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- a cura di Alessandra Garavini -

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“Nulla aggiungiamo e nulla togliamo a ciò che la natura ci dà; noi siamo semplicemente i traghettatori di un’essenza che partendo dalla terra e attraverso la vite si esprime nell’uva”. Dal De Vinis di ottobre 2010.


Sulle colline che si affacciano sullo stretto di Messina in una lingua di terra fra il mar Tirreno e lo Ionio nasce la DOC Faro. Il nome pare derivi dai Pharii; antica popolazione greca che colonizzò le colline del messinese dedicandosi all’agricoltura ed in particolare alla viticoltura. La zona di produzione si concentra in particolare da Capo Peloro scendendo verso sud est lungo la costa Ionica.

 

Quest’area della Sicilia vanta un’antichissima vocazione vitivinicola, il vino era prodotto già in età micenea nel 14° secolo a.C. e nel 1800 veniva esportato in Francia come taglio per i vini di Borgogna e di Bordeaux. Nel 1800 gli ha vitati erano 18.000 oggi in tutta la provincia sono 900, ma proprio in questo picco negativo sta la rinascita di una viticoltura di qualità.
Negli anni 80 la DOC Faro esisteva solo sulla carta, agli inizi degli anni 90, un produttore in particolare, comincia ad imbottigliare il suo vino prodotto in quel fazzoletto di terra collinare che si affaccia sullo stretto di Messina, dove la viticoltura andava scomparendo anche per l’asperità dei terreni e per la pendenza che arriva fino al 70%, imponendo la costruzione di terrazzamenti.

 

Nell’ultimo decennio grazie all’impulso di un pugno di viticoltori che hanno scommesso sul valore di questa DOC, oggi il vino Faro può vantare un Consorzio di tutela che raggruppa 13 associati. E’ una delle DOC più piccole di tutta la Sicilia con 25 ha iscritti all’albo dei vigneti DOC.
La biodiversità dei vitigni autoctoni siciliani è un grandissimo patrimonio, molti di questi non hanno una particolare plasticità e al di fuori di questa ristretta area di elezione non danno grandi risultati. La DOC Faro è l’espressione dell’autoctonia siciliana e proprio per questo ha un grande valore aggiunto, per quel non volersi uniformare nell’espressione gusto olfattiva ai vini di tendenza che ha portato, nell’ultimo decennio, all’appiattimento di aromi, sapori e sensazioni, in un mondo globalizzato anche nello scenario enologico.


I viticoltori che oggi si impegnano nella sua valorizzazione, alcuni anni fa, hanno scelto di non estirpare alcuni vitigni locali per far posto agli internazionali in grado di uniformare la produzione e forse facilitare la commercializzazione, ma di dare una forte spinta ad un’anima locale attraverso il recupero di antichi vigneti. I vignaiuoli del Faro raccontano il territorio in maniera diretta, orgogliosi di farlo, proprio attraverso i vitigni siciliani come il Nocera, il Nerello Mascalese e Cappuccio e altri dal nome poco pronunciabile come Core e Palumba, Acitana, Galatena. Il vino Faro è sicuramente da annoverare fra i rossi importanti, non solo per l’ampio bouquet che ci regala, ma anche per il suo estratto secco che per disciplinare non deve essere inferiore a 22 g/l, la sua acidità superiore almeno ai 5 g/l ci indica un vino fresco che può perdurare nel tempo maturando.


Il processo di vinificazione del Faro prevede la fermentazione del mosto a contatto con le vinacce che dura generalmente oltre i 15 gg. dopo i quali si procede alla svinatura; ossia all’allontanamento delle vinacce fermentate. Questa lunga macerazione del mosto sulle bucce permette l’estrazione di pigmenti e sostanze aromatiche che, insieme alla maturazione del vino di almeno un anno in cantina, sono responsabili dell’ampio comparto gusto-olfattivo che ritroveremo assaporando  un bicchiere di Faro.  


Il vino all’atto dell’immissione sul mercato, secondo l’art. 6 del disciplinare di produzione, dovrà presentare colore rosso rubino tendente al mattone con l’invecchiamento, il profumo sarà delicato etereo e persistente, il sapore asciutto, aromatico e soprattutto caratteristico. Ed è proprio quel persistente e quel caratteristico che lo rendono un vino unico.
Per apprezzarne appieno le sue nuance aromatiche dovremo servirlo in un calice ampio alla temperatura di 18 °C. permettendo, così, una buona ossigenazione e la perfetta liberazione dei profumi.


Fra i possibili abbinamenti ho scelto quelli del territorio: Pesce spada a ghiotta, Capretto alla Messinese, Stinco di maiale al forno e Maialino dei Nebrodi alla brace.
Pesce Spada a ghiotta per 4 persone.
Ingredienti: 800 g di pesce spada a fette, ⅓ di cipolla e 1 costa di sedano finemente tritati, 100 g di olive verdi snocciolate, 500 g di salsa di pomodoro, 4 cucchiai di olio d'oliva, 30 g di capperi dissalati, prezzemolo, sale e pepe q.b.
Preparazione: in una padella fate soffriggere la cipolla e il sedano nell'olio d'oliva, aggiungete poi la salsa di pomodoro, i capperi e le olive, infine il prezzemolo. Disponete nella padella le fette del pesce spada e condite con sale e pepe, fate cuocere per 25 minuti circa a fiamma bassa, bagnando col sugo di cottura.
                                                       

Possiamo abbinare il nostro vino rosso Faro, pur essendo il Pesce spada a ghiotta una pietanza a base di pesce, proprio grazie alla struttura e alla forte componente gustativa e olfattiva che il piatto ci regala.
Queste e altre ricette da: “Fiori e sapori” di Alessandra Garavini edito da Armando Siciliano

 

Con le feste di fine anno arrivano i pranzi ed i cenoni dove i brindisi ci aiutano a sperare che il domani sarà portatore di salute e prosperità.

I buongustai di tutto il mondo considerano il pasteggiare con uno spumante di qualità  un  piacere  raffinato  per  suggellare i momenti più piacevoli e festosi della nostra vita.  Gli spumanti italiani sono eccellenti vini adatti ad accogliere parenti e amici rendendo l’incontro ancoro più gioioso.

Vi sono molti motivi per apprezzare lo spumante a tutto pasto.

Lo schiocco del tappo e l'esuberanza della spuma predispongono alla convivialità e al buon umore, il perlage incessante e la luminosità dei colori sono un piacere per gli occhi.

I profumi inconfondibili ed eleganti predispongono il palato ad un grande piacere. La struttura dello spumante non sovrasta il sapore dei cibi ma li esalta, consentendo di apprezzare al meglio l’abilità di chi li ha preparati.

Le bollicine di anidride carbonica detergono le papille gustative permettendo di assaporare ogni sfumatura gustativa.

Lo spumante sa esaltare i sapori del mare risultando perfetto in abbinamento con carpaccio di pesce affumicato, tartare al salmone, aragosta alla catalana, risotto allo spumante e gamberetti, spaghetti all’astice o agli scampi, branzino al sale e grigliate di pesci, crostacei e molluschi in genere.

Anche i salumi come prosciutto crudo, salame e culatello sono valorizzati dalla raffinata freschezza di un buon bicchiere di bollicine.

L’agnello al forno o il capretto con erbe aromatiche sono perfetti accanto ad un brut rosè.

Ed i formaggi? La morbidezza e la struttura degli spumanti italiani si abbinano anche con scaglie di parmigiano, camembert o formaggi dalla media stagionatura.

Un profumato ed aromatico Demi-sec, infine, può chiudere il pasto servito con i dessert.

Per orientarsi nella enorme offerta che il mercato spumantistico oggi ci offre è bene saper distinguere fra uno spumante metodo classico o champenois ed uno spumante metodo Martinotti o Charmat.

Il metodo Classico prevede una seconda fermentazione in bottiglia del vino per la presa di spuma, ossia per la produzione dell’effervescenza tipica degli spumanti.

Questo processo è lungo ed elaborato così per abbattere i costi ed accelerare i tempi alla fine del 1800 l’italiano Martinotti ha pensato di  realizzare la spumantizzazione, ossia la produzione dell’ anidride carbonica, in autoclave ossia un grande recipiente a tenuta stagna e non in bottiglia.

Oggi ritroviamo ottimi spumanti metodo classico accanto a spumanti metodo Charmat; questi ultimi, spesso dolci, da accompagnare ai dessert e per il più tradizionale degli accostamenti il panettone o il pandoro.

Che fare con la rimanenza degli spumanti quando, persa la loro vivace effervescenza, non sono più bevibili?

Ed ecco un gustoso risotto ottenuto utilizzando gli avanzi degli spumanti brut.

Risotto allo spumante e gamberetti per 4 persone.

Ingredienti: 320 g di riso integrale, 200 g di gamberetti puliti, ½ carota, ¼ di costa di sedano, ½ cipolla, ½ l di brodo di verdure, rimanenze di spumante brut, 4 cucchiai di olio extravergine di oliva e sale a piacere.

Preparazione: tritare sedano, carota e cipolla e rosolare in un filo di olio e un po’ di acqua per circa 10 minuti. Aggiungere il riso e cucinare aggiungendo il brodo di verdure e lo spumante. 5 minuti prima di ultimare la cottura aggiungere i gamberetti e aggiustare di sale. Servire con un filo di olio.

Altre gustose ricette si possono ritrovare nel libro “Fiori e sapori” di Alessandra Garavini edito da Armando Siciliano.

 

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Si avvicina il Natale e con esso l’aria di festa e la gioiosa attesa per poter condividere con gli amici e i propri cari alcune serate in armonia. Per noi Italiani il Natale è soprattutto il piacere di ritrovarci attorno ad un tavolo ad assaporare le specialità della nostra tradizione gastronomica, brindando alla salute e al nuovo anno. Certamente i dolci non mancheranno, maliziosi tentatori, a vanificare tutti gli sforzi fatti durante l’anno per mantenerci in forma.

 

Ho scelto di accompagnare i “momenti più dolci” del Natale con   un vino da dessert prodotto nelle isole Eolie, la Malvasia delle Lipari passito, che rappresenta uno dei tre vini a denominazione di origine controlla riconosciuti nella nostra provincia. Nell’immaginario collettivo è il vino più rappresentativo della viticoltura tradizionale messinese sia per la particolare tecnica di vinificazione che per la zona di produzione:  l’arcipelago eoliano, a mio parere isole uniche nel panorama italiano.

Un vino di antichissima tradizione il cui nome deriva dal vitigno principale, la Malvasia, importato dai Greci nel 600 circa a.C. secondo Diodoro.

 

Malvasia sarebbe la storpiatura in Veneziano di Monembasia, città dell’attuale Peloponneso. Tra tutte le isole è certamente Salina quella che ha saputo salvaguardare e valorizzare la sua storica anima rurale mantenendo la propria economia basata sulla coltivazione del cappero e la produzione di Malvasia passito. La viticoltura a Salina si può definire eroica costituita da piccoli appezzamenti con filari disposti su terreni scoscesi di origine vulcanica, ricchi di sostanza organica e minerali, nei quali tutte le operazioni sono condotte a mano. Oggi nelle Eolie ci sono circa 90 ha di malvasia; di cui 46 ha iscritti a DOC, si producono circa 1000 hl l’anno dei quali il 70% passito. Sono 20 i produttori che imbottigliano.      

                                           

Le uve sono lasciate appassire sulla pianta nel caso di vendemmia tardiva, oppure raccolte sovramature selezionando i grappoli migliori. Sono poi poste sulle cannizze (lunghe stuoie realizzate con canne locali) sulle quali appassiscono lentamente per 10-20 gg. durante i quali viene reiterata una pratica quotidiana di scannizzamento e incannizzamento; ovvero uomini addetti che spostano le cannizze al sole durante le ore soleggiate e le riparano nelle pinnate (locali areati) durante la notte e nei giorni piovosi. Quando i grappoli sono “appassiti” si passa al diraspamento e alla pigiatura.


Il mosto è messo in botti di castagno o di rovere o di acciaio per farlo fermentare,  seguono 2 travasi chiarificatori a gennaio e a marzo. In questi ultimi anni si è registrato un grande passo avanti dal punto di vista qualitativo della Malvasia passito, grazie ai produttori e al loro grande impegno; frutto della passione per  il loro vino e la loro terra. Dato di grande rilevanza è che oggi oltre il 50% delle coltivazioni sono in regime Biologico.


La Malvasia è definito “vino da meditazione” forse perché con un bicchiere di questo nettare a fianco davanti ad uno strepitoso tramonto, come solo alle Eolie si può ammirare, possiamo pensare a come questi momenti di “trascurabile felicità”, siano invece espressione della bellezza del nostro mondo ed io aggiungo del nostro bel Paese. Possiamo sicuramente affermare che questo vino rappresenta una mirabile sintesi del perfetto equilibrio fra Natura, Uomo e Tecnica.
E allora dovremo degustarlo col giusto bicchiere ed alla giusta temperatura: 10-12 °C, per apprezzarne appieno tutte le nuance gusto-olfattive.

 

 Il calice sarà piccolo, corto e panciuto con l’apertura che tende a restringersi per concentrare al massimo gli intensi profumi e gli aromi di frutta candita , uva passa, frutta esotica e sciroppata, frutta secca, confetture, miele e fiori appassiti.
Lo accompagneremo con il Pandoro al cioccolato o ancor meglio con i dolci tipici della tradizione Eoliana:  

 

i nacatuli a base di acqua di rose e mandorle o i giggi ricoperti di vino cotto, o ancora con le casatedde a base di fichi secchi e uva passa.
Un abbinamento curioso e di tendenza è con i formaggi stagionati; il sorprendente contrasto fra la dolcezza del vino e la sapidità del formaggio ne esalta le caratteristiche organolettiche di entrambi.
E allora un augurio speciale per un “dolce Natale”!

  

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Pianta probabilmente originaria del Nord Africa, conosciuta dagli antichi Egizi, apprezzata dai Greci e dai Romani e ricca di proprietà salutari. Appartenente alla famiglia botanica delle Asteraceae, è diffusa in tutte le zone del Mediterraneo e le sue varietà maggiormente presenti alle nostre latitudini sono le mammole romane, i violetti di Toscana e gli spinosi di Liguria.

 

Il carciofo è, in realtà, un bottone fiorale ed è proprio questa la parte commestibile prima della fioritura: il suo ciclo naturale va dall'autunno alla primavera ed è da sempre un ortaggio apprezzato non solo per il gusto, ma anche per le sue virtù benefiche per l'organismo. È molto ricco di ferro, ha un buon valore nutritivo e fornisce poche calorie; contiene, inoltre, molti altri elementi preziosi come il sodio, il potassio, il fosforo, il calcio, le vitamine A, B1, B2, C, PP, l'acido malico e quello citrico, tannini e zuccheri, questi ultimi in forme e dosi tali da essere innocui anche per i diabetici. Questo ortaggio ha proprietà toniche, calma la tosse e aiuta a purificare il sangue, dissolve i calcoli alla colecisti e ha funzioni disintossicanti soprattutto per il fegato. Lo stelo, le foglie e l'infiorescenza contengono composti fenolici che favoriscono la diuresi  e regolamentano la secrezione biliare.

 

Il carciofo regolarizza anche la funzione intestinale, grazie all'inulina, sostanza che favorisce la crescita dei bifidobatteri, i microorganismi “buoni” della nostra flora batterica intestinale che combattono i bacilli potenzialmente patogeni. Alcuni studi indicano nei polifenoli contenuti nei carciofi quelle molecole che rendono quest'ortaggio particolarmente bioattivo e salutare: queste sostanze si conservano anche dopo aver cotto al vapore quest'ortaggio, a cui si riconoscono pure proprietà antiossidanti e, almeno potenzialmente, antitumorali.

 

Uno studio pubblicato sulla rivista bimestrale “Nutrition and Cancer”, indica, infatti, che i polifenoli del carciofo possono contrastare l'azione ossidativa dei radicali liberi e interferire con i processi molecolari che inducono la trasformazione tumorale. Il carciofo è molto utile anche per favorire la sazietà se consumato prima dei pasti. Per questo genere di sfizioso e dimagrante antipasto questo vegetale contiene solo 32 calorie ogni cento grammi e bisognerebbe mangiare anche il gambo e le foglie, ricchi di salutari sostanze, come la cinarina e gli steroli, utili per tenere a bada il colesterolo LDL o “cattivo”.  Bisogna scegliere carciofi molto freschi, il cui gambo si spezzi con la pressione del dito e non si pieghi.

 

L'organo che trae maggior beneficio dalle proprietà del carciofo è il fegato; la cinarina, i cui vantaggi vengono attenuati dalla cottura (per questo motivo è meglio consumare il carciofo crudo), favorisce la diuresi e la secrezione biliare. Secondo recenti ricerche scientifiche è stato dimostrato che mangiare carciofi contribuisce al benessere del nostro organismo e soprattutto a prevenire diverse malattie. Il carciofo ha proprietà digestive e diuretiche e, grazie alla presenza di inulina permette di abbassare i livelli di colesterolo; inoltre, nel cuore del carciofo è presente un acido clorogenico, antiossidante, che è in grado di prevenire malattie arteriosclerotiche e cardiovascolari.

Il carciofo si consuma crudo o cotto. E’ gustosissimo in pinzimonio dopo aver tolto le brattee (foglie esterne), il cuore si potrà gustare in insalata con olio e limone accompagnato da scaglie di parmigiano. Il carciofo può essere cotto e farcito con pangrattato, prezzemolo o cotto in umido. Per la cottura in acqua occorrono 30 minuti circa.

 

Valore nutritivo per 100 g

Acqua

84%

Proteine

3,5

Grassi

0,2

Zuccheri (inulina)

11,2

Calorie

32

Carciofi trifolati

Ingredienti per 4 persone:

6 carciofi

1 spicchio di aglio
1 limone
100 ml di brodo di verdure
prezzemolo
olio
sale
pepe

Tempo di preparazione: 15 min
Tempo di cottura: 15 min
Tempo totale: 30 min

 

Procedimento

Pulire i carciofi, togliendo le foglie dure più esterne, parte del gambo e tagliare le punte.Tagliare i cuori di carciofo a metà, poi a spicchietti e metterli in una ciotola con l’acqua e il succo di mezzo limone. Nel frattempo in un’ampia padella far imbiondire uno spicchio d’aglio, poi scolare i carciofi, aggiungerli in padella e farli saltare a fiamma viva per un paio di minuti. Abbassare la fiamma, aggiungere il sale, il pepe e il prezzemolo tritato, aggiungere un mestolo di brodo caldo e lasciar proseguire la cottura per 10/15 minuti circa coprendo con un coperchio .Se durante la cottura i carciofi dovessero asciugarsi, aggiungere altro brodo bollente.

Servire i carciofi trifolati decorando il piatto con altro prezzemolo tritato.

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I funghi sono strane creature, a metà strada tra il mondo vegetale e quello animale, infatti costituiscono un regno a se. Al contrario ifunghi sono strane creature, a metà strada tra il mondo vegetale e quello animale, infatti costituiscono un regno a se. Al contrario delle piante, non hanno clorofilla e quindi possono vivere anche senza luce. Il fungo deve trarre le sostanze necessarie alla sussistenza da materiale organico già elaborato e per questo cresce sul legno in presenza di humus e umidità, si propaga attraverso le spore che crescendo sviluppano il micelio formato da fini filamenti.

 

I funghi sono conosciuti dalla notte dei tempi e hanno la triste reputazione di poter provocare la morte. Delle migliaia di specie note, tuttavia, solo un numero ristretto può considerarsi davvero velenosa, per contro esistono numerose specie in grado di causare effetti spiacevoli come diarrea, disturbi gastrointestinali e vomito, si raccomanda, pertanto, di non consumarli se non si conosce esattamente la commestibilità.

 

La grande famiglia dei funghi comprende anche muffe e lieviti. Ne esistono oltre 5000 specie e solo l’1-2% sono velenosi, mentre molti sono utilizzati quali agenti della fermentazione (Saccaromicies cerevisea) o a scopo officinale. Anche se la maggior parte dei funghi sono commestibili pochi sono veramente gustosi, una ventina di specie, tra queste il boleto, il pleurotus, lo shitake, il tartufo e il prataiolo. I funghi che finiscono in pentola non sono molti, alcuni dei quali selvatici, come i porcini, altri invece coltivati, come gli champignon.

I funghi sono formati per il 90% circa di acqua, sono privi di grassi e perciò hanno pochissime calorie (20-30 per etto), sono ricchi di potassio e vitamina B2, contengono proteine vegetali (3-6%) e zuccheri (4%).

 

Sono versatili in cucina; nella preparazione si deve evitare di lasciarli a bagno, quindi si devono lavare rapidamente in acqua corrente, poi scolarli e asciugarli con un panno o con carta assorbente. Per utilizzare i funghi secchi è necessario tenerli a bagno 10-15 minuti. Si usano spesso come condimento aggiungendoli ad antipasti, insalate, zuppe, risotti, pasta ed anche sulla pizza. Per trarre il massimo del sapore è preferibile unirli alla pietanza che stiamo preparando solo 15 minuti prima del termine della cottura.

Per chi ama andare per boschi a cercare funghi può consigliarsi con un esperto.

Ecco alcuni consigli per non rovinare questo prezioso regalo della terra.

 

Usare un cestino di vimini per la raccolta: esso evita che si formi la condensa che potrebbe rendere tossici anche i funghi commestibili, e inoltre permette alle spore di diffondersi sul terreno, rendendolo fertile.

Raccoglierli sempre interi, senza strapparli o tagliarli: così in caso di dubbi sulla loro commestibilità un esperto sarà in grado di riconoscerli.

Pulirli prima che si può, eliminando le parti troppo sporche di terra o infestate da bachi, parassiti e insetti.

Non raccogliere gli esemplari che crescono ai bordi delle strade trafficate: i funghi assorbono con facilità le sostanze presenti nei gas di scarico delle auto.

 

Se si vuole conservarli, scegliere solo quelli perfettamente sani e non intrisi di acqua: dopo averli puliti e tagliati a fette, sistemarli su un supporto di legno e lasciarli seccare al sole in modo naturale.

Si possono congelare: pulirli, tagliarli a fette, sbollentarli per 1-2 minuti, e dopo averli scolati e lasciati raffreddare, metterli in freezer a -18 °C.

 

Ho scelto per voi una gustosa ricetta semplice da realizzare, leggera,sfiziosa, rinfrescante e disintossicante. L'azione diuretica dell'uva aiuta l'organismo a eliminare le tossine.

Solo 110 Kcal per porzione.

Antipasto di champignon e uva

 

Ingredienti per 6 persone:

  • 400g di champignon
  • un grappolo di uva nera
  • una mela verde non trattata
  • il succo di un limone
  • olio
  • sale
  • pepe

Preparazione:
Pulite gli champignon eliminando la parte terminale del gambo, pelateli e tagliateli in 8 spicchi. Dividete a metà i chicchi d'uva ed eliminate gli eventuali semi. Private la mela del torsolo e riducetela a tocchetti, senza sbucciarla. Riunite gli ingredienti preparati in una terrina, mescolate, spruzzate con il succo di limone e condite con 6 cucchiai d'olio, sale e pepe e servite.

 

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Ottobre è il mese della melagrana: i suoi grani sono molto succosi, hanno un sapore asprigno e si possono trasformare in una gradevole bevanda dissetante.

 La melagrana è il frutto del melograno Punica granatum Punicaceae; un alberello probabilmente originario della Persia dove è coltivato da almeno 4.000 anni.

 

Il suo nome deriva dal latino granatum che significa pieno di grani.

In occidente fu largamente consumato fino alla fine del IXX secolo poi considerato sempre meno. La melagrana è citata nella Bibbia e compare in molti miti come simbolo di fertilità.

L’albero del melograno si adatta ai climi temperati adattandosi perfettamente alle condizioni pedoclimatiche della nostra regione. La richiesta dei mercati europei nell’ultimo decennio è in aumento, ciò ha motivato l’attuazione di un progetto, nel Trapanese, che prevede la messa a dimora di piante per la coltivazione.

 

L’albero raggiunge i 6 metri di altezza, ha grandi fiori a trombetta che divengono succosi frutti dopo 5 o 6 mesi. Il frutto ha un diametro medio di 7-8 cm e una spessa scorza non commestibile di un color rosso brillante o aranciato. All’interno una membrana bianca amara e non commestibile delimita 6 sezioni contenenti tanti piccoli grani dalla polpa succosa, acidula e zuccherina molto rinfrescante di colore rosso rosato.

 

I maggiori produttori del mondo sono Cina, India e Iran dove viene consumata in abbondanza.

Valore nutrizionale per 100 g di parte edibile

Acqua

81%

proteine

 

grassi

0,3 g

zuccheri

 

fibre

0,2 g

calorie

68

Grazie al contenuto di vitamina C e antiossidanti la melagrana ha un’azione immunostimolante tonificando anche ghiandole, ossa, cuore e soprattutto i vasi sanguigni.

Ricca di vitamine (A, C e del gruppo B) e di minerali (potassio e fosforo), la melagrana rinforza il sistema immunitario: per questo è auspicabile gustarne anche un paio al giorno in questo periodo, (fra ottobre e novembre), i suoi principi attivi ci preparano ad affrontare i malanni da freddo.

 

Un regolatore ormonale per lui e per lei

Da poco tempo si è scoperto che la melagrana, grazie alla massiccia presenza di antiossidanti e fitoestrogeni, ha un’azione riequilibrante sul sistema ormonale con valenze specifiche nella donna e nell’uomo. Studi recenti hanno confermato la funzione regolatrice della melagrana sugli sbalzi d’umore tipici della menopausa e sul rafforzamento delle ossa. In caso di tumore della prostata, il succo di melagrana agirebbe addirittura da scudo contro le cellule cancerogene: lo rivela uno studio dell’Università del Wisconsin, negli Stati Uniti.

La melagrana depura il sangue

La principale proprietà della melagrana riguarda l’azione su cuore e arterie: grazie al consistente contenuto in flavonoidi è un alimento perfetto per preservare l’elasticità dei vasi sanguigni e prevenire le malattie cardiovascolari. Per un’azione specifica sull’apparato cardiocircolatorio è consigliabile l’utilizzo del succo biologico già pronto, reperibile nei migliori negozi di alimentazione naturale e nelle erboristerie.

 

Come cura, se ne beve mezzo bicchiere alla mattina anche per 2 mesi, ripetendo sempre il ciclo a ogni cambio di stagione. Il succo di melagrana è una scorta di sali diuretici, ciò lo rende particolarmente adatto nelle diete disintossicanti e drenanti.

Aggiungiamo semi di melagrana nei piatti sia dolci che salati per aumentarne la digeribilità. Nelle macedonie di frutta e nello yogurt, per arricchire piatti a base di carne sia freddi, come il roastbeef, che caldi, come arrosti, brasati e cotture al forno.

 

Gelo di melagrana come dessert o da accompagnare a formaggi stagionati o alle torte.

       Ingredienti:

Prendete un recipiente capiente e sbucciate le melagrane, sgranatele avendo cura di eliminare completamente le parti gialle e le bucce in quanto amare. Passate i chicchi con un passaverdure. Dalle melagrane dovreste ottenere un succo del peso di 850 g circa. Filtrate il succo e mettetelo in una casseruola. Al succo aggiungete quello di mezzo limone, lozucchero, la bustina di Fruttapec e la buccia di limone intera, aiutatevi con un pela patate per ottenere solo la parte gialla. Lasciate bollire per 30 minuti. Eliminate la scorza di limone, poi versate il succo ottenuto in vasetti sterilizzati, tappateli e disponeteli capovolti su un piano. In questo modo si formerà il sottovuoto che permetterà di mantenerli a lungo. Rovesciate i vasetti solo quando si saranno raffreddati.

 

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La calura estiva causa ipersudorazione, spossatezza e anche cali di pressione.

La natura ci viene incontro con i prodotti dell’alveare: ricostituenti naturali grazie ai numerosi componenti racchiusi all’interno.

Per le loro spiccate proprietà salutistiche e farmacologiche il miele, la propoli, il polline e la pappa reale sono da sempre utilizzati nell’alimentazione umana, nell’ambito della medicina popolare e, negli ultimi anni, in maniera sempre maggiore nella formulazione di fitocosmetici ossia di quei prodotti di bellezza preparati  con costituenti di origine naturale.

Il miele

Prodotto alimentare che le api domestiche (Apis mellifera) elaborano dal nettare dei fiori o dalle secrezioni prodotte dalle piante, che esse bottinano, trasformano, con specifiche sostanze proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare” questa definizione compare nella legge italiana del 12 ottobre 1982 n. 753.

Il miele ha una duplice origine vegetale e animale, infatti è la sostanza zuccherina elaborata dalle api a partire dal nettare dei fiori o dalla melata e nessun additivo può essere aggiunto.

Si distinguono 2 tipi fondamentali di miele: di nettare e di melata. Oltre 300 differenti composti sono stati identificati nel miele: i principali sono zuccheri, acqua, sali minerali, vitamine, acidi organici, enzimi e le loro proporzioni variano in relazione all’origine del nettare o della melata.

Con una buona approssimazione si può dire che i carboidrati costituiscono il 75-80% e l’acqua il 16-17%. Nonostante la concentrazione dei minerali sia al di sotto dell’1% questi sono molto importanti in particolare per l’elevata presenza di potassio, calcio, zolfo, fosforo, magnesio e ferro. Attenzione i mieli più chiari sono quelli con minor contenuto di minerali. Fra le vitamine quelle del gruppo B in particolare sono le più rappresentate.

La frazione zuccherina è importante per l’alta concentrazione di fruttosio circa il 40%, ciò è particolarmente importante per i diabetici che possono dolcificare i loro alimenti con il miele, anche se moderatamente, perché il metabolismo del fruttosio non è dipendente dall’insulina.

Le virtù terapeutiche attribuite al miele dalla medicina popolare sono numerosissime agendo favorevolmente a livello dell’apparato respiratorio, circolatorio, digestivo per la blanda azione lassativa, sul fegato ed anche sulla fissazione del calcio; per questo adatto nell’alimentazione dei bambini. Non dimentichiamoci però che il miele è un alimento glucidico ad elevato potere energetico; 100 g forniscono 320 Kilocalorie; meno comunque del saccarosio o zucchero da cucina che ne fornisce 400. Inoltre il potere dolcificante del miele è superiore a quello del saccarosio quindi ne basta meno per avere la stessa dolcezza. Tra gli alimenti energetici occupa il primo posto nella dieta dello sportivo.

Le caratteristiche organolettiche e nutrizionali non sono le stesse e variano a seconda dell’origine botanica, ubicazione delle piante, clima e natura del suolo in cui si colloca l’alveare.

Miele d’Acacia: lassativo, disintossicante, contro l’acidità di stomaco e antinfiammatorio

   “     di Agrumi: sedativo, cicatrizzante per le ulcere

   “     di Castagno: favorisce la circolazione sanguigna, disinfetta le vie urinarie

   “     di Eucaliptus: antibiotico, antiasmatico, emolliente.

   “     di Cardo: favorendo le funzioni epatiche è detossificante.

La melata di bosco meno dolce del miele è adatto nelle diete ipocaloriche come dolcificante.

La propoli

Gli essudati resinosi, gommosi e cerosi che rivestono le gemme, gli apici vegetativi ed anche le cortecce sono raccolti, elaborati e modificati dalle api mediante le loro secrezioni salivari e con l’aggiunta di cere divengono la propoli. In autunno le api la usano per “cementare” l’alveare e limitare l’ingresso, inoltre la propoli provoca un processo di imbalsamazione e mummificazione degli invasori dell’alveare. Proprio da questa ultima osservazione se ne è intuito il potere antisettico e antibiotico oggi sfruttato nella prevenzione alle infezioni del cavo orale.

Il polline

Le api bottinatrici, dopo aver raccolto il polline dai fiori lo impastano con il secreto delle ghiandole salivari, lo pressano nelle cellette dell’alveare e poi lo utilizzano per il loro fabbisogno alimentare. Vi ritroviamo fattori ad attività antibiotica, ormonale e di crescita. Particolarmente adatto come ricostituente nell’età pediatrica.

La pappa reale

E’ una sostanza secreta dalle ghiandole faringee delle api nutrici. Utilizzata come alimento per i primi 3 giorni di vita di tutte le larve e in seguito solo per l’ape regina. E’ proprio la componente ormonale a favorire lo sviluppo e la particolare vitalità della regina delle api. Utilizzato come integratore di minerali e vitamine.

Ed ecco un dolce semplice e gustoso adatto alla colazione dei bambini e dei diabetici

Torta al miele e yogurt

Ingredienti: 

  • 4 cucchiai di miele millefiori
  • 125 g yogurt bianco
  • 1 bustina di lievito per dolci

Mettete nel mixer l'olio ed il miele e mixate fino ad ottenere una consistenza cremosa. Unite le uova, una per volta, e poi la farina, lo yogurt ed il lievito. Mixate fino a che l'impasto diventa lisco ed omogeneo. Mettete un foglio di carta forno nella teglia. Versatevi il composto.
Cuocere la torta a 180°C per 30-40 min.

Farla raffreddare e, a piacere, ultimatela con una spolverata di zucchero a velo

- a cura di Alessandra Garavini -

Pianta arborea appartenente alla famiglia delle Moraceae il Gelso è alto fino a 15 m e produce un'infruttescenza succosa nero-violacea o verde.

Un tempo il suo consumo era strettamente legato all'allevamento dei bachi da seta.

 

Oggi questa tradizione è scomparsa, ma la mora da gelso resta preziosa per le sue proprietà nutritive ed anche terapeutiche.

Il frutto del gelso nero si distingue dalla mora prodotta dai rovi perché è più grosso ed allungato, nero lucido, acidulo e molto succoso, mentre il frutto del gelso bianco è più piccolo e meno zuccherino.

 

Il gelso nero anticamente era coltivato proprio per il frutto commestibile, poi dalla fine del primo millennio, la sua importanza si legò sempre più all'allevamento del baco da seta, al quale forniva nutrimento tramite le foglie della pianta, fu affiancato dal gelso bianco verso la metà del 1500.

Per questo motivo, fino alla fine del secolo scorso, molte famiglie contadine possedevano nei loro campi filari di gelsi per allevare i bachi e quindi disponevano di grandi quantità del frutto.

 

Oggi in seguito all'abbandono dell'allevamento del baco da seta, la cui produzione è stata via via sostituita dalle fibre artificiali, la mora da gelso è decisamente meno disponibile, ma non per questo meno consigliabile dal punto di vista nutrizionale.

Già Orazio ne consigliava il consumo per le proprietà medicinali e alimentari grazie al potere energetico e curativo.

La medicina popolare consigliava lo sciroppo dei frutti per l'azione astringente, antinfiammatoria e dissetante; ottimo anche diluito come colluttorio nelle infiammazioni della bocca e del cavo orale, inoltre era apprezzato anche per l'azione espettorante.

I frutti del gelso bianco più piccoli e meno saporiti, venivano essiccati per ricavarne una farina dolcificante.

 

Tra i vari componenti del gelso nero nei frutti ritroviamo gli antociani importanti pigmenti dall'azione antiossidante ossia antinvecchiamento con particolare riferimento all'attività vasoprotrettrice soprattutto del microcircolo agendo a livello dei capillari.

Si consiglia infatti il consumo di 100 g di frutti del gelso nero lontano dai pasti a tutti coloro che soffrono di insufficienza venosa con pesantezza e gonfiore alla gambe soprattutto con la stagione estiva e le alte temperature grazie all’azione flebo tonica in grado di rafforzare la parete dei vasi sanguigni.

 

Inoltre nella mora ritroviamo anche acidi organici, acido folico, manganese, rame, zinco e boro oltre alle vitamine A, B e soprattutto C.

Non possiamo dimenticare il gelso bianco Morus alba oggetto di numerosi studi scientifici che ne hanno dimostrato sperimentalmente l'attività antibatterica efficace contro lo Streptococcus mutans un batterio implicato nella carie dentale.

Anche le foglie venivano preparate in infuso per l'azione ipoglicemizzante e diuretica, mentre il decotto della radice della pianta ha azione sedativa e ipotensiva.

 

Proprio in questa stagione il frutto può essere utilizzato per preparare gustose e dissetanti granite accompagnate dalle tradizionali zuccarate o dalla più popolare brioshe, da gustare come spuntino o a colazione come vuole la tradizione siciliana.

 

Ed ecco come preparare la fresca granita anche nelle nostre case.

Ingredienti per 4-5 persone:

600 g di gelsi neri, 120 g di zucchero, 300 ml di acqua, il succo di un limone.

Per guarnire: panna montata a piacere. Per accompagnare: zuccarate o brioche.

Per decorare: qualche gelso (facoltativo).

Preparazione:

Lavare i gelsi neri sotto il getto dell’acqua.

Asciugarli con carta da cucina e metterne da parte 100 grammi.

Passare tutto il resto al mixer, assieme al succo di limone.

Versare il composto in una ciotola.

Preparare uno sciroppo di zucchero, facendo bollire, a fuoco lento, per 5 minuti l’ acqua assieme allo zucchero.

Lasciare raffreddare ed unire lo sciroppo al succo ed alla polpa dei gelsi frullati.

Mescolare il tutto accuratamente.

Mettere a raffreddare in frigorifero per 30 minuti o nel freezer per circa 15 minuti.

Appena il composto si sarà ben raffreddato, trasferirlo nella gelatiera.

Seguire, poi, le istruzioni del fabbricante.

A preparazione ultimata, estrarre la granita dalla gelatiera e versarla nuovamente in una ciotola.

Rimescolarla nuovamente, in modo che si ammorbidisca leggermente.

Versare, quindi, la granita nei bicchieri, preferibilmente a coppa.

Porre su ogni granita una bella montagnola di panna montata e decorare con qualche gelso.

 

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