandi malate della nostra nazione: non si può coprire il sole con un dito per malinteso amor di patria o di campanile. Ma bisogna distinguere: c’è ancora oggi un’Università sana, seria, impegnata, attiva. Anche qui, a Messina. Dobbiamo tutti lottare contro l’Università del nepotismo, del pressappochismo culturale, del provincialismo miope, del clientelismo, del facilismo concorsuale, che grava, come un inutile barraccone, sulle spalle del contribuente: serve solo «a portare in cattedra somari e somare», come diceva Giuseppe Petronio, «per diritto ereditario o per meriti di letto e di servizio (servitù n.d.r.)».

Per restare a Messina, si direbbe che il nostro Ateneo, non goda di buona salute sul terreno scientifico e professionale: negli ultimi trent’anni, si contano sulle dita di una mano gli studiosi la cui fama ha oltrepassato i confini dello Stretto.

Abbiamo l’obbligo di guardare in faccia la realtà: le illusioni sono dei bambini e dei mistificatori. In effetti, dopo la generazione postbellica dei Pugliatti, dei Falzea, dei Panuccio, dei Mazzarino (per citare i primi nomi che vengono alla memoria), la pianta sembra essersi inaridita. Frutti buoni ancora se ne raccolgono, ma sempre meno. Certo, la desertificazione non è solo locale e le cause sono molteplici. L’Università di Messina, poi, non è fuori del mondo: non è, né può essere, immune dai difetti obiettivi, storici del territorio su cui gravita: mentalità clientelare, assistenziale; menefreghismo (minnifuttu), mancanza di imprenditorialità, di posti di lavoro, di una vera, degna classe dirigente. Epperò, la riforma dell’Università fa tutt’uno con la riforma della società e della politica messinese nel suo complesso: Messina o si salva tutta (ma non con i metodi, le politiche d’antan) o si perde tutta, definitivamente. La stampa può e deve appoggiare questo tentativo: la città e l’Università hanno bisogno di un salutare scossone. Messina potrebbe, invero, diventare (o ridiventare), per la sua stessa posizione geografica, una sorta di cerniera internazionale, tra continenti diversi, con grande vantaggio della ricerca, dell’economia, del lavoro e dei giovani, soprattutto, che qui, stando così le cose, o scoppiano o scappano.

 

Pensa che la recente riforma universitaria abbia mutato la gestione di quest’istituzione in meglio o in peggio?

 

Ci sono tutti e due gli aspetti. L’autonomia, per esempio, vero perno della riforma, ha consentito una maggiore considerazione delle realtà locali e delle nuove professioni, ma, ampliando a dismisura i corsi di laurea e le materie d’insegnamento, ha spesso prodotto insegnanti improvvisati (e raccomandati), che non hanno – ovviamente – insegnato niente a nessuno, nonché enormi sperperi di tempo, di risorse e d’intelligenze: non pochi giovani ricercatori, oppressi da forti carichi didattici, non hanno più fatto ricerca. Per non dire della divaricazione netta tra la gestione dell’Università e la ricerca scientifica. Nel senso che un professore non può più fare ambedue le cose. Perciò, chi si dedica a una delle tante attività gestionali non fa, di norma, altro. C’è, però, qualcosa di buono nella riforma: per esempio, la fine delle Facoltà, che erano diventate una gabbia, una camicia di Nesso, per la ricerca e la didattica, nonché un inutile, anche oneroso (economicamente) doppione. Ma la riforma dipartimentale rischia di diventare una riforma a metà, se non si passa alla creazione di “Scuole” tra Dipartimenti omogenei, come suggerisce la riforma, per evitare che i Dipartimenti divengano monocrazie parcellizzate e ugualmente costose. Va anche nel senso giusto, in teoria, la Valutazione della Ricerca. È pure preferibile, almeno sulla carta, il nuovo sistema di reclutamento dei docenti, ma il migliore, tra quelli finora sperimentati, resta il sistema anglosassone: vedi ROARS. Non si dimentichi, infine, che un colpo mortale potrebbe avere inferto all’Università la politica dei tagli governativi alla ricerca. Si può, dunque, sperare. Si deve lottare. Ma non c’è da stare allegri.

 

Non dovrebbero farsi sentire di più i professori preparati come lei che, con i suoi studi «innovativi», pare abbia rivoluzionato la critica alfieriana? Sembra che i bravi si defilino, rassegnandosi allo status quo e divenendo praticamente complici del degrado.

Ci sono tanti professori preparati a Messina. Io faccio quello che posso e non vorrei fare la figura del grillo parlante. Dirò, per conforto dei giovani capaci e sprotetti, che non ho mai portato la borsa ad alcuno e che sono diventato professore ordinario di Letteratura Italiana, pur non avendo un “maestro” alle spalle – a Messina non c’era, ai miei tempi, una Scuola di Letteratura Italiana – e nonostante gli impedimenti locali. Epperò credo che solo lo spirito di Colapesce, che condivido con tutti gli uomini di mare, mi ha consentito di portare a compimento l’impresa alfieriana cui lei accennava. Io ho patito il clientelismo vecchio e nuovo: ne conosco i malefici effetti. Comunque, il sistema baronale langue e io, toccando ferro, sono vivo.

 

Se un giovane capace volesse oggi intraprendere la carriera universitaria, che cosa si sentirebbe di consigliargli, magari per evitare di ripetere degli errori che spesso vengono commessi?

 

Che sia libero e difenda la sua libertà-dignità; che sia spinto da un forte desiderio di sapere e di portare un poco di ordine nel caos dell’universo: in ciò consiste la vocazione alla ricerca. E che scelga soprattutto un vero maestro, cioè un professore che ha fatto fare un passo in avanti alla sua disciplina. I professori universitari, soprattutto ordinari, che non hanno modificato nemmeno di una virgola la loro disciplina, magari fanno i professori universitari, ma non lo sono.

 Devo dire che diffido, di norma, delle impressioni, forti o deboli che siano, e dei giudizi basati solo sulle impressioni: ho peraltro dedicato buona parte del mio impegno didattico e della mia attività di critico letterario alla lotta contro l’impressionismo di certa critica militante e di certa critica accademica anche.

Ma devo riconoscere che la mia assidua frequentazione dell’opera poetica di Maria Luisa Spaziani fu propiziata dalla fortissima impressione che provai, quando ebbi la fortuna di incontrala, nel 1971, a Messina: io professorino, fresco vincitore di un concorso a cattedra di Italiano, Latino e Greco nei Licei; lei professoressa di Lettere nel famoso Istituto Magistrale “Ainis” di questa città.

Parlammo – io timidissimo, lei divertita – del mio concorso: cercavo di comunicarle, non senza una punta d’ingenuo orgoglio, che l’avevo vinto, pur venendo dal mare, dalle barche del Faro, senza raccomandazioni di sorta. «Oh!, un professore pescatore» – disse – «Non fuma pipe portoricane, ma ha dell’hidalgo: segua pure le stelle».

Mi colpirono – e molto mi colpirono, invero – il tono musicalissimo della voce, l’italiano che suonava bellissimo sulle sue labbra, l’ironia finissima del discorso: «Parla in musica», pensai. Lo pensai, e lo penso ancora, come, fatte le proporzioni, De Sanctis sospettava che Ariosto parlasse in ottave. Il passaggio dal parlare in musica al celebrato «canto» (si pensi a Paladino) della sua poesia fu, invero, automatico.

Ebbi pure l’immediata percezione della straripante umanità della Spaziani, che mi parve donna serena, gioiosa e tuttavia avvertita delle contraddizioni dell’esistenza.

Vent’anni dopo, in un convegno nazionale, organizzato da Antonio Mazzarino, indimenticato preside della gloriosa Facoltà di Magistero dell’Università di Messina, in occasione del congedo della Spaziani stessa, portai una mia relazione sulla sua poesia, che prendeva le mosse dalla silloge messinese Il mio Sud, (Il Gabbiano, 1989), dove quelle mie giovanili impressioni trovavano una netta conferma, nei modi “scientifici” dell’analisi del testo. Leggo, scusandomi per l’autocitazione:

«Il Sud appare fissato in quattro figure principali, nella produzione poetica “meridionale” della Spaziani: a) come eco, traccia intuita o vagheggiata dei primordi; b) come luogo della contraddizione (Dicono i marinai); c) come refrigerante pausa del male di vivere; d) come mito, rimemorato e rimpianto, della fraternità degli esuli, dei pellegrini. Tale metaforizzazione del Sud non costituisce, però, l’approdo ultimo della poesia, bensì uno dei veli sotto cui si cela la visione del mondo (e l’io più segreto) della Spaziani».

Uscendo, nel pomeriggio, c’incontrammo sulle scale, mi guardò benevola e sorridendomi disse: «L’hidalgo vede bene».

Il complimento solleticò il mio amor proprio più della vittoria al concorso a cattedra.

UNA PREMESSA

Nov 27, 2024

 

Giuseppe MESSINA, Apologia di un profeta. Nel quarantennale dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini, Movimento per la Divulgazione culturale, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), 2015.

Lo scultore barcellonese Giuseppe Messina, peritissimo nell’arte del marmo e non digiuno di esperienze letterarie, dedica a Pier Paolo Pasolini, nel quarantesimo anniversario della sua morte cruenta, un polimetro di sbalorditiva pregnanza conoscitiva e di inusitata – benché talora incondita – potenza espressiva.

Non mancano, in verità, durezze metriche, soprattutto nei versi rimati di più tradizionale fattura, nei quali si avverte, senza meno, il peso della scuola. Ma quando si abbandona al verso libero, Messina riesce a sfiorare le corde misteriose della poesia, a suscitare pensieri e a trasmettere emozioni.

E però, magari a dispetto di certi critici bellettristi col naso all’insù, non ci è parso giusto distogliere il poeta dal suo bisogno espressivo (o magari rinviare a tempi migliori la pubblicazione della sua opera, dopo le revisioni d’obbligo).

Si tratta, per dirla in breve, di una sorta di epos generazionale, che ritesse, tra rimpianto, delusione e speranza, la vita e gli insegnamenti del grande poeta di Casarsa, ripercorrendone i tratti salienti: vi si potrà riconoscere la generazione postbellica che, negli anni Sessanta, si aprì, anche attraverso gli scritti e i film di Pasolini, alla vita politica e culturale, coltivando il «sogno di una cosa» da conseguire, contro l’ipocrisia borghese e il neofascismo democristiano-capitalistico, col recupero dei valori eterni dell’uomo.

Anche i giovani (i figli e i nipoti), per i quali l’opera è pensata, troveranno giovamento dalla lettura di questa originale apologia di Pasolini, profeta eccezionale e inascoltato dei nostri amari tempi.

 

Si parla di crisi del ruolo paterno nell’accidentato mondo contemporaneo e si tende a spiegare l’avvilimento dei figli come conseguenza del fallimento dei padri: scomparirebbe, dai nostri orizzonti, il padre tout court (non solo ilpadrepadrone, della civiltà contadina), come garante dei valori eterni dell’uomo e assertore del «principio di realtà». Quanto dire: figli senza padri, società senza valori.

Ma, nell’Italia avvilita di oggi, ci sono ancora – vivaddio – padri che non si nascondono dietro le cortine fumogene del permissivismo e del nichilismo, ma stanno lì, risoluti, per ricordare ai figli (e a tutti i giovani), magari con l’esempio concreto della propria vita, che lottando, anche a costo di duri sacrifici, si può vincere – si vince, di fatto – senza cedere alle sirene dell’illegalità e dell’immoralità dilaganti nella società.

Giovanni Giannattasio è uno di questi padri: partito dagli stenti del mondo contadino dell’Italia postbellica, dalle chiese e dagli oratori dei paesi di campagna, ha studiato (contro il parere e le obiettive difficoltà economiche dei genitori), realizzandosi come uomo e come maresciallo dei carabinieri, senza derogare dai principi di onestà, di amore e di fratellanza, che la famiglia e la religione cattolica gli hanno inculcato.

La sua Storia di un carabiniere si legge, difatti, come un limpido Bildungsroman(romanzo di formazione) costruito intorno ai tre pilastri della religione, della famiglia e dello Stato, di cui l’Arma (dei Carabinieri) appare espressione esemplare.

Spiccano nel racconto alcuni fatti, particolarmente significativi: il rapporto di rigore, ma anche di umana considerazione, del Maresciallo con i delinquenti (e persino con qualche mafioso); gli attestati di stima dei cittadini e delle superiori autorità nei suoi confronti; l’apparizione, in due occasioni, di strani fenomeni celesti, che fanno pensare agli Ufo; la simpatia e l’intelligenza di Sally, «un cucciolotto di pastore tedesco», che collabora con i carabinieri; la lotta contro la droga; la promozione del Maresciallo alla DIA e la sua nostalgia dell’Arma; il suo rientro definitivo nell’Arma; la bellezza e l’armonia – non senza contrasti – della vita familiare e della vita militare.

La scrittura è secca come quella di un diario, senza inutili belletti ornamentali. Il periodare è preferibilmente paratattico, con periodi brevi, immune dalle sciatterie di certo burocratismo, e tuttavia non privo, a tratti, di esplicite bellezze formali: resta impresso nella memoria, per esempio, il brano in cui Giannattasio rievoca la morte della madre, ch’egli rivede morta «nel suo letto con un sorriso bellissimo» (p. 197). Talché il libro, la sua elaborazione, la sua pubblicazione sono forse il primo attestato del successo di un uomo onesto che, nel ripercorrere la storia della sua vita con punte di giusto orgoglio, ma senza eccessi egotistici, esce dall’anonimato, tracciando un succoso profilo della «nuova« Arma («lavoriamo per la gente») e gettando, parimenti, squarci di luce su aspetti peculiari della lotta alla malavita nostrana (la camorra, la mafia, la ‘ndrangheta).

Non è, obiettivamente, poco. Onore al merito.

 

Mi permetto di sottoporre all’attenzione dei lettori, alla maniera di Fazio e Saviano, due elenchi sinottici e antitetici: uno, col titolo montaliano Non sono, e uno col titolo vagamente narcisistico Sono (o almeno credo di essere). D’altra parte, in casi estremi, l’autostima può essere un innocuo, autoironico mezzo di sopravvivenza: «Se non mi vanti tu, mi vanto io» (antico proverbio calabrese).

Poiché il blog non accetta la scansione in liste separate, disporrò gli enunciati dei due elenchi sullo stesso piano, ripetendo, purtroppo, fino alla nausea, Sono e Non sono (elimino, per non infierire, la formula o almeno credo di essere: la si dia per scontata).

Non sono figlio di papà. Sono figlio di un uomo di mare. Non sono ateo. Sono cristiano cattolico. Non sono fascista. Sono democratico. Non sono comunista. Sono democratico. Non sono professore universitario per … grazia ricevuta. Sono professore ordinario per concorso. Non sono un professore ignorante. Sono un professore competente Non sono un retore. Sono uno scrittore limpido. Non sono uno studioso sconosciuto. Sono uno studioso citato. Non sono Preside. Sono (stato) Direttore di Dipartimento. Non sono membro di cricche accademiche. Sono un libero … ricercatore. Non sono membro di cricche economiche. Sono un professore universitario e un critico letterario. Non sono membro di cricche politiche. Sono un intellettuale disorganico. Non sono membro di cricche religiose. Sono un cristiano adulto. Non sono padre di docenti universitari. Sono padre di un professore di liceo e di un avvocato. Non sono padre di impiegati universitari. Sono padre di un professore di liceo e di un avvocato. Non sono marito di una docente universitaria. Sono marito di una professoressa di scuola secondaria di primo grado. Non sono marito di una impiegata universitaria. Sono marito di una professoressa di scuola secondaria di primo grado. Non sono discesista. Sono scalatore. Non sono tirchio. Sono generoso. Non sono uno che ama il dolce. Sono uno che ama l’amaro. Non sono uno che ama la quiete. Sono uno che ama il rischio. Non sono uno che va piano. Sono uno che ama la guida veloce. Non sono uno che ha attraversato la vita in carrozza. Sono uno che ha attraversato il mare sugli zoccoli. Non sono reticente. Sono estroverso. Non sono rassegnato. Sono entusiasta. Non sono furbo. Sono autentico (e un poco ingenuo). Non sono egoista. Sono solidale. Non sono malevolo. Sono rispettoso. Non sono disonesto. Sono onesto. Non sono perfetto. Sono imperfetto. Non sono senza difetti. Sono carico di difetti. Non sono un padreterno. Sono un uomo. (continua) (2009)

PERCHE’

Nov 27, 2024

 

Qualcuno mi chiede perché «ce l’ho tanto con l’Università». Rispondo una tantum. Io non ce l’ho affatto con l’Università: «ce l’ho» casomai con i nemici dell’Università, con coloro che stanno affossando l’Università statale in Italia: non tanto i politici (che ora credono di salvare l’Università, burocratizzandola) quanto i professori e i dirigenti – sempre troppi anche quando fossero pochi – che non seguono la retta via della ricerca scientifica e della meritocrazia.

La mia è, in fondo, la denuncia propositiva, costruttiva, che di norma un intellettuale democratico di una nazione civile fa – o dovrebbe fare –, dei difetti, delle ingiustizie, delle inadempienze dello Stato o di settori dello Stato, con l’unico intento di contribuire alla loro eliminazione. «Con quale diritto?» – mi si chiede. E io da sempre rispondo:«Con l’unico diritto di chi ha visto e non ha chiuso gli occhi. Col diritto-dovere del testimone attivo, non reticente».

Al di qua e al di là dello Stretto, io ho visto invero, e talora ho patito sulla mia pelle, opponendomi come ho potuto, i misfatti, magari penalmente non perseguibili, ma misfatti tuttavia, che si perpetrano, con nonchalance, nel mondo accademico, contro la Scienza e la dignità umana. Affidando, però, i patimenti personali ad altro tempo e luogo, dirò, d’ora in avanti, sinteticamente, con linguaggio giornalistico, il più asciutto possibile, ma senza indulgenza alcuna, quello che ho visto: sunt lacrimae rerum.

Io ho visto:

•             asine e asini conclamati salire in cattedra;

•             studiosi degnissimi restare ai nastri dipartenza o fermarsi a metà strada;

•             giovani laureati/e “sprotetti/e” e dotati/e di vero istinto di ricerca emigrare in cerca di lavoro;

•             mediocri laureati/e protetti/e intraprendere, senza meno, la nobile [?] carriera universitaria;

•             allieve e allievi indipendenti (di baroni), ridotti alla frustrazione, all’avvilimento, alla nevrosi, alla malattia o, peggio, all’assuefazione;

•             allieve e allievi servizievoli (di baroni) trasformati, in un batter d’occhio, da studiosi di turco in professori di sanscrito e portati in cattedra, magari al posto dei veri professori di sanscrito;

•             la cialtroneria, il carrierismo, l’affarismo, il clientelismo, il familismo dilagare e perdere, per converso, terreno la ricerca scientifica.

E qua mi fermo, per sottrarmi, oggi, alla nausea montante. Non prima, però, di avere respinto la presunta giustificazione dei “benpensanti”, integrati nel sistema: « Siamo uomini. Il paradiso non è in terra. La verità non esiste: sono punti di vista [Ahi!, l’Ermeneutica]. Certe cose sono inevitabili: per fare un professore universitario sono necessari gli esperti, i quali, qualche volta, antepongono il loro interesse – o quello del loro gruppo – a quello (astratto!!!) della Scienza. Non è poi la fine del mondo».

Ma non vedono, costoro, – verrebbe fatto di gridare – il tormento dei meritevoli costretti ad emigrare? Non vedono la delusione degli studenti desiderosi di sapere? Non vedono i danni causati da ricercatori inadeguati all’economia nazionale, alla formazione dei giovani professionisti, allo sviluppo normale della ricerca?

Che la giustificazione non regga è dimostrato, peraltro, dal fatto che quei difetti, accettati come normali nell’Università statale italiana, sono – a quel che si vede e si legge – eccezionali nelle Università statali degli altri paesi europei. Quanto dire che la condition humaine non c’entra affatto; c’entra, semmai, la mentalità mafiosa, cioè l’arretratezza politica e culturale del nostro amato e grande, per altri versi, Paese.

Ben vengano, dunque, tutte le riforme del mondo, per debellare il malcostume accademico. Ma si consideri pure che siamo noi “sbagliati”, non le strutture. Bisogna cambiare.

Scritto in collina il 5 luglio 2013

Giuseppe Rando

 

E' stato professore ordinario di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Scienze della Formazione e presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (ex Facoltà di Lettere e Filosofia) dell’Università degli Studi di Messina, dove, sorretto dallo spirito di Colapesce che condivide con gli uomini di mare dello Stretto, ha percorso tutte le tappe della carriera accademica, ricoprendo anche le cariche di coordinatore di corso di laurea e di direttore di Dipartimento. E’ membro del Comitato Scientifico della Fondazione Corrado Alvaro e del Comitato Nazionale per l’Edizione dell’Opera Omnia di Federico De Roberto. Fa parte del Comitato Scientifico della rivista “Terzo Millennio”. È componente del Comitato Scientifico del CIS (Centro Internazionale Scrittori della Calabria) in qualità di responsabile della sezione di Italianistica. Dirige le collane Otto-Novecento Siciliano presso EDAS (Messina), Il Ponte presso Falzea Editore (Reggio Calabria), L’Arco presso Pellegrini Editore (Cosenza).

 

Laureato in Lettere Classiche col massimo dei voti e la lode presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Messina, assistente di ruolo e quindi professore associato di Lingua e Letteratura Italiana presso la Facoltà di Magistero della stessa Università, svolgeva dapprima studi e ricerche su Alfieri “politico” e “comico”, rilevando, in ispecie, l’incidenza delle tesi elaborate dai costituzionalisti francesi della seconda metà del Settecento sulla seconda redazione della Tirannide: tali studi confluirono nel volume dal titolo anodino di Tre saggi alfieriani, pubblicato a Roma, presso Herder, nel 1982, cui andarono i consensi della critica (e, in particolare, di Giuseppe Petronio, che lo accolse nella sua Antologia della critica letteraria, Bari, Laterza, 1986, di Spongano che ne pubblicò una vasta, dettagliata recensione in «Studi e problemi di critica testuale», 28, 1984, di Romagnoli, che lo citò nella sua edizione sansoniana delle Tragedie). Il libro faceva giustizia, fra l’altro, del luogo comune - del tutto antistorico - dello «sradicamento», spostando sul piano filologico il dibattito intorno all’ideologia politica dell’Astigiano (che è storicamente post-illuminista) e dimostrando, sulla base di inequivocabili riscontri testuali, la matrice progressiva e costituzionalistica del pensiero politico del grande tragediografo.

 

Nel 1984 pubblicava un saggio sull’elaborazione di Gente in Aspromonte dove, muovendosi su terreni inesplorati, individuava alcuni racconti pubblicati da Alvaro, negli anni Venti sulla «Stampa» di Torino, e dallo stesso utilizzati per costruire, con un acrobatico lavoro di taglio e ricucitura, quel suo famoso romanzo. Partecipava, nello stesso anno, al VI Convegno Internazionale di Studi Leopardiani (Recanati, 9-11 settembre 1984), con una comunicazione su La “linea politica” Alfieri-Leopardi nello “Zibaldone”, pubblicata negli Atti di quel Convegno (AA.VV., Il pensiero storico e politico di G. Leopardi, Firenze 1988, pp. 479-500): primo studio, in assoluto, sulle ascendenze alfieriane del pensiero politico leopardiano, è segnalato in G. LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, edizione critica e annotata a c. di G. PACELLA, Milano 1991.

 

Al Convegno del 1985 su Manzoni e la cultura siciliana, presentava una relazione su Manzoni, Costanzo e l’antileopardismo cattolico-liberale, che poi confluirà in una sua monografia, L’oboe solitario (Giusepe Aurelio Costanzo), Messina, EDAS 1992, l’unica, finora esistente, sulla intera produzione in versi del poeta di Melilli.

 

Intraprendeva nel 1986 studi e ricerche sul rapporto tra narrativa e teatro nell’opera di Pirandello, pubblicati, in parte, nei «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina».

 

Nel 1990 pubblicava un saggio sulla Nuova didattica dell’Italiano nel volume miscellaneo a cura di G. Celona, La didattica delle singole discipline d’insegnamento nella scuola media, Pungitopo, Marina di Patti.

 

Usciva nel 1992, a Roma, presso Bulzoni, in una collana diretta da Nino Borsellino, un suo volume, La bussola del realismo. Verga, Alvaro, Moravia, in cui trovava spazio, fra gli altri, un ampio saggio su Verga e la Scapigliatura, basato anche sullo spoglio delle recensioni ai romanzi minori del grande siciliano, apparse sulla pubblicistica milanese: in appendice, il pamphlet di Mainardi sulla Letteratura disonesta, che non era stato più ristampato dall’anno della prima edizione del 1875. È dello stesso anno la sua edizione critica dell’orazione Agl’Italiani di Giacomo Leopardi, recensita in termini molto positivi da Mario Marti sul «Giornale Storico della Letteratura Italiana».

 

Nel 1997, Rando raccoglieva in un volume, La norma e l’impeto: Studi sulla cultura e sulla poetica leopardiana, pubblicato a Torino da Tirrenia Stampatori, in una collana diretta anche da G. Bàrberi Squarotti, i suoi studi leopardiani, tracciando un dettagliato percorso della formazione classicistica, antilluministica, antiliberale e antiromantica di Giacomo Leopardi e insistendo, negli ultimi due capitoli in ispecie, sulla lucida e rivendicata «mutabilità» del genio recanatese, dopo la svolta risolutiva del 1819 (vi figura anche, in apertura, l’edizione critica della suddetta orazione Agl’Italiani).

 

Il critico andava intanto pubblicando, in riviste specializzate, saggi su Parini, Alfieri, Leopardi, Manzoni, Verga, Cameroni, De Roberto, Pirandello, Maria Luisa Spaziani, Bartolo Cattafi, Saverio Siciliano.

 

Usciva, nel 2002, presso EDAS, a Messina, una monografia di Giuseppe Rando su La narrativa di Edoardo Giacomo Boner. Novelle messinesi e leggende boreali nel crepuscolo del Verismo, che inaugurava un suo ricco filone di ricerca sulla letteratura meridionale meno conosciuta, ma non meno rilevante.

 

Nel 2003, Rando ha curato le edizioni (a Messina, presso l’editore Intilla) di Racconti peloritani e Sul Bosforo d’Italia dello scrittore siciliano-elevetico Edoardo Giacomo Boner. Nel dicembre del 2003 ha organizzato a Messina un Convegno Nazionale su Narrativa minore del secondo Ottocento in Sicilia, di cui ha pubblicato gli Atti, presso EDAS, nel 2004. Nel 2003 ha anche partecipato al Convegno Nazionale di Roma su Alfieri a Roma con una relazione (Alfieri e il mondo antico: traduzioni e rifacimenti) pubblicata negli Atti (Roma, Bulzoni, 2006), e al Convegno Nazionale di Catania su Alfieri nella critica novecentesca con un relazione su Alfieri politico: luci, abbagli, e filtri ideologici, pubblicata negli Atti, Università di Catania, 2005.

 

Nel 2004 ha curato le edizioni (presso EDAS) delle raccolte La spugna di Apelle e Novelle disperse dello scapigliato siciliano Enrico Onufrio, caro a Giovanni Verga. Nello stesso anno ha pubblicato la monografia su Alvaro narratore. L’officina giornalistica (Falzea Editore, Reggio Calabria), in cui, muovendosi tra letteratura e giornalismo, rubrica, per la prima volta, tutti gli articoli giornalistici del grande calabrese, isolando quelli che, a vario titolo, allo stato attuale della ricerca, risultano inseriti nella sua opera narrativa. Nel 2004, ha altresì curato l’edizione di Avventure eroiche e galanti di Giovanni Alfredo Cesareo presso l’editore Intilla. È dello stesso anno il volume La personalità del testo. Saggi su Parini, Leopardi, Boner, Pirandello (Roma Vecchiarelli), dove, utilizzando gli strumenti metodologici della critica globale, svela aspetti sconosciuti dell’opera e della personalità degli scrittori esaminati. Il volume è stato ristampato nel 2006 con l’aggiunta di due saggi su Il giuoco delle parti e L’amica delle mogli di Pirandello, che illustrano la transcodificazione dei testi dalle originarie novelle matrici ai drammi conclusivi, enucleandone interpretazioni nuove e innovative.

 

Nel 2006 ha curato l’edizione di La siepe e l’orto di Corrado Alvaro, presso l’editore Iiriti di Reggio Calabria. L’anno successivo, ha, quindi, raccolto (dalle pagine dei giornali pre e postbellici) e pubblicato in volume, con un saggio introduttivo, presso Rubbettino, cinquantotto racconti del grande sanluchese, col titolo Gente che passa. Racconti dispersi. Nello stesso 2007 ha pubblicato, da Rubbettino, Alfieri europeo: le «sacrosante» leggi. Scritti politici e morali. Tragedie. Commedie, un volume che, al pari o più degli altri suoi, parrebbe destinato a durare.

 

Nel 2008, ha curato l’edizione di un romanzo di Grazia Deledda, Le colpe altrui, per i tipi di Ilisso e Rubbettino; ha redatto un saggio su La didattica della letteratura e i manuali di storia letteraria per un volume collettaneo, pubblicato a Messina, a cura di Francesca Minissale; ha pubblicato il saggio Deledda e Kohlet: “Le coppe altrui”, in «Marenostrum», 3 (2007-2008).

 

Nel successivo quinquennio, Giuseppe Rando ha intensificato i suoi studi alfieriani (pubblicando un saggio, Alfieri protomoderno, su «La Rassegna della Letteratura Italiana» del gennaio-giugno 2011 nonché presentando, al XVI Congresso dell’ADI, una vasta relazione su Vittorio Alfieri tra ideologia, letteratura e teatro) e alvariani (con saggi, in ispecie, su L’uomo è forte e sulle Memorie del mondo sommerso), senza limitare i suoi studi sulla narrativa meridionale: ha, difatti, curato la ristampa di una raccolta di novelle G.A. Cesareo (Leggende e fantasie), presso l’editore Intilla, di Scritti letterari e saggi di varia umanità di Enrico Onufrio, da EDAS, di Racconti calabresi di Nicola Misasi, presso Ilisso-Ribbettino, pubblicando, inoltre, in riviste specializzate, saggi su scrittori rinomati come Camilleri (in «Rivista di Letteratura Italiana»), e su giovani scrittori messinesi come Alessia Battaglia e Giorgio Bongiovanni. Si è altresì occupato di poesia dialettale (con una monografia su Maria Costa) e di poesia tout court, con un saggio monografico sulle Effinzioni di Antonimo Grillo, pubblicato su «Otto-Novecento». Particolarmente attento ai rapporti tra Università e territorio, ha dato il suo contributo al varo di una rivista letteraria messinese («Terzo Millennio»).

 

Ha peraltro raccolto in due volumetti, con un’articolata Introduzione, le novelle siciliane di Luigi Pirandello (presso EDAS); ha redatto il saggio introduttivo a S. QUASIMODO, Colloqui, “Tempo” 1964-1968, l’arcael’arco, Nola 2012; ha curato, con Rosalba Todaro, la pubblicazione di una raccolta di saggi di autori vari, dal titolo Riflessi della storia nella letteratura italiana (EDAS, Messina 2012), dove figura anche un suo saggio su Horcynus Horca; ha redatto il capitolo sulla narrativa di Corrado Alvaro nella monumentale raccolta di Narratori Italiani del Novecento, in due volumi, curata da Rocco Morano per i tipi di Rubbettino (Soveria Mannelli 2012); ha curato, con Maria Gabriella Adamo, Classico e moderno. Studi in memoria di Antonio Mazzarino, Falzea Editore, Reggio Calabria 2012, che ospita un suo ampio saggio su Le novelle siciliane di Pirandello, nonché la sua puntuale Introduzione.

 

Contemporaneamente ha dato il suo contributo alle celebrazioni messinesi del centenario pascoliano, partecipando al Convegno di Messina del 2012 con una relazione, in corso di stampa negli Atti relativi, e curando la pubblicazione, presso EDAS, di un volume pascoliano (G: PASCOLI, Poesie e prose della stagione messinese).

 

Dall’anno accademico 2012-13, usufruendo della mobilità interna, lo studioso si è trasferito nel Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (ex Facoltà di Lettere e Filosofia) dell’Università degli Studi di Messina.

 

Nel 2014 ha pure prefato la pubblicazione, a cura di C. Mauro, del secondo volume degli scritti giornalistici di Salvatore Quasimodo, Il falso e il vero verde (“Le Ore” 1960-1964), Sinestesie, Napoli 2015.

 

Particolarmente intenso di studi e ricco di risultati appare l’ultimo triennio, in cui Giuseppe Rando ha pubblicato quattro monografie [Alfieri costituzionalista, Nei pressi dell’Infinito e altri saggi leopardiani, Verga Pirandello e altri siciliani, Vero e immaginario tra Sicilia e Calabria (da Verga a Occhiato)] nonché due saggi pascoliani (uno in un rinomato volume collettaneo, uno su «Esperienze letterarie»), un saggio alvariano e un saggio verghiano (in due prestigiosi volumi collettanei) e un saggio sul Neogotico siciliano (negli Atti di un famoso convegno torinese).

 

Intensa è stata del pari l’attività didattica di Giuseppe Rando, il quale, da più di vent’anni, cerca di trasmettere, senza risparmiarsi, attraverso l’analisi e l’interpretazione dei testi della letteratura italiana, conoscenze, cultura, amore della libertà, del bello e del retto ai suoi allievi, che mostrano di seguire i suoi corsi con intelligenza e interesse. Didattica e ricerca scientifica costituiscono, invero, per lui, un binomio inscindibile: il dialogo che intesse con i testi letterari, evitando ogni forma di impressionismo e curando, col supporto della storia e della filologia, di non violarne la personalità, prosegue, con identici intendimenti, nel corso delle lezioni frontali con gli alunni, che non ha mai considerato sacchi vuoti da riempire o clienti da imbonire, ma persone da rispettare ed aiutare, casomai, a crescere. Ripete agli alunni, con malcelato orgoglio, che non ha mai studiato un autore della letteratura italiana per motivi che non siano, in primis, quelli del piacere di leggere e di conoscere, intrigandolo soprattutto la fase genetica dei testi.

 

È alla luce di questi convincimenti, supportati dall’utilizzazione dei più aggiornati metodi critici ed ermeneutici, che Giuseppe Rando, con i limiti che sono propri della condizione umana e di un contesto – quello messinese – non particolarmente stimolante, ha conseguito risultati non comuni sul terreno degli studi letterari, se è vero che a) ha impresso – a detta di Petronio, Spongano, Di Benedetto, Bàrberi Squarotti - una svolta decisiva in direzione costituzionalistica negli studi alfieriani del Novecento; b) ha dimostrato, per primo, la presenza del Sublime di Pseudo Longino nella poetica e nella poesia di Parini; c) ha documentato, per primo, la genesi giornalistica di Gente in Aspromonte e la sua singolare elaborazione, aprendo la strada agli studi alvariani di questo tipo; d) ha rivelato aspetti sconosciuti della poetica, della cultura e della poesia di Giacomo Leopardi; e) ha proposto interpretazioni tanto inedite quanto circostanziate di opere fondamentali di Verga e di Pirandello. E ciò, contro certa pratica strumentale delle ricerche, che incentiva talora, nel mondo accademico, la produzione di libri barbosissimi (per arzigogoli impressionistici) e/o pseudo scientifici (per filologismo meccanico), scritti solo pour épater les bourgeois e fare carriera: libri che inibiscono, di fatto, la corretta fruizione della letteratura e dei suoi altissimi valori a tanti, sfortunati studenti universitari, magari destinati a insegnare domani letteratura nelle scuole.

 

Certo, Giuseppe Rando ha avuto la fortuna – o l’ardimento – di non avere un solo maestro e di seguire la lezione di alcuni grandi maestri, godendo tuttavia della più piena libertà di ricerca, senza la quale non si ottengono risultati duraturi a livello scientifico. Quanto dire che Giuseppe Rando ha contestato, e contesta, di fatto, con la sua vita, oltre che con il suo modo di intendere e praticare l’attività didattica e scientifica, una visione rozza e mistificatoria dell’ Università come centro di potere, rifiutandone decisamente tutte le lusinghe e pagandone, talora, di persona l’inevitabile scotto. Con la consolazione (invero magra) di essere l’unico messinese ad avere vinto, con qualche lustro di ritardo (sia pure), la cattedra di Letteratura Italiana in un pubblico concorso, nella lunga storia dell’Università di Messina, stando a quel che dice un collega che ne ha compulsato gli annali.

 

Principali pubblicazioni di Giuseppe RANDO

  

- La bussola del realismo. Verga, Alvaro, Moravia, Roma, Bulzoni, 1992.

 

- L’oboe solitario. Giuseppe Aurelio Costanzo, Messina, EDAS, 1992.

 

- La norma e l’impeto. Studi sulla cultura e sulla poetica leopardiana, Torino, Tirrenia Stampatori, 1997.

 

- La narrativa di Edoardo Giacomo Boner. Novelle messinesi e leggende boreali nel crepuscolo del Verismo,

   Messina, EDAS, 2002.

 

- Introduzione, testo e note a E. G. BONER, Racconti peloritani, Messina, Intilla Editore, 2003.

 

- Introduzione, testo e note a E. G. BONER, Sul Bosforo d’Italia, ivi, 2003.

 

- Introduzione, testo e note a E. ONUFRIO, La spugna d’Apelle, Messina, EDAS, 2004.

 

- Introduzione, testo e note a E. ONUFRIO, Novelle disperse, ivi, 2004.

 

- Introduzione, testo e note a G: A. CESAREO, Avventure eroiche e galanti, Messina, Intilla Editore, 2004.

 

- Tipologie della novellistica “minore” del secondo Ottocento in Sicilia, in AA.VV., Narrativa “minore” del secondo

  Ottocento in Sicilia Atti  del  Convegno Nazionale di Messina (11-13 dicembre 2003), Messina, EDAS, 2004,

   pp. 191-202.

 

- Per la leggibilità della critica: Il giardino della “Ragazza del ghetto”, «Marenostrum», 1 (2004), pp.259-267.

 

- Prefazione a S. SICILIANO, Il vitulone beffato, in «Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti», LXXVI (2000)

   [ma 2004], pp. 297-298.

 

- Corrado Alvaro narratore. L’officina giornalistica, Reggio Calabria, Falzea Editore, 2004.

 

- Alfieri politico: luci, abbagli e filtri ideologici, in AA. VV., Vittorio Alfieri e la critica novecentesca, Atti del Convegno

   Nazionale   di Catania (20-30 novembre 2002), Catania, Università degli Studi, 2005, pp. 195-219.

 

- Alfieri e il mondo antico: traduzioni e rifacimenti, in AA. VV., Alfieri a Roma, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 407-434.

 

- La personalità del testo. Saggi su Parini, Leopardi, Boner, Pirandello, Roma, Vecchiarelli,, 2006.

 

- Introduzione, testo e note a N. MISASI, Racconti calabresi, Sassari, Soveria Mannelli, Ilisso- Rubbettino, 2006.

 

- Introduzione, testo e note a C. ALVARO, La siepe e l’orto, Reggio Calabria, Iiriti, 2006.

 

- Introduzione, testo e note a C, ALVARO, Gente che passa, Racconti dispersi, Soveria Mannelli,

  Rubbettino Editore, 2007.

 

- Le metamorfosi della “Lupa” tra narrativa e teatro, in AA. VV., Il teatro verista, Catania, Biblioteca della Fondazione

  Verga, 2007,  pp.237- 263.

 

- Alfieri europeo: le “sacrosante” leggi, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2007

 

- Forme novecentesche del modello manzoniano. “La ragazza del ghetto” di Sabino Acquaviva, in AA. VV., Il romanzo e

  la storia.   Percorsi critici, a cura di M. Sacco Messineo, Palermo, due punti edizioni, 2007, pp. 263-272.

 

- Prefazione a G. DELEDDA, Le colpe altrui, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2008

 

- Introduzione, testo e note a E. ONUFRIO, Scritti letterari e saggi di varia umanità, Messina, EDAS, 2008.

 

- “L’uomo è forte” di Corrado Alvaro contro l’illusione comunista, «Terzo Millennio», 1 (2009), pp. 22-47.

 

- Forme dell’irrazionale in Sicilia da Verga a Camilleri, «La magia e le arti nel Mezzogiorno», a cura di Raffaele Cavalluzzi,

  Edizioni B.A. Graphis, Bari 2009.

 

- Le terze, pensose «effinzioni» di Antonino Grillo, «Cultura e Prospettive», 7 (2010), pp. 45-48.

 

- Camilleri: infelicità del “figlio cambiato” e la normalità di Salvo Montalbano, «Rivista di Letteratura Italiana», 2 (2010),

   pp.119-128.

 

- Sperimentalismo e profezia nelle “Memorie del mondo sommerso” di Corrado Alvaro, «Terzo Millennio», 2 (2010),

   pp. 38-52.

 

- Le “Effinzioni”di Antonino Grillo, «Otto-Novecento», 3 (2010), pp.187-197.

 

- Alessia Battaglia, “ Fra gli spazi vuoti finalmente piove”, «Cultura e Prospettive», 7 (2010), pp. 147-150.

 

- Dialogando con “Acqua tinta” di Giorgio Bongiovanni, «Terzo Millennio», 1 (2011), pp. 37-44.

 

- Maria Costa cuntastorie e pueta dû mari, «Cultura e Prospettive», 11 (2011), pp. 69-83.

 

- Sperimentalismo, denuncia e profezia nella narrativa di Corrado Alvaro, in Narratori Italiani del Novecento, I, a cura

   di  Rocco Mario    Morano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012, pp. 337-462.

 

- Le novelle siciliane di Pirandello, in Classico e moderno. Studi in memoria di Antonio Mazzarino, a cura di

  Giuseppe Rando  e Maria   Gabriella Adamo, Falzea editore, Reggio Calabria 2012, pp. 412-456.

 

- Temi e valori dell’immaginario moderno nei “Colloqui con Quasimodo”, in S. QUASIMODO, Colloqui.

  “Tempo” 1964-1968”  a cura e con un  saggio di Carlangelo Mauro, Introduzione di Giuseppe Rando, L’arca e L’arco,

    Nola 2012, pp. XVII-XLIII.

 

    -  Maria Costa testimone e custode dei valori dello Stretto, introduzione a M. COSTA, Àbiru maistru, Pungitopo, Gioiosa Marea 2013.

 

    -  Un nido sullo Stretto, Introduzione a G: PASCOLI, Poesie e prose della stagione messinese, EDAS, Messina 2013, pp. 7-31.

 

- «L’uomo è forte»: dal reportage antisovietico al romanzo realistico-simbolico, in Paura sul mondo. Per «L’uomo è forte»

   di Corrado  Alvaro,  Edizioni ETS, Pisa 2013.

 

- Quasimodo tra giornalismo e letteratura: «non c’è poesia pura», in S: QUASIMODO, Il falso e il vero verde (“Le Ore”

  1960-1964),  a cura di  Carlangelo Mauro, prefazione di Giuseppe Rando, SCE, Roma 2014, pp. XXI-XXXVII.

 

- Verga, Pirandello e altri siciliani, Franco Angeli, Milano 2014.

 

- Poetiche, poesia e metapoesia nella stagione messinese di G. Pascoli, in Studi in onore di Enrico Ghidetti, Firenze 2014.

 

- Vero e immaginario tra Sicilia e Calabria (da Verga a Occhiato), Pellegrini, Cosenza 2014.

 

- Nei pressi dell’Infinito e altri saggi leopardiani. In Appendice l’edizione critica dell’orazione Agl’Italiani di Giacomo

   Leopardi,  Aracne, Roma   2015. 

 

- Alfieri costituzionalista (tra politica, teatro e letteratura), Equilibri, Reggio Calabria 2015.

 

- L’altro Pascoli: poesia e scienza nel «nuovo secolo», in «Esperienze letterarie», 2 (2015).

 

- La «sanzione della morte» e il nulla nella poesia postmyricea di G. Pascoli, in Atti del Convegno di Messina 2012,

  in corso di stampa.

 

- Neogotico siciliano: orrori, incanti e misteri alle soglie del vero, in Neogotico tricolore. Letteratura e altro, a cura

   di Enzo  Biffi Gentili,  Giorgio   Barberi Squarotti, Walter Boggione, Barbara Zandrino, Moncalieri, Fondazione

   Cassa di Risparmio  di Cuneo, 2015.

 

-Percorsi verghiani: Eva o Musette, in Cahier d’amitié. Scritti in onore di Maria Gabriella Adamo, a cura di Renato Corona,

  Aracne, Roma  2016.

 

 Alfieri europeo: le «sacrosante» leggi.

3

 Scritti politici e morali-Tragedie-Commedie

Nella prima parte del presente volume, attraverso l'analisi testuale dei trattati politici e il rilevamento dei loro nessi con il contesto storico-culturale, viene dimostrata l'adesione di Vittorio Alfieri ai principi del costituzionalismo europeo, quale si era venuto configurando, in Francia soprattutto, dopo il tramonto dell'Illuminismo, nelle opere di intellettuali che si ponevano "a sinistra di Montesquieu". I risultati della ricerca, al riguardo, si possono riassumere affermando che il grande piemontese non è affatto anarchico, né libertario o reazionario, bensì acuto censore del languente dispotismo illuminato, nonché primo assertore, in Italia, dello stato costituzionale, basato sulla separazione dei poteri e la sovranità delle leggi. Nella seconda parte, connessa alla prima da una fitta serie di rimandi, viene effettuata, tra l'altro, una ricomposizione della drammaturgia alfieriana - dall'iniziale impianto ostensivo e melodrammatico di "Virginia" a quello sospensivo e meditativo di "Saul" e "Mirra" -, in cui assume un ruolo primario, anche sul piano strutturale-stilistico, la scoperta da parte di Alfieri della "perplessità del cuore umano".

 

 

 

Vero e immaginario tra Sicilia e Calabria

4

 

Nella letteratura siciliana e calabrese dell'Otto-Novecento, lievita, accanto al filone propriamente realistico, un ricco manipolo di opere narrative versate sul lato fantastico, immaginario dell'esistenza. Di questi due fondamentali percorsi - delle loro matrici culturali, dei loro esiti stilistici, dei loro intenti euristici - si tenta, in questo volume, un primo sondaggio, senza paraocchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Verga, Pirandello e altri siciliani

5Il volume illustra, in un'ottica post ideologica, aspetti, anche misconosciuti e talora inesplorati, della grande letteratura siciliana dell'Otto-Novecento, evidenziandone, per campioni significativi, la luminosa perennità. Risaltano in particolare, nella sezione verghiana: l'analisi, che si vuole sperare esaustiva e definitiva, della complessa elaborazione di Fantasticheria; la dimostrazione della tecnica del bilanciamento tra lingua e dialetto, esperita dal Catanese su gli abbozzi del Mastro-don Gesualdo e il rilevamento di un lapsus d'autore; la perlustrazione delle transcodifiche attraverso cui passò il testo geniale della Lupa; la lettura del tutto innovativa - post crociana e post marxiana - dei romanzi minori di Verga nelle loro connessioni con la coeva cultura francese e soprattutto con la Scapigliatura milanese. Il tutto è corredato, in Appendice, di testi pressoché sconosciuti (il pamphlet su La letteratura disonesta di Manieri, per esempio) estremamente significativi e del tutto pertinenti al discorso che vi si conduce. Di Pirandello si evidenziano, invece, il magistero assoluto dell'arte novellistica e, in una, temi e forme delle Novelle per un anno, passati sotto silenzio a causa di certe sviste ideologiche e/o di certo pirandellismo perdurante, nonché la complessa tecnica della transcodifica, adottata dall'Agrigentino, per passare dalle novelle matrici a drammi di notevole bellezza e forza conoscitiva.

 

 

 

Nei pressi dell'«Infinito» e altri saggi leopardiani

10

Si ricostruisce, nella prima parte di questo volume, attraverso una puntuale rilettura dei testi, la formazione di Giacomo Leopardi dalle certezze cattoliche (e antilluministiche), antiromantiche e antiliberali alla radicale "conversione filosofica", alle "canzoni censurate" e all''Infinito' del 1819. Nella seconda parte, si indaga su aspetti fondamentali, e talora misconosciuti, della cultura e della poetica leopardiana. In Appendice, si pubblica la prima edizione critica dell'orazione "Agl'Italiani", scritta in occasione della liberazione del Piceno nel 1815 dal Contino diciassettenne, nutrito di studi e sogni classicistici nonché fervido intellettuale cattolico, austriacante e rigidamente antifrancese.

Calendario

« Novembre 2024 »
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
        1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30