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Dagli anni '30 ad oggi

Apr 26, 2013
1811

 

 

di Alessandra Basile

Il terremoto del 28   dicembre 1908 che devastò la Città dello Stretto, rappresentò per Messina una   frattura sociale ed economica. La distruzione totale della città, la perdita   del suo retroterra industriale e delle professionalità imprenditoriali legate   a essa, segnarono la sua vita economica nei decenni successivi, concentrando   nell’attività della ricostruzione edilizia tutti gli sforzi economici.
 
  L’economia messinese mostrò dei sintomi di ripresa nel corso degli anni   Venti. Per quanto riguarda, in particolare, il ramo dei servizi si riscontrò   uno sviluppo consistente nei comparti inerenti alla distribuzione   dell’energia elettrica, ai trasporti e alla produzione e distribuzione di   gas. Per quanto riguarda l’industria il settore maggiormente sviluppato era   quello manifatturiero. Negli anni Trenta, però, Messina fu costretta ad   affrontare un nuovo periodo di crisi, provocata dal rallentamento   dell’attività edilizia dovuto all’arresto dei finanziamenti statali.
 
  Alla crisi del settore edile si aggiunse anche quella dell’industria   agrumaria e dei suoi derivati. Ciò provocò una pesante riduzione delle   esportazioni, settore trainante dell’economia messinese.
  Gli anni Cinquanta, per Messina, furono gli anni del sogno, della ripresa   economica. "Due erano i nuclei di produzione industriale competitivi   sui mercati internazionali: il settore della cantieristica navale e quello   dei derivati agrumari". (Guido Signorino- Le attività   imprenditoriali). Nel 1956, venne brevettato dall’ingegnere Rodriguez un   nuovo mezzo di trasporto marittimo: la "Freccia del Sole",   il primo aliscafo commerciale al mondo. Un mezzo leggero e veloce, concepito   per affrontare le insidie dello Stretto.
 
  L’esportazione delle essenze agrumarie e dei limoni costituì l’altro settore   strategico dell’economia messinese. La "Sanderson",   azienda leader nel settore, continuò a registrare una notevole espansione   anche grazie a una positiva diversificazione produttiva. Un altro settore   industriale/artigianale che ebbe un peso notevole nella struttura produttiva   della città fu quello delle industrie alimentari: frantoi, industrie   dolciarie, pastifici. Inoltre anche il turismo diede i primi segnali di   risveglio grazie all’attrazione di Taormina e delle Eolie, che   diventeranno negli anni ’60, prestigiose mete del turismo di élite.
 
  Gli anni Settanta segnarono la svolta, la metamorfosi della Città dello   Stretto. Proprio nei primi anni dei ’70 ebbe inizio, infatti, il declino   inarrestabile di Messina che progressivamente perse il suo ruolo, la sua   identità e andò verso la stagnazione. Il settore edile, che aveva giocato un   importante ruolo nel mercato del lavoro locale, entrò in crisi per l’introduzione   di nuove tecnologie che permisero di ridurre il numero di addetti per unità   di prodotto. Anche il settore del commercio e del credito, che aveva fatto   registrare un incremento occupazionale nel periodo 1951-1971, fu   toccato dalla crisi legata alla stagnazione della popolazione e alla scarsa   dinamica delle forze produttive locali.
 
  Gli anni Ottanta e i Novanta si caratterizzarono per un fenomeno definito dei   "nuovi poveri". In sostanza, se nel primo ventennio del   Dopoguerra un operaio edile riusciva a comprare una casa e metter su   famiglia, negli anni ’90, un operaio edile era costretto a vivere nella casa   dei genitori con moglie e figli perché la sua condizione di precario   sottopagato non li consentiva di essere del tutto indipendente dai genitori.   Il lavoro dei giovani era caratterizzato da: assenza di sindacalizzazione,   salario da fame e precarietà assoluta. Accanto a questa massa di giovani   precari con contatti a termine, si affiancò, soprattutto a Messina, una massa   di giovani ufficialmente disoccupati. Si passò, infatti, nel comune di   Messina da un tasso di disoccupazione giovanile del 60,3% al 66,2%.
 
  Oggi la provincia di Messina si caratterizza per il grande peso assunto dal   terziario, l’84,2% del Pil provinciale. Questo sviluppo va letto in una   chiave ben precisa: provincia e città capoluogo, sono crollate sul piano   produttivo a vantaggio di un peso crescente di apparati pubblici parassitari   e assistiti dall’emergere di una criminalità organizzata che ha dato il colpo   di grazia a un tessuto sociale ed economico già profondamente sfibrato.
 
  Quella che negli anni Cinquanta era la provincia siciliana tra le più dotate   di potenzialità, è oggi diventata una delle aree di maggiore crisi   occupazionale.

 - di Alessandra Basile -

Nel canale fra la   Tunisia e la Sicilia, l'isoletta di Pantelleria era base nemica di aerei e   motosiluranti. Nel gennaio 1941 gli Alleati ne avevano progettato l'attacco e   l'occupazione, ma passò l'occasione ed essa rimase come una spina sul fianco   per tutto il periodo più duro dell'assedio di Malta. Ora si rendeva   necessario non solo conquistarla, ma utilizzarla per la loro aviazione.   Attacchi aeronavali cominciarono subito dopo la presa di Tunisi. I   bombardamenti continuarono fino all'8 giugno, quando fu chiesta la resa   incondizionata da parte delle forze dell'Asse. Questa fu respinta, e uno   sbarco fu attuato l'11 giugno, protetto da un massiccio bombardamento dal   cielo e dal mare. S'era fatto in precedenza un gran parlare dell'entità e dei   pericoli di questa impresa. La quale fu coronata da un pieno successo, senza   perdite da parte degli Alleati, a eccezione, secondo i marinai, d'un soldato   ferito dal morso di un somarello.
 
  Più di 11.000 prigionieri caddero nelle loro mani. Nei due giorni successivi   anche le isole vicine di Lampedusa e Linosa capitolarono. Ora nessun   avamposto nemico rimaneva più a sud della Sicilia. Intensi attacchi aerei   sulla Sicilia (e Sardegna) ebbero inizio il 3 luglio col bombardamento di   aeroporti, molti dei quali furono resi inservibili. I caccia Italiani furono   costretti alla difensiva e i bombardieri a largo raggio a ritirarsi sul   continente italiano. Quattro delle cinque navi-traghetto operanti attraverso   lo stretto di Messina furono affondate.
 
  Quando i convogli britannici e americani si stavano avvicinando all'isola la   superiorità aerea s'era saldamente affermata e le forze aero-navali dell'Asse   non fecero nessun serio tentativo di opporsi al nostro sbarco. Fino all'ultimo,   il nemico fu in dubbio, grazie alle loro finte, sul punto preciso ove   avrebbero attaccato.
 
  I movimenti navali degli Alleati e i preparativi militari in Egitto fecero   pensare a una spedizione in Grecia. Dopo la caduta della Tunisia il nemico   aveva mandato altri aeroplani nel Mediterraneo, ma non in Sicilia, sebbene   nel Mediterraneo orientale, nell'Italia nord-occidentale e in Sardegna.Nel   periodo critico, mentre i convogli stavano per toccare il loro obiettivo, il   generale Eisenhower stabilì il suo comando a Malta, dove le comunicazioni   erano eccellenti. E là fu raggiunto dal generale Alexander e dall'ammiraglio   Cunningham. Il maresciallo dell'Aria Tedder rimase presso Cartagine a   controllare le operazioni aeree combinate.
 
  Il 10 luglio era il giorno stabilito. La mattina del 9 luglio le due grandi   flotte conversero dall'est e dall'ovest a sud di Malta, e fu quello il   momento per tutti di volgere la prua verso le spiagge di Sicilia.   L'ammiraglio Cunningham disse nel suo dispaccio: «I soli incidenti che velarono   la precisione di quel notevole concentramento di vapori fu la perdita per   attacchi sottomarini di tre navi in convoglio. Il passaggio dei convogli fu   protetto nel modo più efficace: la maggioranza non fu avvistata dagli   apparecchi nemici».
 
  Frattanto le forze aeree alleate martellavano le linee di comunicazione e gli   aeroporti del nemico nell'Italia meridionale, e il porto di Napoli. Il 19   luglio una grossa formazione di bombardieri americani attaccò gli scali   ferroviari e l'aeroporto di Roma. I danni furono notevoli e il colpo   accusato. Nella stessa Sicilia gli americani avanzavano senza posa sotto la   guida entusiasta del generale Patton. La loro terza divisione di fanteria e   la seconda corazzata ebbero il compito di occupare la parte occidentale   dell'isola, dove erano rimaste soltanto truppe italiane, mentre il corpo   d'armata americano, formato dalla prima e dalla quarantacinquesima divisione,   doveva giungere sulla costa settentrionale e poi puntare a est, lungo le due   strade principali per Messina.
 
  Palermo fu presa il 22 luglio e alla fine del mese gli americani avevano   raggiunto la linea Nicosia-Santo Stefano. La loro terza divisione, compiuta   la sua missione nella Sicilia occidentale, era stata portata a sostegno   dell'avanzata lungo la costa settentrionale, mentre la nona divisione veniva   fatta giungere dall'Africa, dove, come la 78a divisione inglese, era stata   tenuta in riserva. Il campo era così pronto per le battaglie finali. ll   rapido crollo dell'Italia si faceva sempre più probabile. Il generale   Eisenhower e i suoi principali collaboratori convennero che l'Italia fosse il   loro obiettivo immediato.
 
  Sebbene preferissero ancora sbarcare innanzi tutto sulla punta dello stivale,   perché scarseggiavano gli aeroplani e i mezzi da sbarco, per la prima volta   cominciarono a vedere di buon occhio un attacco diretto su Napoli. Questa era   così lontana dalle basi aeree britanniche recentemente conquistate in   Sicilia, da ridurre notevolmente le possibilità di protezione dello sbarco da   parte dell'aviazione da caccia. Il 22 luglio i capi di Stato Maggiore   britannici invitarono i colleghi americani a studiare l'attacco diretto su   Napoli dato che portaerei e naviglio supplementare sarebbero stati a   disposizione. Gli americani però vedevano la situazione da un punto di vista   diverso.
 
  Pur accettando l'idea dell'attacco restarono tenacemente fedeli alla loro   decisione originaria di non mandare ulteriori rinforzi dall'America a   Eisenhower né per questo né per alcun altro fine. Eisenhower facesse il   meglio che poteva con quello che aveva. Inoltre insistettero perché tre   gruppi dei loro bombardieri pesanti fossero trasferiti in Inghilterra. Ne   nacque così un dissidio. I capi di Stato Maggiore americani non credevano che   la conquista d'Italia potesse seriamente minacciare la Germania, e temevano   inoltre che i tedeschi si ritirassero lasciandoli a colpire il vuoto. Non   ritenevano che ci fosse una grande convenienza a bombardare la Germania   meridionale da basi aeree poste nell'Italia del Sud, e volevano che tutti gli   sforzi contro la Germania fossero concentrati sulla rotta più breve   attraverso la Manica, anche se per dieci mesi almeno nulla potesse accadere   in quel settore.
 
  I capi di Stato Maggiore britannici fecero notare che la conferenza di   Washington aveva espressamente dichiarato che l'eliminazione dell'Italia   dalla guerra era uno dei più immediati obiettivi alleati.
 
  L'attacco su Napoli, al quale era stato dato ora il nome convenzionale di   "AvaIanche", era il mezzo migliore di raggiungere questo obiettivo,   senza contare che il crollo dell'Italia avrebbe enormemente aumentato le   probabilità favorevoli, per non dire decisive, dello sbarco oltre Manica.   Portal, capo di Stato Maggiore dell'aviazione, sottolineò il fatto che   attacchi in grande stile contro l'industria bellica germanica,   particolarmente sulle fabbriche di aeroplani da caccia, avrebbero potuto   essere pienamente efficaci solo con l'aiuto degli aeroporti italiani. Il   possesso di queste basi aeree avrebbe pertanto contribuito grandemente a una   vittoriosa invasione della Francia. Gli americani non si lasciarono   convincere. Tuttavia, la maggior parte delle forze da impiegarsi nell'   ‘Avalanche" erano britanniche.
 
  Per riparare alla scarsità di apparecchi da caccia a grande autonomia,   l'Ammiragliato britannico assegnò in sostegno dello sbarco una portaerei   leggera e altre quattro di scorta, e il Ministero dell'Aria dette al generale   Eisenhower tre delle nostre squadriglie di bombardieri, che si era   precedentemente deciso di ritirare dal Mediterraneo.
 
  Mentre queste discussioni piuttosto aspre erano in corso, la situazione venne   completamente trasformata dalla caduta di Mussolini. L'argomento a favore   dell'invasione dell'Italia divenne ora preminente. I tedeschi reagirono   prontamente e l'invasione degli Alleati, e in particolar modo l'attacco su   Napoli, non ne fu grandemente facilitata. Soltanto l'"Avalanche"   riuscì. E fu una fortuna che gli inglesi avessero inviato ulteriori forze   britanniche aeronavali. I rischi sarebbero stati ulteriormente ridotti se il   naviglio supplementare che ritenevano essenziale per accrescere il flusso dei   rinforzi dopo lo sbarco fosse stato concesso. In questo non riuscirono a   convincere gli americani, e prima che l'operazione avesse inizio molte navi   americane furono ritirate e alcune delle navi da guerra britanniche furono   anche mandate in India.
 
  La brillante conquista di Centuripe, da parte della settantottesima divisione   britannica da poco arrivata, segnò l'ultima fase. Catania cadde il 5, dopo di   che tutto il fronte britannico si spostò in avanti fino alle pendici   meridionali e occidentali dell'Etna. La divisione americana prese Troina il 6   agosto dopo accaniti combattimenti, e la nona divisione americana,   inserendosi entro la prima, entrava a Cesarò il giorno 8.Lungo la costa settentrionale   la quarantacinquesima divisione seguita dalla terza,entrambe degli Stati   Uniti, raggiunse Capo Orlando il 10 agosto, con l'aiuto di due piccole ma   abilmente condotte operazioni anfibie di aggiramento sul fianco.
 
  Dopo l'occupazione di Randazzo, il giorno 13, i tedeschi si sganciarono per   tutta la lunghezza del fronte, e sotto la protezione delle sue forti difese   antiaeree dello stretto di Messina fuggirono nelle notti seguenti sull'Italia   continentale. Gli eserciti Alleati si precipitarono su Messina. Le   demolizioni nemiche sulla strada costiera Catania-Messina rallentarono la   marcia dell'ottava armata, e con un breve margine la corsa fu vinta dagli   americani, che entrarono per primi a Messina il 16 agosto. Così si concluse   un'abile e vittoriosa campagna in soli 38 giorni. Grandi erano state le   difficoltà del terreno. Le strade erano anguste e i movimenti di truppe   attraverso il paese erano stati spesso impossibili se non per uomini   appiedati. Sul fronte dell'8a armata la massa torreggiante dell'Etna gli   aveva sbarrato la strada, permettendo inoltre al nemico di spiare le loro   mosse.
 
  Tra i gli uomini nella parte bassa della piana di Catania aveva infuriato la   malaria. Ciò nondimeno, stabilito che erano saldamente nell'isola, e quando   le loro forze aeree entrarono in azione dagli aeroporti occupati, mai l'esito   fu in dubbio. Le forze dell'Asse, secondo i dati del generale Marshall,   perdette 167.000 uomini, trentasettemila dei quali tedeschi. Gli Alleati   perdettero 31.158 uomini, tra morti, feriti e dispersi.

 

 

- di Alessandra Basile -

Messina iniziò a dipingere il suo   volto di nero il 12 ottobre del 1920, data in cui, in seguito a riunioni   informali di alcuni esponenti locali appartenenti al ceto delle professioni,   si costituì il Fascio di combattimento.
 
  Responsabile del movimento, il ragioniere Romano Macrì, che inviò un   telegramma di saluto a Benito Mussolini, dichiarando la costituzione del   Fascio e inserendo anche i nomi di coloro che ne presero parte.
 
  La prima manifestazione pubblica dell'avanguardia fascista avvenne subito   dopo le consultazioni comunali, quando il PSI messinese organizzò un   congresso regionale che si svolse dal 12 al 15 novembre. L'insuccesso   socialista alle elezioni comunali dei primi di novembre incoraggiarono le   azioni offensive del neonato movimento fascista. Per fortuna negli scontri in   piazza non ci furono vittime, né feriti, ma la reazione socialista si   tradusse in uno sciopero generale.
 
  Fino alla Marcia su Roma, comunque, il fascismo messinese non riuscì a   condizionare in maniera rilevante la vita politica della città. Rimase ciò   che era già alla vigilia delle elezioni del 1921, un movimento che faceva   della violenza contro gli avversari politici la sua forza e l'arma della sua   lotta politica. Nei mesi successivi si verificarono con maggior frequenza,   episodi gravi di violenza che causarono morti e feriti.
 
  Alla vigilia della Marcia su Roma, nell'agosto del 1922, il prefetto Pietro   Frigerio, personalità molto vicina al partito di Mussolini, applicò una   normativa governativa per il riordino del pubblico impiego. Oltre agli   ambienti massonici, fu colpita dall'atto anche la classe operaria. Ventisei   operai, infatti, vennero licenziati dalle Ferrovie dello Stato. Immediate le   reazioni della popolazione cittadina. L'opposizione al fascismo scese in   piazza con il Movimento del Soldino: i manifestanti si fregiarono di una   moneta raffigurante il sovrano, in segno di sfida a Mussolini e di deferenza   al re. Nel 1923 il prefetto Frigerio scrisse:"Non si può sperare di   rendere d'un colpo fascista la città. In un primo momento basta intonarla al   fascismo. Sarà un notevole successo se avremo la città simpatizzante e se   avremo neutralizzato il lavoro dei sabotatori del governo. Più in là in un   secondo momento che non può essere immediato avremo la vera affermazione   fascista".
 
  Il 22 giugno del 1923, la città si preparò a ricevere la visita di Benito   Mussolini. Il segnale più importante che diede inizio alla fascistizzazione   di Messina, fu il colloquio che Mussolini ebbe con monsignor Angelo Paino, da   pochi mesi arcivescovo della città. Alla fine dell'incontro Paino   dichiarò:"Ebbi dal duce più di quanto mi aspettassi, più ancora di   quanto richiedessi. Dovevo imporre un limite alle mie richieste, visto che   lui non sapeva porre un limite alle sue concessioni".
 
  In effetti il colloquio si tradusse in una forte accelerazione della   ricostruzione degli edifici ecclesiastici, distrutti o danneggiati, dal   sisma. A parte gli aspetti politici, il consenso unanime della città verso la   dittatura si basò sulla constatazione generale che, se ancora tanto restava   da fare nell'opera di ricostruzione della città, moltissimo era stato fatto,   al punto che agli inizi degli anni Trenta si potevano considerare conclusi i   due terzi circa dell'opera di ricostruzione.
 
  Grandi strutture pubbliche furono completate a cavallo fra gli anni Venti e   Trenta, in particolare l'università, il tribunale, il municipio, la Galleria   "Vittorio Emanuele", il Duomo con il campanile.
 
  L'opinione positiva nei confronti del regime, condivisa dalla maggioranza   della popolazione peloritana, si rafforzò con la nuova visita di Mussolini   nel 1937. La stampa locale enfatizzò il suo arrivo che avrebbe poi suscitato   l'entusiasmo cittadino.
 
  La Gazzetta quella mattina titolò "Oggi viene a Messina l'uomo più   grande del mondo intero". Mussolini, entusiasmò la folla,   promettendo che il governo si sarebbe impegnato a smantellare completamente   le baraccopoli ancora presenti in città, ma l'entrata in guerra dell'Italia   impedì il compimento dell'opera di ricostruzione. Così il Paese partecipò   alla seconda guerra mondiale (1939-1945) alleandosi con la Germania di   Hitler.
 
  Messina, per la sua posizione geografica e per il suo porto, divenne   inevitabilmente uno degli obiettivi militari primari delle forze inglesi. A   un mese dall'ingresso in guerra, la squadra navale di stanza a Messina si   scontrò nelle acque di Punta Stilo, con una squadra inglese. In seguito la   città fu vittima di attacchi alla struttura urbana, alle installazioni ferroviarie   e portuali, dai primi di gennaio del '41, con periodiche incursioni aeree e   diverse decine di morti tra la popolazione.
 
  Nel giugno dell'anno successivo iniziò l'esodo dei messinesi verso i centri   della provincia meno minacciati dagli attacchi aeronavali. Messina, negli   anni della seconda guerra mondiale, vide cancellarsi l'opera di ricostruzione   iniziata dopo il terremoto del 1908. Si calcolò che il 75% degli edifici   ricostruiti venne distrutto dai bombardamenti, con la morte di oltre un   migliaio di messinesi.
 
  Il 10 luglio del 1943, iniziò una nuova storia per Messina: le truppe   angloamericane sbarcarono in provincia di Siracusa e qualche giorno dopo la   caduta del fascismo, il 31 luglio, il commissario Catalano lasciò il suo   incarico e il prefetto Federico Solimena nominò al suo posto un funzionario   dell'amministrazione provinciale, Francesco Miceli, che guidò il comune fino   all' occupazione/liberazione angloamericana della città, che si realizzò il   17 agosto. Le truppe alleate entrarono in città senza dover fronteggiare   alcun combattimento o resistenza. L'esercito italiano era ormai in fase di   disfatta e i tedeschi pensavano solo a non restare lì imbottigliati e quindi,   desideravano solo fuggire verso "il Continente". Gli   angloamericani erano a tutti gli effetti ancora dei nemici, ma vennero   accolti come liberatori dalla popolazione, felice della fine della guerra.

- di Alessandra Basile -

La prima descrizione   della città a dieci anni dalla ricostruzione è legata a una malinconica   pagina di Guido Ghersi: "Sotto il limpidissimo cielo lavato dalla   pioggia la nuova città poteva apparire anche più nuova, con i suoi rettifili   lucidi e le sue case tutte, o quasi tutte, bianche e le sue piazze   inesorabilmente quadrate o rettangolari, tranne una che , con la croce di due   strade e i prospetti di quattro palazzine, faceva un ottagono aperto da   quattro lati(...). Dieci anni prima lì non c'era che un mondo livido e   uniforme, tra cui vagavano le ombre degli scampati, e il resto della Terra   leggeva, atterrito, il numero pauroso delle vittime, contemplava la   straordinaria visione di una città crollata in pochi secondi, come i castelli   che i ragazzi fanno con le carte".

Nel 1911 lo Stato creò una commissione di notevole livello scientifico   per far fronte alla tragica situazione in cui versava Messina, ormai una   città fantasma.

Venne ideato da Luigi Borzì. Il piano preveda sventramenti generalizzati   per ricostituire un sistema viario urbano, demolizioni indiscriminate per   l'ampliamento delle strade e, soprattutto, per la costruzione di edifici più   idonei di quelli posti in essere oltre un secolo prima. Il giudizio   prevalente sulla validità del piano Borzì si presente, oggi, assai critico:

"il primo   pensiero del Borzì avrebbe dovuto essere quello di conservare l'impianto   urbano nel suo schema generale, quello del mantenimento della vecchia città,   conservandone, l'impronta generale, ed anche il ripristino della forma   originaria; invece, sarà soltanto la leggibilità del paesaggio naturale ad   esaurire tutti i termini della raffigurazione del paesaggio urbano, proprio   perché si rinunzia ad altri riferimenti, alle tracce raffigurabili e   misurabili dell'attività degli uomini, ad esempio, che pure, per molti   aspetti, potevano essere recuperati. E senza questo sforzo di nuove comprensione   del senso della città, l'impianto sarà per lo più imposto dalle necessità e   dalle urgenze. Così il rinascente orgoglio municipale e la forte volontà dei   superstiti, sembreranno esaurirsi nel mantenimento del sito, ma da questo non   deriveranno automaticamente ritorni di ruolo e di antiche funzioni".

(Giuseppe Campione"La configurazione territoriale dell'aspetto   urbano")

- di Alessandra Basile -

 

Così titolava il   Corriere della Sera all'indomani della tragedia che sconvolse le due città   dello Stretto. Il Terremoto del 1908, considerato uno degli eventi più   catastrofici del XX secolo, si verificò alle ore 5:21 del 28 dicembre 1908   e in 37 "interminabili" secondi danneggiò gravemente le   città di Messina e Reggio Calabria. Con una magnitudo della scala Richter   di 7,2, il numero di morti stimato fu a Messina di circa 80.000   su 130.000 abitanti mentre a Reggio Calabria di circa 15.000 su   di una popolazione di 45.000.
  Alla forte scossa, si aggiunse anche un'ondata di maremoto fin dentro le   città, uno tsunami che arrivò a ricoprire interamente le piazze e le strade   con una enorme massa d'acqua e con onde alte anche 10 metri. Infatti pare che   la maggior parte delle vittime avvenne non tanto per i crolli degli edifici   quanto perché la popolazione si riversò sulla costa e fu investita dalle   onde.
 
  Si narra che il giorno precedente alla sciagura fosse stato molto tranquillo,   per le strade si respirava un clima di festa e nulla lasciava intuire cosa   sarebbe accaduto a breve, a Messina si era trascorsa una serata tranquilla   (al Teatro si dava la prima dell'Aida, si festeggiava inoltre la festa di S.   Barbara).
 
  Il governo italiano, guidato da Giovanni Giolitti, si accorge dell'immanità   del disastro e dispone i primi aiuti soltanto parecchie ore dopo la scossa. I   primi soccorsi arrivarono ai messinesi da una squadra navale della flotta   imperiale russa, agli ordini dell'ammiraglio Litvinov, composta dalle corazzate   Slava e Cesarevi, dagli incrociatori Makarov e Bogatyr e dalle cannoniere   Giljak e Koreec che si trovavano alla fonda nel porto di Augusta nel corso di   una esercitazione nelle acque del mar Mediterraneo occidentale.   Immediatamente dopo l'arrivo dei russi, giungono a Messina i soccorsi   dell'incrociatore inglese Sutley, comandato dal capitano Le Marchant.
 
  Alle ore 5:21 per 37 secondi "la terrà tremò" come disse Giovanni   Pascoli, che era stato docente all'università di Messina, e che accorse   immediatamente appresa la notizia.
  Durante il terremoto nel porto di Messina si trovavano molte navi che per   causa della forte onda andarono ad incagliarsi, una delle poche navi a non   riportare danni fu l'incrociatore Piemonte. Nel 2006 a Messina è stata   intitolata una via alla Marina Russa, come riconoscimento per i soccorsi   prestati nella tragedia.
 
  I soccorsi italiani arrivano soltanto nella mattinata del 29. Il governo   affida al generale Mazza il comando delle operazioni di soccorso, decretando   per l'intero territorio cittadino lo stato d'assedio, per evitare i continui   sciacallaggi ai danni degli ingenti beni sepolti sotto le macerie assieme ai   cadaveri di decine di migliaia di cittadini.
 
  Ecco come appariva la città di Messina ai sopravvissuti ed ai primi soccorritori   poco dopo il disastro:
  «Cominciò finalmente ad albeggiare e con la luce cresceva la visione del   disastro. Anzi, solo allora questo cominciava a delinearsi nella sua   immensità. Le case tutte intorno, meno due o tre ad un solo piano e   l'"Isola", erano rase al suolo o mozzate a metà. Ed avvicinandosi   alla Marina, si scorgeva la famosa Palazzata, sino al Municipio,   completamente distrutta. Perfino il sontuoso e fortissimo palazzo Ainis, che   era in principio della Palazzata, erasi ridotto ad un ammasso di rovine.
 
  Il suolo della Marina e della piazza Vittorio, intriso dell'acqua che vi   aveva lasciata la gigantesca mareggiata, presentava numerose e profonde   spaccature, il selciato era divelto e il piano stradale era in moltissimi   punti avvallato.
  Lo spavento maggiore era cagionato dalla scarsità della gente, che si   rifugiava in quel luogo sicuro, cosa che faceva comprendere che la   popolazione era rimasta sotto le macerie.»
  ("Il Mattino", 31 dicembre - 1° gennaio 1909 - testimonianza del   prof. Arnaldo Bruschettini, docente di diritto commerciale.)
 
  Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella   proveniente da Cosenza, guidata dall'esponente socialista Pietro Mancini, il   quale dichiarò:
  «Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero.   Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l'idea. Bisogna avere visto.   Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante.   Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei   cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un'idea   approssimativa di che cos'è Reggio, la bella città che fu.»
 
  E ancora i giornali scrissero:
  «Oramai non v'è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi,   a quest'ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime.»
 
  «Si è assodato che Reggio rimase per due giorni in quasi completo   abbandono. I primi ad accorrere il giorno 28 in suo soccorso vennero a piedi   da Lazzaro - insieme al generale Mazzitelli ed a poche centinaia di soldati:   furono i dottori Annetta e Bellizzi in unione ai componenti la squadra   agricola operaia di Cirò, forte di 150 uomini accompagnati dall'avv.   Berardelli di Cosenza. Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto   alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai   provvidero allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione   delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba   di affamati ed il pane da essi portato veniva loro strappato letteralmente dalle   mani. Sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò   l'arrivo delle navi.»
 
  Due giorni dopo il disastro, arrivarono nel porto di Messina in visita alla   città distrutta il Re Vittorio Emanuele III di Savoia e la consorte Elena.

 

 

 

Domenica 28 dicembre 2008 - Santuario di Montalto

- Collocazione targa marmorea sulla facciata del Santuario;

- Corteo Santuario - Capitaneria di Porto;

- Deposizione corona dall'oro nel porto di Messina con l'aiuto di una pilotina della Capitaneria di Porto.

 

 

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