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rfodale

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Otto marzo

Nov 23, 2024

 

- di Giuseppe Cavarra -

 

Lu diàvulu unu, na fìmmina centu
[Il diavolo (è) uno solo, una donna cento (diavoli)]
Casa senza omu senza nomu
[Casa senza uomo senza nome]
Donna, dannu
[Donna, danno]


I tre detti rimandano ad una società che negava alla donna ogni possibilità di identificazione e destinava il maschio ad un ruolo di potere e di superiorità. Stando così le cose, solo il matrimonio conferiva alla donna quella dignità che la sola appartenenza al sesso le toglieva e le negava.


Siamo dinanzi a “norme” nelle quali sono venuti sedimentandosi ideologie, valori e tabù tendenti a riprodursi con l’inerte pigrizia delle acquisizioni date a priori come naturali. Parlarne l’8 marzo è un modo per ricordare le lotte sostenute anche dalle donne siciliane per conquistarsi uno status al di là dei ruoli consentiti dall’assetto socio-culturale di una Sicilia tutta da dimenticare.

Tutti olè!

Nov 23, 2024

 

- di Giuseppe Cavarra -

 

«Li popolani di Palermo vogliono con impazienza il tempo di Carnevale; e in fatti nello stesso giorno della Epifania de’ 6 gennaio suonano il corno e la brogna per la città dando il segno da potersi festeggiare il Carnevale».


Quanto scrive il Villabianca nei suoi Diarij trova convalida in un detto siciliano che così recita: Dopu li Tri-Rre, tutti olè! [Dopo i Tre Re, tutti olè!].
Stando alla tradizione, così si fece fino al terremoto dell’11 gennaio 1693, uno dei più disastrosi tra i tanti che la Sicilia ha dovuto registrare nella sua storia.

A partire da quell’anno, nessuno “vestì maschera” prima del 12 gennaio.

- di Giuseppe Cavarra -

 

Quello del naso nella letteratura e nella storia è un capitolo ancora tutto da scrivere. Se il naso di Cleopatra è il naso più famoso nella storia, il naso non proprio normale ha fatto di Cyrano e di Pinocchio due personaggi che oggi appartengono alla letteratura universale.


In uno dei suoi Pensieri Pascal si chiede: «Se il naso di Cleopatra fosse stato mezzo centimetro più lungo o più corto, la storia avrebbe preso altro corso?» Se a Salamina, a Waterloo o in Normandia le cose non fossero andate come sono andate, la storia dell’uomo avrebbe avuto il corso che ha avuto o a prevalere sarebbero stati quelli che lo stesso Pascal definisce «i fattori minimi e fortuiti della storia»?


Il naso è un organo importante, ma non è mai entrato come elemento essenziale nella composizione della storia. Gli ingredienti della storia sono cosa assai diversa dalle conclusioni rapide e dal ricorso alle scorciatoie intellettuali pur di ottenere un assenso o di realizzare uno scopo.


Con l’espressione homo acutae naris (anche emunctae naris) gli antichi designavano persona di grande intuito, ma era riferita esclusivamente all’uomo. Uno dei tanti segni del maschilismo a buon mercato dominante anche nella cultura folklorica, dove l’espressione nasu pizzutu [“naso appuntito”], riferita alla donna, denota insolenza, civetteria, stravaganza.


Alla regina egiziana la lunghezza e la forma del naso non impedirono il successo sugli uomini più potenti del suo tempo: Cesare, Antonio, Augusto, ma la storia è veramente un’altra cosa, almeno per noi.

- di Giuseppe Cavarra -

 

«Tormentava la Sicilia il famoso bandito nominato Peppi Foti, che con una squadra d’altri fuorusciti commetteva le più atroci ed enormi sceleragini».


Così nel 1804 scriveva nei suoi Annali di Messina lo storico messinese G. D. Gallo di un bandito che seminò il terrore nell’isola al tempo del viceré duca dell’Infantado.


Pare che il detto Àutri robba e fa manati / e la nomina l’avi sempri Peppi Foti (altri rubano e fanno scappatelle / e la colpa ce l’ha sempre Peppe Foti) sia stato coniato a Messina, patria del bandito, a quanto pare. per dire che spesso i nomi dei veri responsabili di certi misfatti non vengono alla luce. Per averne una prova basta sfogliare le cronache giudiziarie dei nostri giorni.

 

- di Giuseppe Cavarra -

 

Era dura la vita dei primi cristiani. Si nascondevano dove potevano, come potevano, ma i nemici di Dio li scovavano lo stesso: li prendevano, li immergevano nell’acqua bollente, li arrostivano sui carboni, li davano in pasto alle bestie.


Nella città dove i cristiani vedevano notte e giorno la morte con gli occhi arrivò una mattina S. Paolo che sapeva farsi valere. Appena lo seppero, le genti a frotte andarono a trovarlo. Lo trovarono che si stava sbarbando:


«S. Paoluzzo, correte!» gli dissero.
«Che è tutta questa fretta?» chiese S. Paolo.
«Correte, correte… I cristiani non ne possono più…».
«Che fretta! Non vedete che mi sto facendo la barba?», rispose S. Paolo.
«S. Paoluzzo, muoiono come le mosche... Le bestie non si saziano mai…».
«Ho sentito, ho sentito… A questo punto dieci cristiani in meno, dieci cristiani in più che importanza può avere?»
«Così dite voi?»
«Dico così perché è così».
Finì che S. Paoluzzo prima si fece la sua barba e poi corse dove c’era bisogno di lui.
Pare che il detto sia nato proprio da questa vicenda.

La bugia

Nov 23, 2024

- di Giuseppe Cavarra -

Un detto siciliano sentenzia:
A medicu, cunfissuri e avvucatu
nenti s’avi a tèniri cilatu.
[A medico, confessore e avvocato / niente bisogna tenere celato]


Come dire che, se c’è di mezzo la nostra salute, se si tocca il nostro interesse, se è in ballo la salvezza dell’anima il troppo storpia pure.
Non si fanno tanto scrupolo i nostri politici che ricorrono alla bugia per nulla preoccupati di evitare la tentazione di usare il potere per interessi personali. In tempu di mali costumi cci vonnu boni liggi [In tempo di cattivi costumi ci vogliono buone leggi], sentenzia un detto popolare.


Di un disordini nni nàscinu centu [Da un disordine nascono cento disordini]. Da quest’altro detto viene l’ammonizione strutturare il potere in modo tale che chi lo detiene non possa abusarne. In Vino e pane di Ignazio Silone uno dei personaggi si chiede: «L’interesse dell’organizzazione non ha finito col soverchiare anche in me tutti i valori morali, disprezzati come valori piccolo-borghesi, e non è diventato esso il valore supremo?»

Ci sarebbe da riflettere a lungo sulle parole di Silone.

 

- di Giuseppe Cavarra -

Il detto era conosciuto dagli antichi nella forma: si vis cognoscere fusum, aspice nasum [Se vuoi conoscere il fuso, guarda il naso] ed era riferito all’organo sessuale maschile, le cui proporzioni erano ritenute direttamente proporzionali alla consistenza del naso. Il popolo ripete ancora il detto, convinto che tra i due organi le relazioni sono innegabili. Almeno fino a prova contraria.


All’inizio del 1974, il detto l’abbiamo raccolto in un piccolo centro della Valle d’Agrò in questa forma: Tali nasu, tali fusu, tali nòbbili purtusu [tale naso, tale fuso, tale nobile pertugio]. L’aggiunta è quanto mai significativa per il riferimento che essa fa all’organo sessuale femminile: conviene che esso sia “nobile”, ossia adeguato alla bisogna al momento di coniugarsi con l’organo del partner. All’altezza del compito, come meglio si dice.

I fichidindia

Nov 23, 2024

- di Giuseppe Cavarra -

 

Oggi i fichidindia costano un occhio della testa. Ne facciamo esperienza durante le feste di fine d’anno quando per un chilogrammo di bbastadduni dobbiamo sborsare fino a cinque euro.


Negli ultimi due secoli, il prezioso frutto della terra sicula ha visto le proprie quotazioni salire sempre più sul mercato. Il Pitrè ci informa che fino al 1860 cinque fichidindia erano venduti al prezzo di un “grano”; nel 1882-83 si cominciarono a vendere a peso: «cosa che al popolo fece grande sensazione», commenta l’illustre demologo.


Oggi si vendono solo a peso e, a quanto pare, il mercato tiene.
Viaggiando sulla provinciale Catania-Ragusa, è facile vedere qua e là appezzamenti di terreno coltivati esclusivamente a fichidindia: ad essi gli agricoltori dedicano le stesse attenzioni che, in passato, dedicavano solo a piante come gli ulivi, i peri o i mandorli. Che non siano i fichidindia a tirarci fuori dalla crisi in cui la Sicilia si dibatte?

L’haiu ruossi e frischi i ficupali [Ce l’ho grossi e freschi i fichidindia]. Così gridano i venditori di fichidindia nei mercati di Ragusa e di Siracusa.


In un indovinello popolare è il frutto stesso a decantare la propria succulenza:
Ti fazzu mali, non mi tuccari,
ma, si mi spògghju, ti fazzu scialari.
[Ti faccio male, non toccarmi, / ma, se mi spoglio, ti faccio scialare].

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